È certo che quando Amintore Fanfani suggerisce a Fiorentino Sullo di parlare con Aldo Moro per avere l’avallo alla sua riforma, è consapevole di mandarlo a sbattere contro un muro. Nulla sappiamo del tenore della risposta di Moro, ma tutto conosciamo sull’epilogo di quella vicenda. In realtà quasi tutto, perché esiste ancora un lato oscuro: ancora più oscuro di quanto sia il naufragio della riforma del regime dei suoli in mezzo a quel «tintinnar di sciabole» che solo l’orecchio fine di Pietro Nenni pareva aver colto. Perché più tardi le sciabole tintinnarono davvero, facendosi udire da tutti.
Il fatto è che la riforma Sullo, accoratamente rimpianta dagli urbanisti democratici, non era affatto un atto isolato, e poco aveva a che fare con l’urbanistica in senso stretto. Quel documento, affossato sulle pagine dei giornali e dai pulpiti delle parrocchie prima ancora che in Parlamento, in realtà era una specie di appendice, forse un corollario, di un corposo pamphlet che ebbe sì la meritoria attenzione dei parlamentari, ma senza lasciar traccia nella storia economica del Paese. Un testo ampio, presentato in Parlamento sotto forma di Nota Aggiuntiva alla Relazione generale sulla situazione economica del Paese per il 1961, molto più di un commento al documento di bilancio. Una perfetta analisi del momento che stava vivendo il Paese.
Una fase che da un lato induceva ottimismo (la ricostruzione era stata completata e l’Italia era ormai entrata nei mercati internazionali), ma d’altro canto evidenziava acuite le gravi storture di un sistema economico fragile e ancora arretrato. Ugo La Malfa – è lui l’autore della Nota Aggiuntiva come Ministro del bilancio – supportato da un economista di prim’ordine di cultura marxista come Claudio Napoleoni, ha letto Keynes nella prospettiva adeguata ed è consapevole che, se alcuni eccessi sono sopportabili nelle fasi depresse dell’economia, quando tutte le maggiori difficoltà sembrano risolte occorre mettere mano agli squilibri più macroscopici e alle ingiustizie più intollerabili.
Il terzo governo Fanfani il carica ha un impegno politico abbastanza preciso: preparare il terreno adatto all’ingresso in maggioranza dei socialisti. Ma La Malfa non si lascia distrarre dai magheggi di palazzo e tiene il punto. L’economia nazionale ha avuto un vero e proprio boom, il miracolo italiano si è compiuto, ma ora stiamo per entrare in una fase nuova. L’Italia ha ormai unanime riconoscimento internazionale, ha riacquistato un discreto prestigio e l’autarchia è definitivamente alle spalle. Le famiglie hanno a portata di mano il frigorifero e l’automobile, soprattutto una casa dopo le macerie della guerra!
Proprio qui sta il punto, dirimente anche se non unico. Siamo sicuri che la casa sia classificabile nella categoria «investimenti»? In realtà, questo è il fulcro teorico dell’argomentazione di La Malfa, negli anni di boom è successo esattamente che buona parte della spesa per la casa, che sarebbe appropriato considerare tra i consumi, venga invece associata agli investimenti, rendendoli artificiosamente gonfiati, come emerge dai dati sulla produzione nazionale, dove l’edilizia cresce ad un ritmo superiore a quello dell’industria. Si evidenzia pertanto una direzione di sviluppo piuttosto rischiosa.
Sarebbe opportuno, secondo la linea keynesiana di La Malfa, cogliere l’opportunità del momento favorevole per fare ciò che nell’immediato dopoguerra non è stato possibile: avviare di una politica di programmazione che, non scoraggiando i processi di accumulazione in corso, incoraggi l’orientamento dell’economia nazionale verso le reali necessità del Paese. Una cosa che il mercato da solo non è in grado di fare. Da qui, appunto, l’esigenza di una programmazione che distolga parte del flusso del risparmio familiare, ora orientato verso impieghi che non comportano un reale incremento della capacità produttiva. È sul crescente prezzo delle aree fabbricabili che si accende dunque il faro dei «programmatori», cosicché a questo punto pare quasi ovvio inquadrare la riforma urbanistica proposta da Sullo nell’ambito della più generale politica di programmazione delineata da La Malfa.
È opportuno però rilevare che i due documenti, la Nota Aggiuntiva di La Malfa e il testo del disegno di riforma di cui si fa promotore Fiorentino Sullo, pur venendo a costituire una specie di combinato disposto, hanno una propria autonomia, «stanno in piedi» anche da soli, autonomia che specie nel contesto sarebbe stato prudente salvaguardare. La Nota di La Malfa può considerarsi una ipotesi di medio periodo, tale da orientare la politica economica per più di una legislatura, mentre la riforma Sullo contiene implicazioni giuridiche immediate su cui il Parlamento viene immediatamente chiamato ad esprimersi. Schematicamente: da un lato un documento di indirizzo, per quanto molto incisivo nella formulazione teorica, dall’altro un progetto confezionato nella forma del «prendere o lasciare».
Ricordiamo che il dibattito pubblico dell’epoca fu monopolizzato, con tutte le distorsioni del caso, dalla riforma del regime dei suoli, oscurando il ricco documento di La Malfa e affossando sul nascere le possibilità di una svolta complessiva organica che avrebbe avuto, se attuata, implicazioni eccezionali nella politica economica e sociale del nostro Paese. A conti fatti la riforma Sullo, apprezzabile nelle intenzioni, sicuramente poco commisurata agli orientamenti ideologici dei partiti costituzionali, si rivelò una vera e propria trappola sulla strada di una riforma economica più generale.