Diversi anni fa scrivevo questo piccolo reportage dai territori attraversati da un’autostrada vistosamente inutile e perniciosa. Finalmente pare che la coscienza di quanto il modello di sviluppo sotteso a questi progetti sia assurdo, stia diventando più diffusa. E forse val la pena ripercorrere, punto su punto, quelle antiche riflessioni
Che ci guadagni qualcosa il Pantuflè? In italiano fa letteralmente il Pantofolaio, ed è un negozio di calzature “moderno” sulla statale Padana Inferiore nell’Oltrepo pavese, appena fuori Redavalle, verso Broni. L’edificio del Pantuflè è esattamente il tipo di scatolone che il magico svincolo della Lisbona-Kiev-bis previsto un pochino più a nord-ovest di lì, dovrebbe diffondere copioso in tutta la pianura, inseminando appunto svincolo dopo svincolo le terre attualmente sprecate da inutili risaie.
Sembra più o meno questa, la filosofia alla base dell’autostrada regionale lombarda nota come Broni-Mortara, ma appunto solo piccolo tassello di un’idea del mondo. Un mondo di scatoloni.
Sono già state dette molte cose, serie, documentate, contro questa ennesima grande opera utile soprattutto a chi la costruisce. E non è il caso di ripeterle, salvo riassumerne in due parole una delle idee di fondo (molto in fondo): raddoppiare il sistema dei grandi flussi est-ovest noto come Corridoio 5, dall’asse pedemontano dell’A4-Ferrovia all’ex cuore verde padano, ovvero dal Monferrato alla bassa padovana. La megabretella che raccorda queste due linee parallele, è un tracciato che da un nodo autostradale nelle risaie a sud di Vercelli, si ricollega dopo una sessantina di chilometri verso sud-est, a un altro percorso autostradale ai piedi delle colline dell’Oltrepo pavese. A un tiro di sasso dal Pantuflè. Che sembra essere, per così dire, la sua “ragione sociale”, almeno simbolica.
In principio c’è sempre una road gang, la banda di quelli dei lavori pubblici, delle strade in particolare e tanto per cominciare. L’hanno raccontato per decenni centinaia di ricercatori e giornalisti, come quella delle strade sia sempre e comunque una scusa: quelle che servono anche per andare da un posto all’altro, così come quelle che servono solo a chi le fa. E in questo caso sposerei il giudizio di chi opta soprattutto per la seconda ipotesi. Ma restiamo alle imprese delle road gang, e della loro parola d’ordine per niente segreta: lo svincolo. Nel caso specifico la parola d’ordine si pronuncia ben sette volte. Sette volte, ovvero una volta ogni meno di dieci chilometri, il che ragionando in una prospettiva continentale sembra una sciocchezza. E lo è. Ma qui la prospettiva non è affatto continentale, e quegli svincoli sono il sale della vita. Gli orifizi da cui il serpente spargerà le sue uova a forma di piccoli e grandi cloni del Pantuflè. Per dirla in linguaggio esotico: la road gang vuole fare lo sprawl. Per dirla in italiano, il partito autostradale vuole cementificare il territorio con la scusa dei corridoi europei. Per dirla – obiettivamente – con le parole della relazione tecnica del progetto: “La nuova infrastruttura si pone l’obiettivo di separare, a livello regionale, il traffico di scorrimento da quello locale e di offrire un servizio ed un’opportunità di sviluppo produttivo alle aree dell’Oltrepo e della Lomellina”1.
Il servizio e opportunità di sviluppo, di development si dice in alcuni ambienti con traduzione un po’ forzatuccia, viene erogato appunto attraverso lo svincolo.
E dunque la lettura di queste opportunità virtuali di crescita (naturalmente di crescita edilizia perbacco!) si può già cominciare a fare a partire dagli svincoli. Nel senso che lì non c’è ancora niente, salvo quelle inutili risaie, buone al massimo (si mormora in alcuni ambienti) per fare un po’ di etanolo di alta qualità per i SUV del domani. Non sono ancora cresciute quelle belle distese di scatoloni, come per esempio nelle ex risaie di Vicolungo, dove il Corridoio 5 ne incrocia un altro, e ora invece dei tristi acquitrini ci sono un bell’Outlet, un Parco Logistico, un Parco a Tema, qualche lottizzazione sparsa di villette che cresce rigogliosa, molte rampe, svincoli, rotatorie e tanti, tanti comodi parcheggi. Qui in Lomellina queste cose non ci sono ancora, ma si può iniziare a immaginarle guardando gli svincoli, e quello che ci sta attorno.
A partire dall’attacco – o junction, a piacere – col tracciato della A21 Torino-Piacenza (e poi Cremona-Brescia; potenzialmente Mantova-Kiev via Nogara). Siamo quasi direttamente a nord del Pantuflé, ovvero nei pochi spazi liberi lasciati dallo schiacciamento urbanistico determinato da autostrada, Padana e pendii collinari. Nel senso che, come riconosce anche il Piano Territoriale della Provincia di Pavia, qui si tocca con mano “un continuum urbanizzato da Voghera fino a Stradella che si sviluppa ulteriormente nella direzione rispettivamente di Alessandria e Piacenza”2. Continuum che inizia a sgranarsi appunto risalendo verso il corso del Po, in particolare dopo aver scavalcato la A21, dove iniziano le grandi campiture delle coltivazioni, i piccoli insediamenti compatti dei paesi raccolti attorno al campanile, e poi le prime strade sugli argini avvicinandosi al fiume. Ci vuole poco a immaginarsi l’effetto, per così dire, “collaterale”, dei vari lavori di realizzazione dell’aggancio autostradale, e dei cavalcavia circostanti, diciamo nella zona attorno all’abitato di Barbianello, appena a nord-ovest di Broni. In fondo basta poco: una rotatoria, uno slargo, un distributore con lavaggio auto fai-da-te, un paio di scatoloni multiuso … ed ecco che il famigerato continuum, che prima qui diventava un po’ meno continuo, inizia la sua avanzata trionfale verso il Po.
Ma la derivazione di Broni è solo l’inizio, visto che se non altro replica e interpreta a suo modo cose già visibili, altrove e da queste parti, come le varie aste delle statali che partono dal nastro di scatoloni commercial-artigianali della Padana e si inerpicano verso nord, formando altri nastrini, in via di rigoglioso sviluppo, a giudicare dai piazzali polverosi e dal traffico mediamente confuso.
Quello della zona di Verrua Po, è invece un vero ambiente di pianura piuttosto tradizionale, già molto simile per certi versi a quello che si snoda poi lungo il corso del fiume nel mantovano, nel parmense e oltre. Ci sono le strade degli argini, le idrovore, la separazione netta fra campi, aree abitate compatte a sud dell’argine maggiore, gli spazi del fiume appena a nord, anche dove nei periodi normali il grande fiume è piuttosto lontano.
Per immaginarsi vagamente l’effetto che potrebbe avere qui anche solo lo svincolo con casello (e non è vero, si sa, che tutto finisce lì) basta farsi una scampagnata per esempio nell’alta pianura piemontese, dove per via della linea ferroviaria ad alta velocità sono stati sottoposti a refurbishment appunto tutti i cavalcavia, svincoli, raccordi. E dove si vedono, che so, fra la cascina del cugino Piero e quella del cugino Mario, inerpicarsi rampe cementizie elicoidali degne di una copertina di Flash Gordon, quattro corsie fasciate di guard-rail doppio zincato a prova di autobomba … percorse un paio di volte la settimana dal trattore, con o senza rimorchio, e che dopo qualche centinaio di metri tornano ad essere strisce di terra battuta. Ma già, ci diceva la relazione del progetto che con quello svincolo arrivano qui anche “un servizio ed un’opportunità di sviluppo produttivo alle aree”. Brrr!
Dopo Verrua il tracciato scavalca il Po con un lungo viadotto (tre chilometri e mezzo) e atterra … nel Parco Ticino. Più precisamente, dato che di autostrada si tratta, e che di solito queste cose non vengono posate direttamente sulla testa delle persone, nel caso specifico si occupa il poco spazio libero rimasto a sud di Pavia, per realizzare appunto lo Svincolo Pavia Sud. Sia lo scavalcamento del Po, che la chiusura dell’anello di tangenziali attorno al capoluogo sulle rive del Ticino, sono un’esigenza abbastanza oggettiva del territorio (lo si capisce dalle incredibili code sulla Statale dei Giovi al ponte di Bressana Bottarone, e più a nord al raccordo con la strada dei Cairoli ai margini dell’abitato di San Martino Siccomario. Cosa c’entri però tutto questo con il pendolarismo Lisbona-Kiev, e relativa occupazione di una enorme area libera, appena a nord del piccolo borgo rurale di Torre de’ Torti, in comune di Cava Manara, non è chiarissimo. Chiarissima appare invece l’occupazione di spazi in modo diretto, la modifica della rete viaria, l’attestarsi col grande svincolo di Pavia Sud di una direttrice che da qui in poi seguirà un tracciato più o meno parallelo a quello dalla strada dei Cairoli, staccato di alcune centinaia di metri … a ripetere il prevedibile effetto corridoio insediativo già visto e sperimentato in tante altre occasioni.
Ovvero gli svincoli autostradali che alimentano il traffico sulla vicinissima e parallele strada, e il relativo rigoglioso sbocciare di raccordi, rotatorie, traverse, lotti edificabili e rapidamente edificati. Il tutto con una linea parallela al corso del Ticino, virtualmente (ma non troppo) sottoposto ad una pressione di attraversamento in un tratto piuttosto lungo dove non esistono ponti, salvo quello di chiatte a Bereguardo. La valle del Ticino, col primo gradino di dislivello giusto al margine della strada, appare visibilissima più o meno nel punto in cui dovrebbe nascere il secondo grande nodo della futura autostrada. Ovvero qualche centinaio di metri a sud dell’abitato di Gropello Cairoli, dove in mezzo a quelle che ora sono banalissime risaie dovrebbero salire le gloriose rampe del raccordo con l’A7 Milano-Genova. Adesso qui le uniche rampe sono quelle di un cavalcavia poderale con strada non asfaltata, che guarda sui campi di riso, sul piccolo abitato di Gropello, e nelle giornate di bel tempo si vedono sia le colline dell’Oltrepo che le Prealpi a nord.
Per immaginare qualche forma di “effetto collaterale a medio raggio” di questo raccordo autostradale, ovvero di urbanizzazione a scatoloni e affini, basta percorrere a ritroso la strada dei Cairoli verso Pavia, e raggiungere la rotatoria all’altezza dell’abitato di Villanova d’Ardenghi, uno dei borghi che segnano l’ingresso nella valle del Ticino vera e propria. Proprio quella rotatoria marca il punto in cui la strada secondaria emerge dalla valle del fiume, e si inoltra poi nei campi a risaia, fino al passaggio a livello della ferrovia per Mortasa qualche centinaio di metri più a sud. Qui lo spazio fra la rotatoria e l’inizio delle risaie dopo il passaggio a livello e la stazione di Villanova è occupato da un corposo esempio di “opportunità di sviluppo produttivo alle aree”, ovvero la solita manciata di scatole grigie di varie dimensioni, più qualche villetta sparsa. Non c’è nessuno svincolo, qui, solo la vecchia stazione ferroviaria, e quello che una volta era il crocicchio fra la strada dalle sponde del Ticino verso Zerbolò, e quella da Pavia a Mortara. Figuriamoci lo “sviluppo” a Gropello, e naturalmente in sedicesimo lungo tutta la striscia segnata dalle parallele dell’ex statale e della futura Broni-Lisbona!
Non c’è da stupirsi che le associazioni ambientaliste abbiano duramente contestato la presidenza del Parco Ticino, che si era dichiarata possibilista rispetto al progetto della Broni-Mortara. In effetti appare quanto meno di basso profilo, il responsabile di una straordinaria (da ogni punto di vista) risorsa paesistica ambientale, minacciata da anni e da tutti i lati da invasioni di ogni tipo, che dichiara: “Il Parco, e questa la considero e la rivendico come una vittoria dell’ente, ha chiesto ed ottenuto dalla Regione Lombardia che l’autostrada Broni-Mortara venga sottoposta ad una formale procedura di valutazione ambientale strategica”3. In effetti ci si aspetterebbe qualcosa di più, con una autostrada che non solo “striscia” su buona parte dei margini occidentali del Parco, ma che tutti giudicano inutile, ed è dichiaratamente tesa a uno sviluppo che aumenterà le pressioni lungo tutto il fronte.
Lo confermano se necessario gli svincoli di Garlasco e Tromello, molto vicini l’uno all’altro, entrambi posti a meridione di già spropositate “tangenziali” della strada dei Cairoli attorno ad abitati di piccolissime dimensioni, e che interessano direttamente sia una vasta area ancora a risaie, sia il piccolo nucleo ora isolato e autonomo di Alagna Lomellina. Anche qui, si può trovare un folkloristico “precedente”, e stavolta senza andare per niente lontano, anzi ci si arriva con una bella (lunghetta ma salutare) biciclettata, infilando la stradina che da Garlasco si infila verso nord oltre il passaggio a livello. È nel pieno del Parco Ticino sulle strada stretta che attraversa il piccolo centro di Zerbolò, che si può ammirare un intervento di “compatibilizzazione” dell’A7 Milano-Genova, che qui passa praticamente sopra il campanile. E in effetti è comunque orribile, ma potrebbe essere molto peggio, quel coso coi pannelli antirumore pieni di rondinelle finte che attraversa il cielo del paesino. L’effetto vero, però, non si nota qui: è più sottile, e riguarda la permeabilità dei campi, del sistema dei canali e viottoli, l’effettiva frequentazione, uso, manutenzione degli spazi. Basta appunto proseguire un pochino, in bicicletta, per trovarla subito, implacabile per quanto nascosta da ammassi di verde, la muraglia invalicabile (salvo un piccolo pertugio in un pioppeto, che immette sulla direttrice ciclabile per Bereguardo).
Ecco, girando ora negli spazi apertissimi che iniziano nelle frange esterne di via “Alagna” a Garlasco, o di quella corrispondente che si dirama dalla circonvallazione di Tromello e converge verso il medesimo punto, più o meno vicino al corso del Terdoppio, è difficile immaginarseli gli orizzonti chiusi, quei filari fitti fitti di alberature che spuntano dal nulla, e naturalmente le immancabili rampe, piazzale dei caselli, raccordi, e via dicendo. Per non parlare naturalmente del fatale sviluppo dei cloni di Pantuflé che decideranno eventualmente di piazzarsi nel nuovo mercato scavato dalle fasce e bretelle varie. Forse (forse) ci verranno risparmiate le rondinelle finte di plastica sui pannelli antirumore sopra il campanile di Alagna. Che non fanno neanche primavera, solo silenzio.
Si allontana un po’ dal parco del Ticino, il tracciato dell’autostrada, per lo svincolo a sud di Mortara, dove si replica in parte e con qualche variante quanto già descritto nel caso di Pavia, ovvero una saturazione di spazi liberi. Addirittura, qui, in quella che è per ora la ragionevole testa di ponte dell’autostrada (i tratti successivi verso ovest paiono assai a rischio), la saturazione della fascia verde meridionale, a sud della circonvallazione della strada dei Cairoli e dell’attuale zona produttiva-commerciale, si replica un “effetto Vicolungo”. Per dirla col travolgente linguaggio della pubblicistica specializzata: “in questo habitat dai colori leonardeschi … un’idea probabilmente unica, assolutamente originale per l’Italia; sia per contenuti e finalità, sia per modalità di approccio: rivitalizzare un’estesa area agricola, quella di Mortara, trasformandola in polo logistico”4.
Cosa ci sia di “probabilmente unico in Italia” nel tappezzare inopinatamente di cemento e asfalto un’area agricola come quella fra l’abitato di Mortara, i nuclei di Olevano Lomellina e Castello d’Agogna, sull’omonimo corso d’acqua che alimenta le risaie dal novarese in giù, non è chiarissimo. Forse per verificare questa unicità è ancora utile un’occhiata parallela, all’ennesimo svincolo e relativo contesto di atterraggio. Al momento, per entrare nella versione locale dello “habitat dai colori leonardeschi” si può imboccare una delle stradine che convergono verso Olevano. Quella dalla zona industriale di Mortara, appena prima del cavalcavia ferroviario e del bivio per Vercelli; oppure a piacere le altre due, dalla periferia di Castel d’Agogna, attraverso un passaggio a livello, e dall’abitato di Cergnano, sulla statale per Tortona. Si replica per molti versi quanto già visto a sud di Garlasco e Tromello verso Alagna: strade a sezione ridotta, risaie, fossi, in una ambientazione rurale padana che mostra qualunque segno fuorché quello dell’abbandono. E a modo suo qualifica così,anche senza troppe parole, che idea di “rivitalizzazione” aleggi negli uffici condizionati di finanzieri e decisori vari.
Lo svincolo di Mortara si colloca più o meno a metà fra gli abitati di Cergnano e Olevano, in quello che al perfetto progettista stradale deve apparire come l’ennesimo “vuoto” pronto all’uso, qualche centinaio di metri a nord della strada proveniente dalla statale per Tortona. Ce n’è un altro, di svincolo, con tanto di casello ecc. ecc., poco più a ovest, appena dopo il ponte sull’Agogna, di fianco alla strada per Casale, ma la cosa che forse graficamente colpisce di più si vede sulle tavole del Piano Provinciale, o nelle tabelle e schizzi della brochure di presentazione scaricabile dal sito ufficiale.
Seicentomila metri quadrati sono molti, moltissimi: più o meno tanto quanto l’intera area dismessa di Bicocca della Pirelli a Milano, tanto per fare un esempio famoso. Ma lì, appunto, siamo nel cuore dell’area metropolitana, e qui appena a sud di un modesto centro sulle porte della Lomellina. Naturalmente il polo logistico ha un suo piano di compatibilità ambientale, e un progetto di sistemazione a verde “con diffuse piantumazioni di vegetazioni autoctone”5, ma a parte qualunque ovvia considerazione su cos’è un polo logistico e cosa rappresenta in un ambiente del genere, l’impatto territoriale complessivo deve essere pensato a scala almeno del triangolo svincolo-polo-svincolo, ovvero di una estensione di fatto dell’area urbanizzata di Mortara, praticamente a una fascia continua: dall’attuale circonvallazione sud fino a oltre gli abitati di Castel d’Agogna, Olevano, Cergnano. A certe latitudini questa cosa si chiama sprawl. Se suona male, troviamo pure un sinonimo.
A titolo di nota conclusiva per le aree descritte al paragrafo precedente, la Repubblica del 9 maggio 2007 riporta in un trafiletto che l’ultima erede di una famiglia di possidenti “ha voluto donare alla sanità della Lomellina alla sua morte … ottomila pertiche di terreno tra Castello d’Agogna e Mortara”. E i passaggi di proprietà, d’abitudine, vanno di pari passo con le valorizzazioni, i riusi, i cambi di destinazione …
L’autostrada dovrebbe comunque proseguire anche oltre questo ultimo e fondamentale “nodo di sviluppo”, attraverso territori se possibile ancora più rurali e remoti, come quelli oggi attraversati da alcune strade secondarie e soprattutto dal cosiddetto percorso alternativo (così recita l’indicazione sulla rotatoria appena a sud dell’abitato di Cozzo) sui quasi lunari rettifili verso Langosco, e poi oltre la Sesia in provincia di Vercelli, di Caresana, e infine Stroppiana al nodo dell’A26.
Anche senza la perentoria invadenza del “triangolo di Mortara”, o le evidenti insidie della formazione a nastro nel corridoio parallelo alla valle del Ticino, va comunque detto che anche in questo ultimo potenziale scampolo infrastrutturale lombardo-piemontese fra risaie e pioppeti, l’impatto si intuisce facilmente, solo guardandosi attorno.
C’è, è vero, un tratto insolitamente lungo privo di svincoli nella vasta zona agricola a sud di Robbio e fino a scavalcare il corso della Sesia un po’ a nord dell’attuale ponte di Langosco. Ma poi forse per recuperare il ritmo ecco spuntare il casello di Caresana, in un ambiente che dal punto di vista insediativo ricorda relativamente molto da vicino quanto già visto ad esempio a Verrua Po, molte tonnellate di asfalto fa. Ma pare che in generale la regione Piemonte non si sia dimostrata entusiasta dell’idea di questa autostrada, e dei vari nodi e poli di sviluppo che dovrebbe abbozzare e stimolare: e se vacilla il coordinamento con l’altra sponda della Sesia, che ne sarà di tutto il percorso fino a Lisbona?6
Ma, dubbi sulla propaggine piemontese a parte, pare proprio che questa sciocchezza dell’autostrada nelle risaie voglia trasformarsi in realtà. Una triste realtà, fatta di scatoloni, svincoli, piazzali di ghiaia, qualche misericordiosa ma rara siepe a coprire cementizie pudende. Senza contare i prodotti collaterali dei cantieri, e delle infinite pressioni che puntualmente questa ridda di svincoli stimolerà: del resto lo diceva l’incipit della relazione citata all’inizio, che si deve soprattutto offrire “un servizio ed un’opportunità di sviluppo produttivo alle aree”. Quale genere di sviluppo, lo si può verificare facilmente nell’alta pianura novarese, biellese, vercellese, nel più consolidato e “storico” pedemonte lombardo, nella città diffusa veneta. Ovvero ovunque si sia applicata a man bassa l’equazione Strade = Sviluppo. Il risultato sarà che, ancora una volta, asfalteranno tutto quello che ci resta, per farci un parcheggio, e in fondo a quel parcheggio brillerà inesorabile l’insegna del Pantuflè.
NOTE
1 Infrastrutture Lombarde, Autostrada regionale “Integrazione del sistema padano direttrice Broni-Pavia-Mortara”, Relazione Sintetica Divulgativa, p. 7.
2 Provincia di Pavia, Piano Territoriale di Coordinamento, 2003, Relazione, Organizzazione e controllo delle principali conurbazioni, p. 51.
3 Intervista di Mario Pacali alla presidente del Parco Ticino, Milena Bertani, “Una contestazione fuori luogo”, L’Informatore, 19 aprile 2007.
4 Bruno Dardani, “Pavia: Tir e scambi nella risaia dimessa”, Milano Finanza, 1 dicembre 2006; vari altri articoli e informazioni soprattutto sul sito ufficiale del Polo Logistico di Mortara: http://www.poloinmortara.it/
5 Parco Logistico Intermodale, pdf di presentazione.
6 I dubbi dell’amministrazione piemontese sulla logica generale dell’autostrada Broni-Mortara sono riportati ad esempio recentemente da Paolo Tessadri, “Quell’autostrada tutta caselli e prezzi da record”, Il Venerdì di Repubblica, 20 aprile 2007, p. 49.
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