Calcoliamo la nostra impronta ecologica

Foto F. Bottini

L’impronta ecologica è un po’ il tassello di un mosaico che permette di comprendere la questione climatica: iniziare a quantificare il proprio contributo alla enorme nube delle emissioni che intrappolano calore in atmosfera, vuol dire capire anche cosa personalmente si può fare a proposito, nel proprio piccolo. Però non si tratta di qualcosa proprio intuitivo e spontaneo: che diavolo sarà mai questa «impronta ecologica», mica ci passeggiamo sopra all’ambiente da lasciarci delle tracce di scarpe no? Diciamo che le tracce si vendono nel futuro, ma comunque sono difficili da visualizzare.

L’idea dell’impronta ecologica – che in sostanza calcola la superficie necessaria a sostenere il proprio stile di vita – risale agli anni ’70. Era un modo per concettualizzare l’appropriarsi di qualche porzione di risorse limitate, come la superficie terrestre. Oggi riferita al carbonio è un’idea simile, anche se secondo certi scienziati del clima l’immagine di quella suola impressa per terra può confondere, come metafora. Magari visto che si misura in tonnellate di gas serra un termine più appropriato potrebbe essere «peso ecologico». Comunque per farla breve quella è l’idea: contribuiamo tutti a quel carico che si dovrebbe diminuire, e ciò pesa sul futuro dell’umanità.

Quell’articolo un po’ minaccioso «Blueprint of Survival» dove si descriveva l’insostenibilità della crescita continua venne pubblicato da The Ecologist ancora nel 1972, ma descrive benissimo anche la situazione attuale: «Ci comportiamo come se non sapessimo nulla dell’ambiente, delle previsioni, trattandolo con trascuratezza quasi fosse un nostro schiavo estremamente stupido passivo e insensibile». Magari adesso starete pensando beh io non mi comporto proprio così. Però anche se non siete quel genere di persona che butta i propri rifiuti in giro per il parco senza badarci troppo, tutte le nostre azioni e consumi energetici pagano una invisibile tassa di inquinamento del pianeta, come ci spiega Charles Barnhart, dello Institute for Energy Studies alla Western Washington University: «La nostra atmosfera è una risorsa limitata e condivisa esattamente come lo è un parco cittadino».

Ora: come si calcola questa impronta ecologica? Proviamo per quanto schematicamente a rispondere. In sostanza il calcolo riguarda la quantità di anidride carbonica emessa da un prodotto su tutto il proprio arco di esistenza. Facciamo l’esempio di una matita: c’è la CO2 emessa dal taglio di legname necessario, tutta la meccanica mineraria della grafite, poi gli autocarri che trasportano le materie prime fino alla fabbrica di matite, lo stesso funzionamento di quella fabbrica, l’energia che la muove, e finalmente il veicolo che va a distribuire tutte le matite nei negozi dove le compreremo. Capire tutte le filiere che interessano il ciclo di esistenza di un prodotto è difficile, ma secondo il professor Barnhart è molto più complicato calcolare l’impatto ambientale, di quel prodotto, e dunque in qualche punto bisogna troncare, per non essere costretti a risalire magari via via fino all’invenzione della ruota: «Possiamo anche calcolare ciò che ha mangiato nella pausa pranzo un operaio addetto alla produzione? Diventa tutto assurdo. Calcoliamo invece le grandi componenti [pesano per uno stimato 90% del totale] e ignoriamo il resto».

Il medesimo metodo vale per l’impatto carbonio di una persona nella sua vita quotidiana: vediamo i maggiori contributi di CO2, ovvero abitare, spostarsi, la dieta e le altre abitudini di consumo. Un sistema con qualche garanzia di obiettività scientifica disponibile è quello offerto da CoolClimate Network [vedi il collegamento dell’articolo originale n.d.t.], un programma di ricerca dell’università di Berkeley, di cui sono appassionata utente: semplice da utilizzare, piuttosto divertente anche, copre molti ambiti, e ti dà anche l’idea comparativa tra la tua impronta e quella di altri. Cosa mi dice? Abito col mio compagno, cioè in un nucleo familiare di due persone. Occupiamo un appartamento piccolo e termicamente isolato vicino al centro di Seattle, illuminato e riscaldato facendo affidamento su energia da fonti rinnovabili,non possediamo un’auto, consumiamo rarissimamente carne, e cerchiamo di comprare tante cose di seconda mano se possibile. Ciò ci colloca nella fascia sotto le dieci tonnellate equivalenti di carbonio l’anno (ovvero dentro la media e anche un po’ sotto la media) negli ambiti casa, alimentazione, consumi e servizi. Mentre il nostro contributo principale sono gli spostamenti: entrambi prendiamo l’aereo ogni due mesi circa per visite familiari o amicali o per vacanze, e quello pesa parecchio.

Osservando la mia impronta ecologica alcune cose mi sorprendono. Per prima cosa anche con tutti quegli spostamenti in aereo, il contributo per mobilità resta comunque inferiore del 20% a quello di altri nuclei familiari simili. Mentre anche badando parecchio a quella che credevo fosse una dieta climaticamente responsabile, quell’impronta rimane addirittura un pochino sopra la media (non per dare sempre la colpa a qualcuno ma devo dire che il mio compagno mangia ogni giorno come se fosse un orso appena svegliato dal letargo). Chris Jones, direttore di CoolClimate Network, ha sviluppato la versione avanzata del suo sistema di calcolo dell’impronta ecologica 2005 e di continuo la migliora. Gli ho chiesto dove sta in sintesi il problema e mi ha risposto: ricchezza.

Nel modello di Jones l’impronta di un nucleo familiare si confronta con un’altra analoga della medesima circoscrizione statistica. Nel mio caso il paragone è con chi molto probabilmente possiede un’auto e si sposta spesso. Nelle famiglie agiate americane la dieta pesa percentualmente poco sull’impronta totale, e così anche stando molto attenti, ad esempio eliminando o quasi la carne, abbassa pochissimo il totale. Gli spostamenti aerei sono considerati un lusso perché non moltissimi li usano tanto di frequente: in realtà oltre il 50% degli americani non vola affatto! Secondo me volare ha il dubbio pregio di essere particolarmente costoso ed estremamente sgradevole, preferirei muovermi in un altro modo per attraversare grandi distanze, ma così è. Dunque cosa può determinare le dimensioni dell’impronta? «Tra le 32 variabili del modello ce ne sono 6 che valgono a prevedere il 92% del totale – spiega Jones – di cui il reddito sta al secondo posto, ma il primo è occupato dal possesso di un veicolo. Poi ci sono le dimensioni del nucleo familiare, dell’abitazione, i consumi di elettricità».

La facilità o meno con cui si possono modificare le variabili dipende tutta dal contesto in cui si vive: la posizione geografica determina l’impronta ecologica. Questo determinante influsso ambientale avviene in molti modi, ad esempio se si abita in un luogo dove sono normali grandi case e spostarsi in macchina, come la gran parte delle zone suburbane, la «impronta ecologica media» è maggiore. Ma Jones ci avverte che non si può certo risolvere tutto pensando a deportazioni di massa: magari vorremmo rilocalizzare la gente là dove riesce a impattare di meno, ma si vanno a toccare un sacco di altri aspetti diversi dalle emissioni di carbonio. Ci sono considerazioni sociali, ambientali, economiche, di giustizia, da mettere nel conto». Quindi calcolare l’impronta ecologica non significa calcolare l’impatto ambientale, si tratta piuttosto di uno strumento di grandissimo valore per comprendere meglio tutte le attività e decisioni che contribuiscono al riscaldamento globale. Un promemoria di quanto le emissioni vengano influenzate da ciò che ci circonda. Ma non dimentichiamoci che ciò che ci circonda possiamo anche modificarlo!

«Qualunque nostra azione ha sia conseguenze positive che negative – continua Jones – e non si tratta solo di consumi ma anche di aspirazioni a cambiare in meglio il mondo». In altri termini meglio non concentrarsi solo su aspetti negativi da evitare, ricordandoci che il nostro impatto sulla civiltà umana passa anche da: votare partiti e candidati che fanno qualcosa per il clima, o convincere conoscenti a non votare più i negazionisti, o partecipare alle iniziative locali per politiche più verdi, o magari (perché no?) presentarci noi direttamente alle elezioni. Insomma ecco qui cos’è l’impronta ecologica, come si calcola senza irrigidirsi, per capire davvero quanto contribuiamo al cambiamento climatico.

da Grist, marzo 2019 – Titolo originale: What the hell is my carbon footprint? Traduzione di Fabrizio Bottini

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