Una lungimirante programmazione autostradale può cambiare l’esistenza di ogni abitante del paese, che sia o non sia un automobilista. Le strade arrivano ovunque: aree rurali, cittadine minori, periferie e grandi centri. Senza arterie adeguate tutte queste zone soffrono isolamento e sottosviluppo. Già nel 1807 Albert Gallatin dichiarava che per «unire intimamente in una sola comunità di interessi anche le più remote regioni degli Stati Uniti» c’era bisogno di comunicazioni rapide ed efficienti in tutto il paese. Serio e impegnato Ministro del Tesoro, Gallatin non era certo un fanatico visionario. Esprimeva solo sano buon senso, valido oggi tanto quanto ieri. La sua proposta era che, semplicemente, fossero utilizzati i proventi governativi federali dalla vendita di terreni pubblici, a finanziare la costruzione di strade e canali. Non pareva comunque cosa di buon senso a parere dei nostri concittadini del 1807. Pareva invece un tradimento della Costituzione. I prudenti seguaci di Jefferson allora al potere interpretavano il nostro documento fondativo molto alla lettera, specie la clausola che dava ai singoli stati ogni potere non esplicitamente assegnato al governo federale.
Il quale governo federale non poteva quindi intervenire direttamente con opere entro i confini degli stati, salvo per quanto riguardava la navigazione portuale, le coste, i Grandi Laghi. Il piano di Gallatin fu archiviato. Un secolo più tardi, un altro uomo in un’altra carica ripensò in grande ai bisogni della nazione. Theodore Roosevelt, che non era certo un “costituzionalista letterale”, realizzò un canale. E per quel motivo venne considerato un pericolo, un impulsivo, quando tutto quanto aveva deciso era che la navigazione fra Atlantico e Pacifico doveva essere collegata, e il governo federale era l’unica entità in grado di farlo. Decise anche che, visto che il denaro era federale, federale fosse anche il controllo degli investimenti e la gestione. Immaginiamo che Theodore Roosevelt, parimenti spinto da una idea di destino nazionale, avesse trasferito questo pensiero espresso col Canale di Panama direttamente sul territorio americano, individuando la necessità di un sistema stradale, che allo stesso modo della via d’acqua potesse «unire intimamente in una sola comunità di interessi anche le più remote regioni degli Stati Uniti».
Certo ci sarebbero state fortissime opposizioni, ma i Roosevelt sulle opposizioni ci prosperano. E l’idea avrebbe dovuto essere filtrata tra gli americani, di avere sino a quel momento operato in materia di strade a pezzi, con una folle rete discontinua priva di strategia. Avrebbero capito allora che le strade potevano essere concepite come un unico grande sistema, con un effetto sullo sviluppo dell’intero paese e delle sue risorse naturali. Oggi, di conseguenza, ciò sarebbe di incalcolabile valore, le strade nazionali un capitale inestimabile, con le nuove potenzialità dell’automobile da mettere immediatamente a frutto. Ma qui sta il punto: allora l’automobile era qualcosa di completamente nuovo, neppure Theodore Roosevelt aveva idea delle sue possibilità future per la nostra civiltà. Le risorse per la costruzione di strade andarono quindi spese nel solito modo.
Dai tempi di Theodore Roosevelt a oggi, si sono realizzati oltre 800.000 km di strade negli Stati Uniti. All’inizio, soltanto il 7% non era attrezzato con qualcosa di meglio di una superficie in ghiaia, e anche oggi in tutto non andiamo oltre circa il 25%. Interessante notare come, se tutto lo sviluppo realizzato a partire dai tempi del primo Roosevelt a quelli del secondo, fosse avvenuto sulla base di un programma generale, oggi avremmo un paese completamente diverso. Ma nonostante siano passati più di trent’anni, non esiste ancora un piano nazionale per un sistema stradale. Non si realizzano arterie nelle zone di popolazione sparsa, a «unire regioni remote». Nel 1940, le strade si costruiscono principalmente fra i maggiori centri. Quando si intraprendono “opere viabilistiche” la procedura di norma è quella di considerare zone già molto popolate, ricche di strade e traffico, e quindi realizzarne altre per facilitare quel traffico. Con l’unico risultato di indurne ancora, di traffico, fra quei centri molto densamente popolati e collegati, e alla fine un circolo vizioso che porta dalla concentrazione di persone e traffico, alla sovra-concentrazione.
E contemporaneamente esistono vaste regioni degli Stati Uniti che restano poco popolate, isolate, sottosviluppate. Territorio non sfruttato ma spesso di immenso valore, potenzialmente assai utile, che comprende aree magnifiche, solo un po’ fuori dai soliti circuiti. Si potrebbero realizzare delle materia stradale non ci accorgiamo del rapporto fra le infrastrutture, le tendenze demografiche, le trasformazioni economiche che ne potrebbero derivare. Non consideriamo le strade in modo innovativo nelle loro funzioni. Le ferrovie non si sono certo fermate una volta raggiunti i centri di popolazione esistenti a est del Mississippi, hanno contribuito a portare popolazione oltre, il Mississippi. Si sapeva che c’erano, ad aspettare, i territori del granturco, delle praterie, che tutto ciò di cui c’era bisogno erano gli uomini per coltivare. Portateci gente, e la gente coltiverà, e le ferrovie si arricchiranno trasportando i prodotti verso i mercati dell’est. Così le ferrovie proseguirono, anticipando la popolazione, mentre le strade da sempre la popolazione la seguono.
Oggi l’America pare aver superato la fase in cui si costruiscono freneticamente strade indispensabili nella scia della crescita di popolazione. Non vuol dire, anche, dover abbandonare una fase di azione passiva? La rete stradale può servire a un’altra funzione nuova. In alcune regioni del paese abbiamo un forte sovraffollamento, mentre in altre ci sono grandi spazi aperti, e dunque sono ampiamente auspicabili spostamenti di popolazione. È possibile, oggi, far sì che la realizzazione di strade preceda la popolazione, che la determini deliberatamente. Se osserviamo uno schema di certi flussi di traffico comprendiamo sino a che punto ciò avviene, rappresentando su una mappa i flussi con linee di larghezza variabile. A livello nazionale, la parte orientale del paese risulta coperta da strisce larghe, che significano molte strade e molto traffico: per chi si occupa di strade il problema principale è alleviare la congestione di popolazione e traffico. A ovest del Mississippi le medesime linee appaiono molto più sottili e rade, perché esistono meno strade e traffico: in atre parole qui il problema è sfruttare lo spazio.
La porzione occidentale degli Stati Uniti è certamente assai vitale, ricca di luoghi gradevoli e salubri, paesaggi eccezionali. Via via più accessibili diventano le risorse idriche e agricole grazie alla realizzazione di dighe e reti, essendo il sistema dell’irrigazione assai più affidabile dei cicli delle piogge. Restano ancora da mettere a frutto il grande potenziale idroelettrico dell’ovest; o le riserve forestali, in generale l’immensa ricchezza naturale. Negli Stati Uniti non siamo ancora arrivati al punto, già raggiunto da tante nazioni, di staticità della popolazione totale. Negli ultimi vent’anni gli abitanti sono aumentati di oltre venti milioni. Si stima che nel 1960 la popolazione sarà cresciuta di altri quindici milioni. Aumenta anche la concentrazione, con le grandi città sempre più grandi. L’area di New York, già oggi oltre i tredici milioni di abitanti, si stima ne avrà sedici milioni nel 960. Insieme alla crescita quantitativa, arriva un incremento della mobilità. Le persone si spostano facilmente, come mai avvenuto nel passato. Si prevede che il traffico motorizzato raddoppierà nei prossimi vent’anni, e crescono i raggi degli spostamenti.
All’est cresce rapida la congestione, avvicinandosi a un punto di saturazione. Per rompere il cerchio, è necessario trovare sbocchi, decentrare, redistribuire, trovare spazi di sfogo, questo è necessario in futuro. Una necessità da affrontare con un programma stradale nazionale. Più e oltre questa inefficienza e obsolescenza, pesano altri elementi sulla possibilità di redistribuzione nazionale. Uno è il conflitto locale, o meglio la miope rivalità fra Stati. Ostacolo che di recente si è frapposto sul percorso del vitale settore di trasporto su camion americano. Così gli stati non solo danneggiano uno specifico settore, ma tutto il decentramento nazionale. La mancanza di cooperazione, o peggio l’antagonismo, rallenta la crescita del commercio inter-statale. Il 60% di tutto il traffico automobilistico è per motivi di lavoro, secondo i dati ufficiali federali dell’ente responsabile. E in molte zone del paese tutto viene ostacolato da una serie di sciocche limitazioni statali. Ovunque si regolamentano dimensioni o pesi dei veicoli, con un infinito elenco di restrizioni: in Iowa i camion devono avere tre luci verdi di sicurezza; nel confinante Missouri si richiede di non averle. Dettagli tecnici che costano agli operatori, e disorientano gli utenti, spesso spinti da pressioni degli enti responsabili al trasporto.
Si creano confini artificiosi tra gli Stati, in alcuni casi con veri e propri “cancelli di ingresso” simili a uffici doganali. Per quanto riguarda il trasporto stradale, basterebbe un regime di imposte aggiuntive statali sulle merci per trasformare il paese in un confuso coacervo di quarantotto stati sovrani. La Costituzione naturalmente proibisce queste imposte aggiuntive, ma in certi casi esistono “guerre di confine” tali da paralizzare letteralmente la circolazione stradale. Nel 1932, ad esempio, un rappresentante dello Stato dell’Indiana affermava: «Rileviamo inadempienze in quasi tutti i camion del Kentucky, fermando quasi il 100% dei conducenti». Conflitti sciocchi e costosi, questi. Il governo federale elargisce abbondanti risorse per la realizzazione e trasformazione di strade, e ha un interesse a scala nazionale, che riguarda anche aspetti di sicurezza e sviluppo inter-statale. Possiamo consentire che ostacoli si interpongano al commercio fra Stati? Sono in molti, singoli e organizzazioni, ad aver invocato da parte del governo federale una azione più diretta per le costruzioni stradali e la diffusione nazionale.
Ci sono enti quali la American Automobile Association, lo Highway Research Board del National Research Council, o la American Road Builders Association, che hanno condotto studi e ricerche. Ma senza andare oltre la superficie del problema e toccare la questione fondamentale: quale potrebbe essere la base di un sistema nazionale. Mentre l’orientamento diffuso oggi parrebbe proprio pendere verso un sistema simile, visto che oltre al programma stradale presentato l’anno scorso dal responsabile dello United States Bureau of Public Roads, esistono due disegni di legge già discussi al Congresso. Secondo la proposta Bulkley, del 1938, si crea una United States Highway Corporation, per realizzare e sviluppare una rete di dieci autostrade nazionali all’avanguardia ingegneristica e per la sicurezza. Tre delle dieci scorrono da est a ovest, tagliate perpendicolarmente da sette nord-sud. Ciascuna delle arterie si compone di 4-12 corsie su una fascia di rispetto larga almeno cento metri. Superfici aggiuntive vengono acquisite secondo la procedura di esproprio detta excess condemnation. Il valore di tali superfici aumenta con la stessa realizzazione delle autostrade. I proponenti ritengono che così, rivendendole, si possano coprire almeno in parte i costi di realizzazione.
Il piano proposto dal deputato Snyder nel 1939, prevede la costruzione su iniziativa del Ministero dell’Interno di nove autostrade, per un totale di circa 26.000 chilometri. Molto simile alla proposta Bulkley, questo programma è ancora in attesa al Congresso. Ciascuna autostrada qui è larga circa trenta metri su una striscia complessiva larga 450. Le arterie evitano le città e altri centri abitati, salvo quando non esiste altra possibilità. Se già esiste una strada costruita sul medesimo percorso, si può intervenire adeguando il tracciato ai criteri del sistema. La questione aperta è se si debba trattare o meno di autostrade a pedaggio: non lo si è deciso. Il Bureau of Public Roads, diretto da Thomas H. MacDonald, è stato incaricato dal Federal Highway Act del 1938 a verificare la fattibilità di tre autostrade est-ovest e altre tre nord-sud, con uno sviluppo totale di 23.000 chilometri, nella prospettiva di una redistribuzione della popolazione e attraversando il maggior numero di Stati possibile. Inoltre la localizzazione delle autostrade dovrebbe essere tale da raccogliere i pedaggi maggiori.
Nello sviluppo del suo progetto il Bureau of Public Roads ha collocato le proprie autostrade su tracciati del tutto nuovi rispetto alle strade esistenti, salvo in due casi. Si raccomanda di evitare città e centri abitati, ma di non stare troppo lontani per attirarne il traffico. Le vie si collocano su una striscia di terreno la cui larghezza varia da un minimo di 100 metri nelle zone rurali, a un minimo di 50 metri nelle aree urbane. Tre quarti di queste autostrade sono a due corsie, con la possibilità di aggiungerne altre nella striscia di pertinenza in futuro. Un quarto sono a quattro corsie con una striscia centrale parkway. Dopo le specifiche e i percorsi, l’ufficio precisa che i costi non possono essere coperti dai pedaggi, e quindi non esiste una giustificazione economica.
In alternativa al sistema a pedaggio, il Bureau for Public Roads propone quello che definisce un Piano Generale per Strade a Libero Accesso. Che prevede la realizzazione di una rete di strade interregionali. Ovunque possibile dovrebbero incorporare tracciati e opere esistenti, e nella scelta di altri percorsi preferire i collegamenti fra grandi città. In questo caso le città vengono attraversate grazie a opere adeguate, e se necessario realizzati attorno ai grandi centri anelli stradali ad accesso controllato. Il piano del Bureau è per una rete complessiva di 43.000 chilometri. Tutte le varie proposte indicano una tendenza a collegare le città in una rete arbitraria, che funge principalmente come rimedio degli attuali problemi di traffico, anziché guardare al futuro. Ma il problema si potrebbe risolvere definitivamente solo coordinando meglio traffico e necessità della popolazione: non basta guardare alle necessità attuali, occorre anticipare quelle future. Va ripensata una rete congestionata, quei flussi di traffico nazionali dovrebbero mostrare una più omogenea distribuzione.
Ogni giorno di ritardo fa aumentare i costi. Il notevole interesse del pubblico e la quantità di proposte fatte, hanno un rovescio della medaglia: si allontana la possibilità di una decisione unanime. Esistono gruppi nel paese che senza sosta lavorano non solo contro la riforma del sistema autostradale, ma contro i principi che la sottendono. Qualche anno fa a un convegno di settore, il presidente di una compagnia ferroviaria ha affermato: «È nostro interesse che le strade restino congestionate. Se possiamo fare qualcosa in questo senso, noi lo faremo. Forse oggi si manifesta una necessità di attraversamenti automobilistici … ma noi ci opporremo a tutti questi progetti, ne fermeremo la realizzazione per molti molti anni. Se il pubblico non sopporta le strade intasate, che prendano il treno». Ma non c’è dubbio che atteggiamenti del genere non sono più così diffusi, sta finendo l’epoca della spietata concorrenza nel campo dei trasporti.
Nel 1960, le antiche faide saranno di certo superate, e le energie e il tempo sprecati in guerre distruttive si potranno dedicare all’unico scopo di migliorare il sistema di trasporti e comunicazioni, per il vantaggio di tutti. Ma non basta superare il metodo attuale delle strade locali mordi e fuggi, sostituendolo con tante strade a scala superiore. Occorre sostituire la finta pianificazione con una vera pianificazione. Costruire strade come si fa oggi non libererà certo il paese dalla probabile congestione del futuro. Le strade si devono inserire in un programma più generale di diffusione nazionale, di eliminazione dei particolarismi e fisime locali, di superamento dei doppioni e parallelismi, comprendendo fattori geografici, economici, tendenze demografiche. Così si fa la differenza. L’esistenza di enormi “superfici abbandonate” in un paese dove quelle di tipo metropolitano spesso raggiungono valori di scambio di migliaia di dollari al metro, indica uno squilibrio, a cui dobbiamo porre rimedio. E il momento attuale pare assai opportuno: tra le nazioni oggi i liberi scambi sono stati resi impossibili, e noi dobbiamo sviluppare questi liberi scambi nel nostro mercato interno: qui le superfici abbandonate sono intollerabili tanto i trasporti inadeguati.
Un sistema autostradale può trasportare le persone dal sovraffollamento verso gli spazi disponibili dell’Ovest. La Interstate Commerce Commission afferma che dei 125.000 nuclei urbani di una certa dimensione del nostro paese, sono 45.000 quelli privi di servizio ferroviario di qualunque genere o nodo di trasporti merci. Possono contare esclusivamente sulla rete stradale nei contatti col mondo. Sei milioni di aziende agricole, con una produzione totale del valore di dodici miliardi di dollari, dipendono dalle pubbliche strade come unico strumento di distribuzione. Senza quelle strade, nessuna distribuzione. Se esistesse un sistema autostradale nazionale, si svilupperebbero il commercio, e il valore dei terreni: aumentate le strade di un paese, e ne farete aumentare la ricchezza
Estratto da: Magic Motorways, Random House, New York 1940; titolo originale del capitolo: The need for increased distribution – Traduzione di Fabrizio Bottini
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