Sin da quando si è saputo del cambiamento climatico, esiste anche chi prova a farci ignorare la scienza. E senza dubbio il primo premio in questa olimpiade della vergogna va alle compagnie petrolifere che hanno sostenuto per decenni il negazionismo. Trovando consapevole complicità nella destra ed estrema destra politica. Però mano mano che tante compagnie petrolifere hanno provato a ripresentarsi come «energetiche», con sempre meno interessi nello specifico settore del petrolio, qualcosa di simile è avvenuto anche nell’estrema destra spostando le posizioni dal puro negazionismo. Certamente i partiti di estrema destra operano diversamente sull’immagine rispetto ai petrolieri, e quella transizione non interessa affatto tutti. Ma il negazionismo non rappresenta comunque più l’unica posizione di rilievo, in alcuni casi e gradazioni si optato per accettare il cambiamento climatico.
Irrigazione
Accettare, così come negare, non succede di colpo, ma avviene per gradi. La prima fase dell’accettare sta nel riconoscere che c’è qualcosa di sbagliato nel rapporto tra esseri umani e natura. Ma è ancora una accettazione indeterminata. Il secondo stadio è dare la colpa ai consumi individuali, alla mercificazione spesso ostentata. La terza fase considera il campo più ampio del capitalismo dove il consumo non è avidità del singolo ma effetto della strategia di crescita continua. A diversi protagonisti dell’estrema destra corrispondono vari gradi di accettazione. Tra questi «accettatori» e l’ambientalismo in genere esistono forti contrasti sulle azioni necessarie, sulle prospettive sociali e storiche, o addirittura sulle ragioni di ciò che cambia il clima ((a partire dai gas in atmosfera. Pochi considerano adeguatamente la scala globale, così come non aveva fatto su altri temi la loro politica.
Nel nostro libro The Rise of Ecofascism, discutiamo le politiche sul clima del Front National francese, Fidesz in Ungheria, Rodrgio Duterte nelle Filippine, in quanto varianti di questa «accettazione». Vorremmo qui in particolare trattare un caso importante e complesso: l’estrema destra indiana guidata da Narendra Modi, Primo Ministro dal 2014. Lungo il corso del fiume Indo si sovrappongono le rivendicazioni territoriali di tre potenze nucleari: la Cina (attraverso il Tibet), l’India (Kashmir) e il Pakistan. Quel fiume al tempo stesso costituisce uno dei più importanti corsi d’acqua del mondo, in modo particolare per il Pakistan di cui irriga il territorio agricolo, e taglia zone tra le più contese. Molti aspetti e correnti dell’induismo nazionalista sono strettamente legati al controllo del fiume e della regione del Kashmir.
Ideologia
Una serie di dighe idroelettriche realizzate dall’India sono state contestate dal Pakistan, secondo cui sottrarrebbero acqua al flusso di irrigazione dei cereali, usandole come arma geopolitica devastante. Non è chiarissimo come esattamente il cambiamento climatico influirà sul flusso idrico, ma indubbiamente accrescerà le variazioni. Il che potrebbe portare a una instabilità regionale. Dentro la situazione già complessa fa il suo ingresso Modi. Il cui partito di governo Bharatiya Janata Party (BJP) si propone come difensore degli interessi Indù a spese delle minoranze. La reputazione di Modi si è consolidata col pogrom contro i musulmani in Gujarat del 2002, dove secondo cifre ufficiali sono morti 790 musulmani e 254 indù (i numeri reali sono in realtà probabilmente molto più alti).
Alcuni affermano che quell’attacco Modi l’abbia «preparato sostenuto e perdonato». Al pogrom in Gujarat seguono le violenze contro le minoranze in Orissa del 2007-2008 e in Muzaffarnagar del 2013. Che funzione sociale hanno questi atti di violenza? Il leader anti-caste Dr. B.R. Ambedkar scriveva nel 1936 che «una casta non percepisce i propri rapporto con le altre caste salvo quando ci sono scontri tra musulmani e indù». Oggi i conflitti di classe (e di casta) in India vengono nascosti facendo convergere la violenza di gruppi disparati contro i musulmani. Il secondo leader del Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), grossa organizzazione nazionalista indù molto legata al BJP, M.S. Golwalkar, ideologicamente influentissimo, sostiene che i nemici della nazione indù siano tre: Musulmani, Cristiani e Comunisti.
Violenza
Nemici che si assomigliano in una cosa: «minacciano di spezzare l’armonica unità naturale della razza indù e della civiltà indù che esiste da tempo immemorabile. Nel 1939 si riteneva che la Germania nazista fosse un ottimo modello da seguire per il nazionalismo indiano. Tra i casi in cui spicca questo atteggiamento di «repulisti morale» dei vigilantes RSS quello dei «difensori delle vacche sacre» contro i musulmani accusati di macellarle e mangiarle, come proibito dell’induismo, sottolineando una filosofia di relazioni umane e spirituali.
A dire il vero questo tipo di militanza delle ronde RSS, unita alla mobilitazione su questioni di divisioni etniche e religiose, rende la situazione indiana assai vicina alle forme classiche di fascismo in tutti i paesi nell’epoca contemporanea. Se RSS e BJP mirano alla costruzione di uno Stato Indù, vedremo le politiche ambientali di Modi intrecciarsi al progetto. Il suo resoconto sul caso del cambiamento climatico in Gujarat, si apre discutendo sul Rig Veda, il più antico testo canonico indù. Modi sottolinea come «Rig Veda … chiarisce l’importanza dei Panch Tatvas (cinque elementi), terra, aria, acqua, energia solare, cielo». E prosegue: «qualunque uso sproporzionato di tali energie induce egoismo, istinti violenti, gelosie, contrari allo sviluppo umano».
Miniere
In altre occasioni, Modi ha auspicato «particolare attenzione allo yoga nelle discussioni sul cambiamento climatico». Considerare il clima un problema spirituale non è atteggiamento del solo Modi, ma si tratta certamente del segnale più importante. Come interpretarlo? Jyoti Puri considera queste affermazioni «derivate da un filone consolidato di spiritualismo indù nato in reazione e opposizione al materialismo occidentale».Nel 2014,appena diventato primo ministro, Modi sfiorava un esplicito negazionismo: «Il clima non cambia. Siamo noi ad essere cambiati, le nostre abitudini. […] se noi cambiamo, lei [la natura] è pronta a cambiare. Gli esseri umani non devono lottare contro l’ambiente, ma amarlo. Essere acqua, aria, piante». In tono analogo ancora nel 2019 il suo Ministro per l’Ambiente ancora negava che le devastanti alluvioni nel paese fossero dovute al cambiamento del clima. Nel corso della presidenza Modi le norme ambientali sono state indebolite. Approvati il 99,82% dei progetti industriali che riguardavano le foreste, contro l’80% di prima. Nel bel mezzo della pandemia COVID-19, il governo varava programmi per esentare «estrazioni di carbone, produzione di cemento, fertilizzanti chimici, fabbriche di acidi e pesticidi […] nonché ogni aspetto connesso alla difesa nazionale alla sicurezza e a questioni strategiche» dalla pubblica consultazione.
Mitigazione
Cancellata la riduzione degli inquinamenti da centrali energetiche, e nella prima metà del 2016, decisi sedici nuovi impianti senza installate tecnologie di depurazione dell’aria. Il governo Modi reprime anche tutte le ONG ambientaliste, a fine 2014 fermava l’accesso ai fondi di finanziamento dall’estero a Greenpeace India in quanto fonte di «azioni antinazionali», e nel 2020 si rivolgeva contro gli attivisti di Indian Fridays for Future. Ha spinto per l’accantonamento delle cautele decise dopo la catastrofe di Bhopal nel 1984, con migliaia di morti e oltre mezzo milione esposti a veleni chimici di alta tossicità. Una crescita accelerata al costo di distruzioni ambientali che non è indipendente dai ragionamenti religiosi di Modi: strade per arrivare a mete di pellegrinaggio scavate attraverso territori ecologicamente sensibili, a volte senza alcuna consultazione o mitigazione.
Ma non mancano comunque anche certe azioni contro il cambiamento climatico. Chiare quelle delineate nella relazione di Modi sul caso Gujarat. Nel 2014, si sono quintuplicati gli obiettivi di energia solare entro il 2022, poi nel 2015, alla vigilia del vertice di Parigi sul clima, l’India ha espresso per la prima volta l’intenzione di limitare per legge le emissioni. Sempre nel 2015, Modi si è unito agli appelli di «Giustizia Climatica». E di nuovo si intrecciano argomentazioni religiose: il discorso è tenuto al congresso indù-buddista in cui il primo ministro propone alle due religioni – ma escludendo i musulmani – di sommare la propria sensibilità ecologica. A fine 2020, l’India conferma l’intenzione di intensificare l’impegno alla mitigazione.
Avventati
Ma al vertice COP26 l’India è coinvolta nell’annacquamento dei termini dell’accordo di uscita dal carbone. Qualcuno l’ha interpretato come discendente dallo storico sottosviluppo del paese, cosa indubbiamente vera, come dimostrano altri capitoli di The Rise of Ecofascism dedicati alle gestione della crisi climatica nella scia dell’era coloniale. Più in generale i difensori di Modi affermano che per uscire dalla stretta della povertà pare essenziale una crescita accelerata: certo un argomento forte. Ma le norme ambientali in gran parte favoriscono proprio chi vive in povertà, mentre BJP fa a pezzi anche quanto poco esiste degli aspetti deliberativi di gestione della cosa pubblica. Qui la mercatizzazione neoliberale e la deregolamentazione, insieme alla de-democratizzazione dello stato, viaggiano di pari passo con uno sbilanciamento reazionario e religioso delle politiche sulla natura, fino a classificare chi le contesta un «parassita». Se Modi fosse davvero interessato alla giustizia sociale o alla vita dei poveri, quelle politiche parrebbero davvero inadeguate. Invece la logica avventata del governo sul cambiamento climatico e la mitigazione si tradurrà in un disastro soprattutto per i poveri indiani, oltre che per il mondo intero.
Profughi
Cosa ci aspetta per il futuro? Visto l’elevato rischio degli effetti climatici per l’India, le politiche di adattamento sono importanti tanto quanto quelle di contenimento. C’è addirittura la possibilità che la citata convergenza ad unirsi violentemente contro i musulmani escludendoli si sommi agli effetti del clima. In questo contesto la ratifica del 2019 sull’emendamento alla legge di cittadinanza per i profughi perseguitati religiosi da Afghanistan, Pakistan e Bangladesh, esclusi i musulmani, potrebbe risolversi nel respingimento delle domande di musulmani per aiuti in caso di calamità. Come scrive Aranyo Aarjan, «con un governo nazionalista indù che ha dimostrato totale disinteresse per la vita delle persone, per il Bengala Occidentale, per l’impoverimento consistente delle popolazioni musulmane, con una lunghissima linea di confine col Bangladesh a maggioranza islamica, in un’epoca in cui incombono potenzialmente diciotto milioni di profughi per il solo innlzamento del livello del mare, ci sono solo orribili prospettive da considerare».
[Sam Moore e Alex Roberts sono gli autori di «The Rise of Ecofascism», pubblicato da Polity. Questo testo è un estratto]
da: Down to Earth febbraio 2022; titolo originale: Ecofascism and Indian nationalism – traduzione di Fabrizio Bottini – Immagine di copertina Lega Nerd