Agricoltura urbana in franchising

Colture multiculturali

La città è il luogo dell’innovazione tecnologica, organizzativa e relazionale, anzi questo dal punto di vista economico costituisce un carattere fondamentale: le attività ci nascono, o quantomeno si trasformano radicalmente rispetto all’origine, dentro l’ambiente urbano denso e complesso. Basta pensare alla vera e propria nascita dell’industria nella forma già rivoluzionaria precedente all’introduzione delle macchine alimentate a energia, e paragonarla alla precedente bottega artigiana da cui trae origine. O si pensi alle forme specifiche assunte dalla distribuzione commerciale in tempi più recenti, quando al chiosco o al mercato rionale o centrale (una forma più organizzata seriale di chioschi) si sostituisce il grande magazzino a contenitore unico e organizzazione scientifica, prima solo per una tipologia limitata di prodotti, e via via esteso a tutto quanto si può vendere e comprare, e poi per lasciare il posto alla sua smaterializzazione (smaterializzazione solo del contenitore, in realtà) con il commercio online. Insomma quella che subiscono le attività più varie nell’ambiente urbano è una vera e propria transustanziazione verso forme impensabili e quasi impossibili da far risalire all’originale, il tutto stimolato e reso possibile dalle sinergie urbane, dalla particolarità e disponibilità all’innovazione del mercato a cui si rivolgono, dal classico bacino di intelligenze e idee a cui può attingere.

Viene a trovarci il cugino di campagna

Anche le normali attività agricole di produzione alimentare, quando per così dire emigrano intra moenia (o ci si ritrovano circondate a causa dell’espansione della città sui loro territori) subiscono qualcosa di molto simile, tecnologicamente e organizzativamente. Basta pensare all’idea di serra, ovvero un ambiente protetto in cui si «governano» terreno, temperature, in parte i parassiti oltre a irrigazione, ventilazione e altro, nata e sviluppata proprio a partire dall’idea di condensare in meno spazio, molto meno spazio, tutto ciò che in campagna non richiede alcuna preoccupazione del genere, e poi traendone altre conclusioni. Fino al modello piuttosto recente e discusso della vertical farm, in pratica null’altro che una sorta di sandwich multipiano di serre, la cui vera innovazione sta nel duplice obiettivo inedito, urbanistico, sociale, territoriale, ambientale, di liberare spazio sottraendolo alle colture tradizionali, per poter recuperare biodiversità, e al tempo stesso risparmiare energia (ed emissioni di gas serra) producendo localmente ciò che serve al mercato locale. Esiste però un aspetto, pure caratteristico della vita urbana-civile, che possiamo chiamare vuoi partecipazione, vuoi moltiplicazione dei soggetti, e che appare particolarmente vivace proprio in questo momento in cui le colture urbane provano ad esplorare l’ambiente in cui dovranno svilupparsi, alla ricerca di nuove possibilità.

Un’organizzazione a rete organica

Sicuramente non è affatto un caso, se il quasi forzato sbarco (o se vogliamo chiamarlo così, ritorno) delle attività colturali nella città post-industriale e post moderna, si caratterizza moltissimo per una spinta dal basso, ovvero per un vero e proprio brulicare di innovazioni diffuse e spontanee. Tutti conoscono per sentito dire, nonché per la spontanea simpatia che suscitano, le varie iniziative sociali di recupero di Detroit all’ombra delle rovine dell’industria automobilistica, oppure gli orti di quartiere a scopi di animazione e rivitalizzazione collettiva specie degli ex complessi di abitazioni economiche di iniziativa pubblica, anch’essi tanti strettamente legati al ciclo di sviluppo industriale. Esiste però un filone meno trattato, anche se assai vitale, ed è quello che unisce alla pura partecipazione dal basso anche elementi di mercato, economici, organizzativi e tecnologici, mescolando e sciogliendo «in rete» il portato di conoscenze derivate da processi certamente per nulla di base, ovvero le innovazioni scientifiche e la finanza. Sul versante più classicamente partecipativo, si è guadagnata una certa notorietà Growing Power, per i suoi interventi di recupero di contenitori dismessi e creazione di posti di lavoro qualificati in zone difficili. Adesso diciamo così «da destra» (per quanto valgono in un campo così dinamico certe definizioni) arriva un vero franchising agricolo urbano su iniziativa del fratello minore di Elon Musk, già attivo da diversi anni nel settore. Funziona praticamente come nel commercio: si mettono a disposizione di piccoli imprenditori locali know-how, marchio, sostegno alla formazione, e qualche macchinario brevettato. Il resto dipende dalle capacità individuali e dalla ricettività del contesto.

Riferimenti:
Adele Peters, This Urban Farming Accelerator Wants To Let Thousands Of New Farms Bloom, Fast Company, 23 agosto 2017

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