Succede ogni tanto che titolisti e giornalisti esagerino anche nei contenuti oltre che nelle forme, confezionando qualcosa che va oltre la fake news, ovvero comunicando una immagine del mondo così distorta da richiedere se non altro una precisazione tecnica. Niente di che, tanto per gradire, come: «guarda, nel caffè non ci va il sale, al massimo un dolcificante a scelta».
Foto F. Bottini
Gratosoglio nord, Foto F. Bottini
Roba così, e questo è il senso del brevissimo testo che segue la fila di baggianate lette dopo la vittoria sanremese del signor Alessandro Mahmoud anagraficamente residente a Basmetto, frazioncina di Milano sul Naviglio Pavese, amministrativamente compresa nella zona di decentramento detta Chiesa Rossa-Gratosoglio. E qui casca l’asino dell’immaginario perverso di chi deve pur pensare e scrivere qualcosa, sia perché lo pagano, sia perché deve comunicare «sensazioni forti» e buone per acchiappare il click, o l’occhiata curiosa del non-lettore.
L’asino casca davanti alla parola Gratosoglio, evocante la famosa «periferia problematica» o banlieu come è di moda dire tra autoproclamati urbanisti e sociologi con dottorato all’università della strada accanto. E allora via col rovesciamento da rimorchio di quella sequenza automatica di vaghe sensazioni e insinuazioni sottotraccia: il giovane che è uscito dal ghetto e urla la sua rabbia, eccetera eccetera. Mentre invece prima di uscirsene con le considerazioni basterebbe in fondo dare un’occhiata: al microambiente e a quel che si vede appena appena dalla finestra, ovvero giusto all’inquadratura iniziale della clip Soldi di Mahmood, in quel salottino piccoloborghese conformista, e poi al quartierino che lo circonda, dentro quello un po’ più grande che si nota in secondo piano.
Ma partiamo dalla direzione opposta, e cioè dall’ultima fermata della metropolitana in quella direzione, a Piazza Abbiategrasso, la Linea 2 che lì incrocia i tram numero 3 e 15 entrambi dal centro verso il capolinea di Gratosoglio o oltre la tangenziale Rozzano quasi in vista del suburbio berlusconiano di Milano Tre. Un posto urbanissimo, normale, Piazza Abbiategrasso, viavai di gente che sale e scende dalla stazione, tram che arrivano, scaricano, ricaricano, venditori ambulanti, le automobili di chi aspetta l’amico per dargli uno strappo ammucchiate a caso nella strada a cul de sac, i chioschi e banchetti degli ambulanti.
Una passeggiata di qualche centinaio di metri, due o tre fermate di tram se si sta sulla via principale dei Missaglia, e comincia sul lato destro il quartiere Gratosoglio propriamente detto, prima la parte privata architettonicamente più monotona e con la striscia a giardini che la separa dalla strada, poi la zona razionalista con le case popolari sparpagliate nel verde di quartiere in stile corbusieriano addomesticato, progetto griffato a suo tempo dallo studio trendy e politically correct dell’epoca. Se c’è qualcosa di trucido o minaccioso, il Bronx dell’anima (e ci sarà senza dubbio, eh) sta appunto nell’anima, o dentro qualche baretto nei pianterreni degli stecconi, all’ombra delle torri, sulle panchine dei vialetti che serpeggiano da un civico all’altro fiancheggiando gli edifici delle scuole e i campi sportivi.
Tagliando di traverso il quartiere, che si prolunga giù fino ai confini comunali con Rozzano detta Rozzangeles da qualche spiritoso (confine oggi marcato dal parcheggio Ultima Thule del car sharing comunale) si arriva alla passerella sul Lambro Meridionale che porta al quartierino coordinato di Basmetto, fila ordinatissima di palazzine tutte uguali attorno a una strada a fondo cieco con capolinea dell’autobus, che arriva lungo il Naviglio Pavese. Un ambientino che più brianzoleggiante non si può, salvo forse nel numero dei piani degli edifici, che lo distinguono dal suo gemello speculare sull’altro lato di Gratosoglio, il Ronchetto delle Rane suburbano e quasi villettaro stretto artificialmente attorno alla «identitaria» vecchia chiesa parrocchiale con cascina residua che fa così campagna tradizionale.
E tornando a Basmetto, scrutando quelle finestre affacciate sulle altalene dei bambini o sulla rotatoria dove l’autobus fa inversione per tornarsene verso il centro, pare di vederlo il giovane Alessandro, coi suoi legittimi problemi personali, seduto sul divano che canticchia. Non rilevato invece da nessuna parte il Bronx alienante eccetera eccetera, lì dovete chiederlo a qualche dee-jay sociologo giovanilista a gettone.
(le mie foto in sequenza sono state scattate tutte ieri 12 febbraio 2019 passeggiando appunto da Piazza Abbiategrasso attraverso Gratosoglio fino alla Brianza tascabile di Basmetto; bastava Google Earth 3D affiancato a Street View ma magari anche no)