Tempo fa, il tribunale di Milano condannò Bernardo Caprotti, fondatore di Esselunga che ci dà i prezzi corti, per alcuni passaggi del suo libro autobiografico Falce & Carrello che avrebbero ingiustamente diffamato il concorrente Coop. Il complotto dei giudici – per usare un luogo ahimè comune – non finisce qui, anzi si allarga a molte migliaia di chilometri oltre l’Atlantico. Dove un altro tribunale, quello della contea di Graves, Kentucky, condannava nove appartenenti alla comunità Amish, che avrebbero ingiustamente intralciato il traffico viaggiando troppo lenti e senza esporre il catarifrangente previsto dal codice della strada. Che rapporto c’è fra le due notizie, rapporto che dovrebbe far scattare il sospetto di complotto internazionale dei giudici? Andiamo con ordine.
Esselunga Vs. Coop
In Italia vige un sistema di libera concorrenza, e nella grande distribuzione commerciale questa concorrenza si sviluppa su molti piani: la pubblicità, i prezzi, l’articolazione dell’offerta, la capillarità della penetrazione nei mercati locali e bacini territoriali. Quest’ultimo aspetto ha importanti risvolti urbanistici, che dipendono a loro volta da scelte politico-amministrative sull’assetto del territorio, le infrastrutture, le localizzazioni funzionali. Nel suo libro Falce & Carrello (Marsilio 2007) il fondatore di Esselunga Bernardo Caprotti sosteneva che era stato il rapporto particolare di alcune amministrazioni con la concorrenza Coop, invece del confronto sulla qualità dell’offerta, a far sì che le decisioni urbanistiche privilegiassero quest’ultima e la sua catena di supermercati. Alla fine i giudici hanno dato torto a Caprotti, al suo editore e a tutti quanti hanno partecipato al volume diffamatorio. Ma sotto sotto c’è qualcosa d’altro, ed entra in campo il giustizialismo della nostra cultura attuale.
È dai tempi di tangentopoli che si è fatta strada nel nostro paese una certa speranza, da parte del mondo progressista, di una specie di ruolo supplente della magistratura nei confronti di un ceto politico pietrificato, incapace di rinnovarsi, aggrappato in modo autoreferenziale ai vari livelli del potere. La conseguenza indesiderata e inopportuna di questo atteggiamento di massima, è di classificare automaticamente come «cattivi» i condannati, e come tendenzialmente «buona» qualunque controparte. Nel caso specifico il cattivo Esselunga che usa metodi sporchi per discutere le decisioni urbanistiche delle amministrazioni di sinistra a favore della catena di distribuzione di sinistra. Schematico, ma più o meno si può riassumere così.
E invece, legalitarismo a parte, proprio sul versante del territorio si può dire l’esatto contrario: Esselunga è buono, Coop è cattivissimo. I supermercati di Caprotti hanno da sempre (non per buon cuore intrinseco ma per scelta di mercato) una collocazione principalmente e sostanzialmente urbana, un discreto inserimento contestuale nel tessuto stradale e dei quartieri, un’accessibilità che pur ovviamente offrendo massimo spazio all’auto privata non esclude pedoni e ciclisti. Le cooperative sono state invece una delle teste d’ariete (insieme a un paio di operatori francesi) per l’ingresso in Italia dello shopping mall globalizzato, prevalentemente extraurbano, a orientamento automobilistico, a organizzazione edilizio-urbanistica introversa e autoreferenziale. In termini tecnici, sostenuti da lustri di studi accademici e non, il modello è lo sprawl energeticamente micidiale, che consuma suolo, fa male ai rapporti sociali, alla città, all’ambiente. Ma i sopracitati Amish, che ci azzeccano gli Amish?
Amish Vs. Codice della Strada
Stravaganti, questi religiosi ortodossi che in pieno XXI secolo continuano nel loro stile di vita tradizionalissimo, praticamente senza nessuno dei portati della civiltà industriale (intesa in senso davvero lato), a partire dai mezzi di trasporto: cosiddetto cavallo di San Francesco, ovvero i propri piedi, e il cavallo quello vero, magari attaccato a un calesse o carretto. È qui che la cultura Amish incrocia il braccio spietato della Legge: ehi gringo, fai quel che ti pare ma adeguati a un paio di regole quando vieni qui in città! Ovvero come prescrive il codice della strada appendi un catarifrangente al tuo carretto o calesse, che viaggia più lentamente delle auto. Giusto, no? Il giudice del tribunale applica la legge, la quale legge è ragionevole, e a modo suo distingue tra buoni (quelli che lasciano circolare i calessi purché non facciano male a nessuno) e cattivi (quelli che se ne vogliono andare in giro su quei trabiccoli pericolosi senza rispetto per nessuno). Ma come i magistrati italiani hanno diviso tra buoni e cattivi in generale in base ad alcune particolari discrezionalità di decisione urbanistica, così quelli del Kentucky devono per forza applicare il codice della strada. Il che fa scattare nel critico un campanellino d’allarme.
Qualcuno forse si ricorderà di una sentenza della nostra, di Corte Suprema, in materia di strade. Quella che sostanzialmente diceva: se la gente si schianta in macchina contro un albero è colpa dell’albero, nonché di quelli che sono responsabili della strada che gli passa troppo vicino. Una sentenza che ha immediatamente suscitato la sollevazione degli amici del paesaggio, degli esperti agronomi, e che avrebbe magari potuto suscitare molto di più anche in genere nelle persone pensanti. Perché le norme del codice citate sono le stesse che poi trasformano le strade extraurbane, e tendenzialmente anche le arterie urbane di scorrimento, in vere e proprie canne di fucile dove sono le auto a dettare legge, a determinare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, emarginando del tutto la componente umana quando non svolge il ruolo ancillare di conducente. Ecco in cosa sono sostanzialmente incappati gli ostinati Amish: in un altro codicillo stradale in tutto e per tutto modellato dall’industria automobilistica e dalla cosiddetta road gang (qui si chiamerebbe «sviluppo del territorio») che le apre tutti gli orizzonti!
In fondo quei calessi altro non sono che una metafora di tutti i pedoni, ciclisti, mamme con passeggino, disabili, costretti in un modo o nell’altro col sostegno della Legge a travestirsi da automobili o levarsi dai piedi. E pensare che i buoni Amish ci avevano anche provato a dire, siamo veicoli lenti e dobbiamo segnalarlo? Ok, c’è la possibilità di usare una luce come la lanterna, o una superficie riflettente efficace. Ma la legge è la legge, e quella scritta dalle case automobilistiche impone di diventare un simulacro di automobile: solo il sacro omologato triangolino catarifrangente è lecito! La strada non è più, a norma, un percorso per spostarsi, ma un’appendice del complesso industriale automobilistico-petrolifero, nello stesso modo in cui lo sono gli svincoli multi corsia, l’autogrill trappola urbanistica ed economica, la stazione di servizio senza sbocchi sulla viabilità locale, e naturalmente, naturalmente … lo shopping mall accessibile solo sulle quattro sacre ruote a motore. La profezia realizzata di Henry Ford, ovvero l’abolizione coatta della città, sostituita per legge dalla caricatura nazionalpopolare della Broadacre di Wright interpretata dal geometra Brambilla. Col timbro della magistratura.
Qualche conclusione (prima di prendere la macchina e andare a far la spesa al centro commerciale, imprecando dal finestrino contro i veicoli lenti che intralciano)
Naturalmente anch’io non la racconto davvero giusta, a partire ad esempio dal fatto che gli Esselunga di Caprotti non sono affatto la benedizione della città, alternativa sostenibile agli scatoloni della Coop incombenti sulla sterminata villettopoli … figuriamoci! Basta per esempio dare un’occhiata ai quartieri in cui il marchio l’ha fatta da padrone proprio in sede di proposta urbanistica, ovvero nei cosiddetti Piani Integrati di Intervento che erano il fiore all’occhiello delle giunte di centrodestra a Milano. O ai pochi esperimenti di quel marchio sul modello del centro commerciale extraurbano, che pur sporadicamente si vedono qui e là in Lombardia. Ma resta il fatto che giudicare un intero universo sulla base di vaghe simpatie non ci porta da nessuna parte: c’è un modello commerciale più accettabile e positivo di un altro, ed è quello del «cattivo» Esselunga contro i «compagni progressisti» della Coop. Perché nonostante le interessatissime chiacchiere di schiere di architetti sul centro commerciale «piazza del terzo millennio», sono proprio gli shopping mall della Coop a svuotare le piazze e riempire gli svincoli, meno pedoni e più puzza di scarichi, più gente che se ne va dai quartieri verso le villette isolate, più campagna che si trasforma in chiazze di fango in attesa del prossimo capannone. Non è uno scenario apocalittico, ma solo quello che succede da decenni ovunque si innescano questi meccanismi.
E la strada moderna, anche in senso filosofico, quella che fa paura attraversare, quella da quattro corsie con guard-rail o quei micidiali blocchi di cemento New Jersey «provvisori», con la passerella pedonale sopraelevata odiata da qualunque pedone, con gli ingressi delle vie secondarie e poderali regolamentati manco fossero il mitico Check Point Charlie berlinese da guerra fredda di spie, si ramifica dappertutto. Se non siamo in macchina diventiamo collettivamente delle fotocopie conformi degli ortodossi Amish coi loro calessi: vorremmo provare a adattarci, ma non c’è niente da fare, detta Legge il più forte. E a loro modo hanno in fondo ragione quelli che se la prendono con la magistratura pregiudizialmente ostile. Per essere più precisi: hanno ragione non tanto nel merito, quanto nel metodo, ovvero di provare in ogni modo a cambiare le leggi.
Le decisioni sull’assetto del territorio e le localizzazioni funzionali, a quali criteri dovrebbero rispondere? Spesso oltre all’antico e diciamolo un po’ ridicolo obiettivo di «assetto igienico e razionale dei centri abitati» (come recitano i testi sacri) le scelte delle amministrazioni sulla forma dell’insediamento sono dettate dalle cosiddette esigenze dello sviluppo. Il che significa in sostanza attività economiche, commerciali, edilizie, industriali, in seconda battuta magari «compatibilizzate» con qualche intervento a valle. Solo da qualche anno si sono introdotte qui e là cautele sul contenimento del consumo di suolo, ma in generale manca una adeguata sensibilità ai caratteri tipici della dispersione. Al punto che in alcuni strumenti di programmazione territoriale mi è capitato di leggere della cosiddetta «città diffusa» come di una importante risorsa, anziché un problema ambientale.
Ecco: bisognerebbe imparare efficacemente a cambiare norme, culture, strumenti di comunicazione, magari andando un po’ oltre l’assessorile «misura d’uomo» che ci ritroviamo in tutti i programmi elettorali senza capire mai cosa voglia dire. La magistratura e la legge altro non sono che espressione della società, anche se a volte la cosa non salta immediatamente all’occhio, e tutto quello che di brutto ci succede è colpa nostra, che in combutta con Esselunga e Amish abbiamo combinato un sacco di sciocchezze. Ma forse si può ancora rimediare.