[…] CAP. IV: IL VILLAGGIO – ORGANIZZAZIONE E ARCHITETTURA
Quando proviamo a descrivere una città straniera confrontandola con una delle nostre, di solito troviamo un modo non troppo difficile di esprimerci. E raccontiamo che quella città assomiglia tanto a Bermondsey o Streatham per farci capire subito, ma però se proviamo ad applicare lo stesso metodo a Port Sunlight ci troviamo di fronte a una difficoltà insuperabile dato che quel luogo pare al tempo stesso una città e un villaggio, perché ha in egual misura il medesimo livello di gaiezza di Edgbaston, la compostezza formale di Chiswick, l’irregolarità affascinante di Dulwich. Ed è proprio Dulwich dal punto di vista estetico ciò che più equivale a Port Sunlight, in particolare la parte vecchia di Dulwich, più di quelle nuove che i costruttori stanno sistematicamente sfigurando col sistema delle «schiere», con case più piccole e composte in gruppi anziché occupare orgogliosamente un proprio terreno, e comunque l’impressione generale di serenità e verde e calma è proprio in petto quella di Dulwich.
L’atmosfera di campagna si fa più marcata attraversando il villaggio; guardando da una finestra si capisce che è grazioso, ma bisogna scendere in strada per essere immediatamente colpiti da qualcosa di davvero inusuale, visto che non tutti i percorsi sono pavimentati come ci si potrebbe aspettare in un centro di 3.500 anime, ma anche sterrati, come quelli che troviamo in alcune strade secondarie, col solo centro stradale lastricato. Basta questo piccolo dettaglio, insieme ai molti alberi sia maturi che appena piantati e che spesso si intrecciano ai percorsi pedonali, a produrre una singolarmente vivida impressione di rusticità. Ma anche oltre le strade in sé e per sé, non sembra si sia scordato proprio nulla per produrre in chi ci vive l’illusione di essere davvero tornato in campagna. Tutti gli edifici sono arretrati rispetto alla via, spesso anche di dieci metri o più, così da schivare la polvere grazie anche all’ampia fascia a verde, prati o giardini rallegrati di fiori.
LA GESTIONE DEL VERDE. I giardini di Port Sunlight meritano un capitolo a sé da tanto curati e numerosi che sono. Come si diceva ogni casa ne ha uno sul fronte, non privato ma curato dell’amministrazione. Si era tentato di concederli agli inquilini, che però non ne avevano affatto colto le potenzialità estetiche: usati per le galline da cortile o addirittura come pattumiera, con tutto il bucato familiare sfrontatamente sventolante sui fili. L’aspetto del Villaggio ne era compromesso, a gli uffici dell’Amministrazione alla fine ripresero il controllo dei giardini ritenendo fosse più adeguata una gestione centrale: i risultati parlano da soli. Gli spazi verde misurano di norma trenta metri in lunghezza e da otto a dieci metri in profondità, sempre composti di prato ben tenuto interrotto qui e là da aiuole di fiori, qualche albero e cespugli curati; come ha scritto E. V. Lucas parlando dei Giardini di Kensington Gardens, qui si vede la dolce primavera come in certi angoli del Devonshire. Oltre i giardini si scorgono le piccole case, ricoperte di rampicanti fino attorno alle finestre ai portici quesi a sfidare ribelli la mano dei giardiniere. Confesso che mi ricordano con qualche tenerezza sentimentale gli scorci tra il fogliame sulle finestre della mia casa su Bath Street, quell’ampio prato al centro del quale un bianco monumento in pietra rifletteva per un istante i raggi del sole da nord.
VARIETÀ DEGLI EDIFICI. Singolarmente interessante l’architettura nel villaggio, dove dalle balze sorridono in armonioso insieme case di tutti i colori e stili. Non tutte bellissime certo, ma innovativamente caratteristiche, si offrono inattese allo sguardo consumato dalla monotonia o dalla pretenziosità. Ci sarebbe certo molto da dire sugli stili architettonici, visto che non tutti gli edifici paiono davvero riusciti e adeguati, ma ciascuno di essi sicuramente suscita interesse e parla di coraggioso esperimento. Basti dire che il visitatore viene in un promo momento disorientato da tutta quella diversità, ma poi comprende il senso e il fascino dell’irregolarità: case organizzate per gruppi di due o tre, o quattro o cinque, alcune alte, alcune basse, alcune disadorne e altre molto ambiziose; nessuna monotonia, e ogni strada si distingue come luogo a parte. Questa irregolarità degli edifici non sta a significare però assenza di un piano di insieme, e c’è parecchio metodo in quell’apparentemente casuale disposizione delle vie di Port Sunlight.
Nonostante alcuni edifici siano molto arretrati rispetto alla strada coi tetti che non formano una linea regolare, si tratta semplicemente di un progetto per evitare eccessi di uniformità, e non per interferire con la regolarità di rettifili e incroci. Port Sunlight è stata «organizzata urbanisticamente» con molta cura, così bene da non sembrarlo affatto ad una rapida occhiata: per capirlo è necessario esaminarne la planimetria. In primo luogo qui sarebbe stato impossibile tracciare linee geometriche come fatto poi nella Città Giardino, a causa delle profonde depressioni del terreno un tempo acquitrinoso; se la planimetria fosse stata sviluppata con una certa rigidità gran parte delle vie principali avrebbero sofferto di dislivelli o dovuto sostenere i costi di molti ponti. Sommariamente, Port Sunlight è delimitato a est e ovest da due strade parallele, e tra queste ne sta una terza che lo attraversa completamente. Le tre grandi arterie sono collegate da tre principali trasversali, due delle quali pressoché rettilinee. Si comprende osservando la planimetria come riguardo alle strade principali si sia fatto di tutto per mantenere una certa regolarità, e là dove gli avvallamenti la rendevano impossibile, la via è stata concepita in modo da seguire le ondulazioni del terreno. La parte meridionale del villaggio è più strutturata e costruita di quella settentrionale, regolare nel disegno; è molto probabile che le parti più nuove seguiranno criteri simili. Gli eventuali difetti nella planimetria si devono tutti o quasi alle caratteristiche del terreno.
ORGANIZZAZIONE URBANA. La progettazione delle case è stata lungamente meditata, ed è interessante esaminare questo aspetto del piano perché è quello in cui appare più chiara l’idea stessa di Città Giardino. Le zone edificabili di Port Sunlight si dividono in porzioni minori comprendenti ciascuna da cinquanta a cento cottage e unitarie; zone irregolari nelle forme anche se invariabilmente si tratta di quadrilateri sul cui perimetro corre una via. I villini sono costruiti affacciati verso la strada mentre il retro forma uno spazio centrale a orti; orti che coprono quasi sempre non meno della metà della superficie, aspetto piuttosto importante sul versante sanitario. Calcolo che la media degli alloggi per ettaro sia di circa una dozzina, vale a dire la metà di quella di Letchworth, il prototipo di città giardino.
In questa fase di discussione sugli aspetti sociali non si sottolinea mai abbastanza la rilevanza del problema, ma dobbiamo comunque ricordare sempre che per quanto ben gestito, per quanto salubre un villaggio possa essere, non si può affermare di aver risolto davvero il problema della casa se non si affronta quello del sovraffollamento. Intendo il sovraffollamento a scala di quartiere, pericoloso tanto quanto quello degli alloggi. È possibile che, col tempo, questa quantità mediamente bassa di case per ettaro decisa a Port Sunlight possa lievemente aumentare, diciamo sino a un massimo di diciotto alloggi ettaro, ma restiamo certamente fuori pericolo, sempre che di pericolo si possa parlare arrivando a uno standard ben inferiore a quello accettato a Letchworth. I cottage non sono singoli, non lo si è ritenuto necessario: non sono organizzati in «schiere» (sistema di cui non si può dire altro che male), ma in piccoli gruppi da due a dieci, più frequentemente sette case insieme. Se consideriamo sette case la quantità media per isolato, e settantacinque quella media per porzione, calcoliamo che ciascuna di esse comprende 10-11 isolati. Né troppi né troppo pochi, tali da consentire parecchie varianti di stile senza indurre esagerati contrasti che intaccano l’armonia di insieme. In generale gli isolati componenti una porzione sono diversi tra loro, anche parecchio diversi per quanto riguarda gli stili, ma sono resi più omogenei dall’utilizzo di materiali simili.
E così posiamo trovare dentro il medesimo gruppo di isolati diversi esemplari di Classico Inglese o architettura della Rinascenza, ma in gran parte realizzati in mattoni o intonaco rustico o con le travi di legno a vista, così da assicurare comunque un certo livello di uniformità. Non pare auspicabile esagerare le differenze di stile; fare di Port Sunlight una congerie di esperimenti architettonici finirebbe per distruggere quel senso di tranquillità che lo rende in tanti modi più inglese di tanti remoti villaggi. Certo non tutti i raggruppamenti paiono troppo riusciti in sé, alcuni per la progettazione troppo ambiziosa, ma le linee generali sono contenute e raramente si offende davvero lo sguardo, che dovrebbe invece risultare compiaciuto. L’intenzione non esclude certo qualche esperimento, gli uffici dell’amministrazione hanno in programma raggruppamenti in stili di derivazione francese, belga, olandese, tedesca e italiana. Un’idea non ancora messa in pratica salvo in un isolato minore in stile belga; probabilmente ne seguiranno altri sino a definire una sorta di «via delle Nazioni». Il tipo di progettazione più utilizzato ricalca il Tradizionale Inglese ma certo risulta abbastanza difficile classificare gli stili architettonici di Port Sunlight, salvo in riferimento ai materiali da costruzione utilizzati, perché là dove non ci sono grosse differenze nelle forme le si possono trovare negli accostamenti. Quei materiali del Villaggio si contano in sette: mattoni (del tipo laterizio Ruabon), intonaco rustico (grigio, bianco, o giallo), piastrelle e tegole, lastre in ardesia, travi (dal bruno al verde), intonaco fine (bianco), arenaria (rosso). Si offre così l’occasione di combinazioni piuttosto varie, molte delle quali assai gradevoli allo sguardo, e che si classificano in alcune tipologie su cui forse non è inutile soffermarsi.
CASE DI UN SOLO MATERIALE. Ce ne sono moltissime se consideriamo «un solo materiale» quello delle pareti, dato che la copertura comunque è diversa. Poco promossa fortunatamente la casa «tutta di mattoni», visto che non è gran che pur essendo certo meglio di quella scatola con cinque buchi dentro cui siamo soliti alloggiare la nostra classe lavoratrice. Le case tutte di mattoni magari apparirebbero graziose in un posto come Ancoats, abbastanza proporzionate nelle forme e di norma anche ingentilite dal tetto di tegole a punta, ma qui a Port Sunlight certamente non reggono il confronto con tipi assai più eleganti. Le altre di questo primo gruppo sono principalmente di intonaco rustico, un materiale che si presta molto più dei mattoni, e gran parte dei cottage che si vedono anche nelle illustrazioni qui con le pareti bianche sono realizzati in quel modo. Le tinte sul giallo o grigio compaiono solo occasionalmente, e vengono utilizzate di norma nel secondo gruppo; l’intonaco rustico giallo da solo si vede raramente, dato che affatica davvero lo sguardo: un villaggio intero costruito così sarebbe un vero incubo.
D’altra parte la tonalità del grigio viene usata con gran riuscita qui a Port Sunlight, di solito accompagnata al verde desi serramenti di porte e finestre, con un effetto assai gradevole, superato però dall’intonaco bianco. Un materiale usato in abbondanza nel villaggio, impossibile immaginare niente di più lindo e attraente delle piccole case bianche, immacolate, con le portefinestre che danno sul giardino, le vetrate, le parti in legno verniciate di tante tinte. Quando questo tipo di edifici ha una copertura di tegole rosa o rosse arriva al massimo del pittoresco: viene usato molto molto spesso ed è una tipologia assai frequente.
CASE DI DUE DIVERSI MATERIALI. Questo tipo di edifici ha una base costituita di mattoni o arenaria e le parti superiori in intonaco di vario tipo. Quando i mattoni vengono accostati agli intonaci rustici di tonalità gialla o grigia no si ottiene un bel risultato, dato che le tinte si avvicinano al punto da scontrarsi e non a sufficienza da armonizzare. Ma unire mattoni o arenaria rossa alla base con intonaco rustico bianco sopra dà un risultato davvero gradevole; alcuni dei cottage più graziosi sono senza dubbio quelli di arenaria rossa e intonaco rustico bianco, con tegole della medesima sfumatura della base. In alcuni casi il tetto è di ardesia e contrasta piacevolmente con l’intonaco; ma più in generale pare sconsigliabile dato che appare un po’ tetro contro il nostro cielo del nord.
Tipi di architetture per nulla particolari: le vediamo in forme più o meno riuscite in tante zone suburbane o anche nella Città Giardino. A Port Sunlight, però, si deve riconoscere il merito di aver realizzato una serie di cottage del genere antico di cui l’Inghilterra era tanto ricca cento anni fa, e la cui caratteristica chiave è quella della trave a vista. Ed è fuori discussione che non esista nelle costruzioni rustiche moderne nulla che si possa paragonare a questo stile; a Port Sunlight questi cottage sono costruiti su una base di arenaria rossa, mentre la parte superiore è a intonaco bianco su cui spiccano le massicce travi brune scure. Tetti appuntiti, con abbaini di varie forme, realizzati con materiali scuri che siano in legno, pietra o addirittura paglia; conservando così quella essenzialità caratterizzante lo stile inglese antico. Se non fosse che purtroppo spesso risultano piuttosto costosi, parrebbe auspicabile aumentarne anche di parecchio le quantità. Sia l’Ufficio Postale che la Biblioteca che il Collegio (chiamato un tempo Girls’ Institute) sono realizzati in questo stile, spiccando così tra i migliori edifici del Villaggio.
Oltre la scelta dei materiali da costruzione, il progetto dei cottage di Port Sunlight merita certamente qualche altra attenzione. In certi casi la ricerca di originalità pare esagerata, con architetti che nel gruppo assegnato si impegnano risolutamente a competere e superare i colleghi; guardando nell’insieme però si capisce come sia stata conservata una certa semplicità. La presenza del bovindo in varie versioni ad esempio, o degli abbaini in diverse forme ; qui e là qualche torretta decisamente di troppo, o piccoli portici gradevoli allo sguardo. Le pendenze dei tetti possono essere esagerate o gli allineamenti spezzettati da irregolarità o sporgenze improvvise, ma parlando in generale non si può dire che si sia sacrificato qualcosa ad esigenze puramente estetiche. Solo nel caso di un singolo isolato (Lower Road) si è schermato un po’ il soleggiamento per pure esigenze di progetto; troviamo un gruppo di sette case sul cui affaccio scorre una veranda su pilastri profonda circa un metro e mezzo, che mette in ombra il pianterreno. Unico danno ed errore; quando in ogni altro caso non ci sono sporgenze dei tetti sopra le finestre che riescono così a far entrare la massima quantità di luce.
Possiamo concludere così le nostre considerazioni sulle architetture: nove su dieci cottage sono belli e gradevoli per abitarci, mentre l’altro ha per lo meno una delle due caratteristiche positive, e in entrambi i casi stiamo ben sopra la media dei villini per lavoratori sia per quanto riguarda l’aspetto che l’abitabilità. Oggi l’attività edilizia è ferma, ma quando riprenderà è quasi certo che l’esperienza abbia insegnato agli uffici dell’amministrazione quali siano le composizioni migliori, così da ridurre ulteriormente quella percentuale già minima di qualità al di sotto dell’eccellenza. Alcuni dei cottage sono vecchi di quasi vent’anni, tutti sono stati realizzati in date diverse, e dunque qui a Port Sunlight c’è già stata occasione per studiare e verificare nel tempo. Con risultati in gran parte eccellenti specie con mattoni e intonaci rustici gialli, che col tempo attutiscono la tonalità del materiale, anche se invecchiano a ritmi più lenti di quanto non accada in un normale centro industriale. Comunque non mi sento affatto di rimpiangere l’aspetto degli edifici nuovi solo perché di solito nelle nostre città troppo presto diventano un po’ tetri. Qui molti dei cottage, specie quelli intonacati rustici con le travi a vista, avranno perso le tonalità più brillanti originarie ma sono diventati «casa» nel vero senso della parola: che è cosa diversa dal semplice alloggio.
L’ultima osservazione sull’effetto generale è che esso non dipende affatto dalle architetture in sé; Port Sunlight senza lo spirito che lo sorregge sarebbe semplicemente una città ideale da laboratorio, un paradiso sterilizzato. Di questo intendo parlare con dettaglio in un altro momento, ma è impossibile non notare come l’estrema pulizia degli affacci, la completa assenza di detriti o vetri rotti, le linde tendine alle finestre, sono gli elementi che fanno del villaggio ciò che è. Anche i rampicanti cresciuti sugli edifici sono un carattere qualificante la cui importanza si comprende forse solo quando vengono eliminati: si insinuano ovunque ostinatamente su pareti e sino al tetto; qualche cottage sembra letteralmente sepolto dall’edera, dalla vite canadese o da altre specie che via via procede la stagione fioriscono. L’amministrazione dedica una particolare cura al verde ed è quasi impossibile attraversare il villaggio senza incrociare qualche giardiniere intendo a potare o cimare; al punto che ogni tanto quelle piante così puntigliosamente curate finiscono per ricordarci certi alberi finti in legno dei vecchi giochi per bambini. Il vero segreto di Port Sunlight sta nell’albero, nel cespuglio, e ancor di più nel vasto prato; gli edifici in genere sono realizzati a lato strada affacciati su un arretramento ampio a erba o piante. Cosa che accresce il senso di privacy e insieme il suo valore morale senza intaccare lo spirito sociale.
Curioso osservare come l’influenza di Port Sunlight nell’area circostante sia stata davvero minima. A Bebington c’è una grossa chiesa cattolica realizzata nel 1903, la cui architettura richiama quella del villaggio, ma a parte questo sono state vane le mie esplorazioni sia a New Ferry che a Bebington. In entrambi i piccoli villaggi appaiono evidenti alcuni difetti che ben conosciamo. Bebington rimane ancora semi-rurale, offre angoli gradevoli, ma credo che nessuno di quegli angoli così gradevoli passerebbe l’ispezione e la dovuta indignazione di un ufficio igiene, mentre le parti più nuove sono realizzate col criterio delle scatole di mattoni che ci è ben noto. New Ferry è ancora peggio, col suo aspetto più decisamente urbano: schiera dopo schiera di cottage in mattoni, qualche villa pretenziosa a intonaco, e interi isolati composti da quel genere di case operaie che già sappiamo diventeranno degradati tuguri nel giro di vent’anni. Ed è detto tutto. Un pessimo paragone lo possiamo fare per esempio seguendo la Chester Road, in direzione Birkenhead, dove da un lato c’è Port Sunlight coi suoi cottage graziosi e lindi, i giardini curati sul fronte; e sul lato opposto le case di New Ferry, sporche, monotone, indescrivibilmente brutte, affacciate su piccoli spazi spesso intasati di immondizia. Qui e là qualche scura e trasandata bottega, o peggio ancora una di quelle ubique mescite di alcolici di bassa lega della cui esistenza ci eravamo quasi dimenticati. Veramente utile il confronto diretto!
IL CRITERIO DELLE CINQUE STANZE. Lasciamo comunque perdere quei brutti dintorni per tornare al villaggio e studiarne più dettagliatamente gli alloggi. I cottage di Port Sunlight sono di due categorie: quello organizzato attorno alla cucina e quello col salotto. La casa-cucina (ovvero il locale di cottura vero e proprio con dispensa e ripostiglio) ha uno spazio utilizzato anche come tinello soggiorno che occupa buona parte del pianterreno, poi tre stanze da letto e bagno con acqua calda e fredda; la casa-salotto ha un ampio spazio giorno, cucina con ripostiglio e dispensa, quattro camere e un bagno. Si noti, cosa molto importante, che in nessun caso l’alloggio è dotato di meno di cinque stanze (con l’eccezione di una mezza dozzina di cottage a tre stanze destinati coppie senza figli o anziani) tre delle quali stanze da letto, il che solleva una questione sociale fondamentale.
Se il sistema utilizzato a Port Sunlight vuole risolvere il problema delle abitazioni, lo fa accettando e superando il criterio standard delle quattro stanze, senza le quali è difficile gestire una famiglia, e non mi riferisco solo alle buone condizioni sanitarie altrimenti impossibili, ma anche alla possibilità per tutti i membri di crescere puliti nel corpo e nell’anima. Veniamo spesso tormentati dalle descrizioni di ciò che accade nelle nostre grandi città, famiglie stipate come polli dentro due stanze, anche quattro persone per ciascuna, o cinque, o sei, fino a dieci adulti e bambini che dividono un singolo locale, dove vivere, mangiare, dormire, o lavarsi sempre che quel gesto riesca a sopravvivere alla situazione. E anche senza arrivare agli estremi il censimento del 1901 ci racconta che a Londra 148.000 persone abitano 40.600 stanze, per una media di 3-4 abitanti a locale, e non pare proprio necessario ribadire ancora quanto in quella situazione non esista alcuna speranza di serenità per i miserabili inquilini di quei casamenti in affitto. Il loro destino dall’infanzia in poi viene determinato dalle più abbiette tentazioni ed esempi a cui vengono continuamente sottoposti, dall’ammucchiarsi insieme indipendentemente dal sesso o dall’età, senza alcuna guida o istruzione, per poi essere derisi a causa dei tanti anni di degrado morale dai medesimi rappresentanti di quel ceto medio responsabile di tanta miseria. Sappiamo, o dovremmo intuire, che alla radice di ogni forma di vizio morale, specie dell’ubriachezza, sta il problema della casa; pessime situazioni abitative vuol dire depressione, e per chi sta ai margini del nostro sistema sociale l’unico antidoto, temporaneo ma suo modo efficacissimo, sono la mescita di alcolici e la sua costosa ospitalità.
Ci dicono spesso che il lavoratore è per natura ubriacone, scialacquatore, immorale; possiamo anche non negare che sia così, ma cosa sarebbe anche il figlio di un duca scambiato alla nascita e sottoposto alle inevitabili influenze che fanno del figlio del lavoratore ciò che è?Non dimentichiamoci che in un certo senso siamo tutti parte della medesima famiglia, e se qualcuno devia dalla retta via deviamo tutti e condividiamo la colpa. In questo caso non c’è bisogno di dilungarsi troppo, ma il vero e proprio orrore della questione delle abitazioni, per chi si è avvicinato ad essa, sta nell’ignoranza e nell’involontaria crudeltà di classe, di chi pur benintenzionato ma incapace di capire, di donne e uomini che con atteggiamento contorto ritengono che tutti i mali del popolo inglese si possano curare con la solidarietà di qualche volontario parrocchiale o la carità delle associazioni come Kyrle Society.
Abbiamo davanti agli occhi le immagini dei nostri slum, ed è difficile ragionare a freddo razionalmente, tanto violenta sorge l’indignazione immaginando quelle famiglie di abitanti là dentro: l’essere umano spietatamente brutalizzato perché «senza casa» spinto sulla strada e verso il baluginare della mescita di gin, lo sporco, il fracasso; la donna già vecchia a trent’anni quando è svanita la freschezza giovanile, i nervi scossi e provati dalla cura dei bambini, dall’esistenza dentro quell’atmosfera ripugnante della cucina o della lavanderia; i bambini deboli, malnutriti, ammucchiati insieme come bestiame dentro un’unica stanza, un solo letto, privati di aria, buon cibo, sole, arricchiti solo dall’esperienza del vizio che trasuda da ogni angolo di strada delle nostre grandi città.
Esiste un solo modo di affrontare insieme ubriachezza, immoralità, ignoranza, crimine, e tutto ciò che consideriamo male, e si chiama decorose abitazioni. E una casa decente consiste al minimo indiscutibile di due stanze per una coppia sposata, tre locali se hanno fino a due figli del medesimo sesso, altrimenti quattro, comunque mai meno di un locale ogni due persone. Generalmente parlando quindi la casa al minimo si compone di quattro stanze. Nei casamenti d’affitto urbani qualunque locale viene utilizzato come stanza da letto, ma non è un metodo soddisfacente; pensiamo a qualunque esponente del cento medio che abbia dubbi sulla questione, e proviamo a chiedergli se riuscirebbe solo a pensare di rinunciare alla sala da pranzo o al soggiorno. Dunque il minimo standard è quello dei tre locali con una famiglia con figlio e figlia; il bilocale non serve a nulla, anche se qualcuno ha seriamente sostenuto l’ipotesi secondo cui padre e figlio potrebbero condividere una camera, e madre e figlia l’altra. Un’organizzazione assurda che speriamo scompaia presto dalla pubblica opinione sempre che ci abbia mai preso piede.
La questione si riduce quindi a: stanza da letto per i genitori, una per i ragazzi e una per le ragazze; impossibile sollevare qualunque obiezione a questo tipo visto che si presta sempre anche a u nuovo occupante se c’è posto. Si comprende meglio osservando le norme che regolano gli affitti, come possa essere gestita, ma non soffermiamoci troppo sullo standard quattro stanze:diamolo per scontato e consideriamolo non un massimo ma un minimo, nessuno pretende che le case dei lavoratori abbiamo preziosi rivestimenti di marmo, ma non c’è alcuna ragione per cui non si debba poter abitare in condizioni di comodità e decoro.
Che si parli della «casa cucina» da cinque stanze o della «casa salotto» da sei locali, i caratteri del cottage di Port Sunlight rimangono sostanzialmente identici. L’aspetto degli edifici varia pochissimo: né più né meno decorati, e infatti è impossibile capire a quale categoria appartengano finché non si è entrati. Mentre per quanto riguarda servizi importanti dal bagno alla dispensa o ripostiglio l’una vale l’altra, la differenza sta nella quantità di spazio, nonostante la cucina talvolta sia grande tanto quanto il salotto, ma principalmente per come li si usa. Mediamente l’affaccio di un cottage di Port Sunlight è di circa sei metri, e le dimensioni della relativa stanza (che sia salotto o cucina) di regola non meno di quattro metri per quattro, spesso quattro per cinque. Buone dimensioni per un locale, e il retrocucina annesso è sempre sufficiente a metterci nel corso della giornata tutto ciò di più ingombrante che è servito a preparare da mangiare. Osservando meglio questo retrocucina notiamo come in ogni casa sia stato installato un bollitore con coperchio rimovibile che funge anche da piano di appoggio oltre che per i giorni di bucato. Oltre il retrocucina una ventilata dispensa con lavandino di acqua fredda e calda.
Poi c’è l’affaccio posteriore lastricato in mattoni in lieve pendenza e per una profondità non minore di due metri o due metri e mezzo dal cottage. Negli edifici più piccoli non esiste atrio ma sono un passaggio; nelle case-salotto quello spazio è l’equivalente di ciò che a Londra troviamo in qualunque complesso ad appartamenti. Al primo piano degli edifici tre o quattro camere, a seconda delle dimensioni della casa; una più grande le altre più piccole, a volte anche troppo piccole, ma il motivo è che sia comunque meglio (per i motivi già accennati) in una famiglia numerosa avere più locali piccoli che meno ma più grandi. I soffitti delle camere sono piatti, nessuna forma a mansarda sottotetto, e garantiscono luce a aria in abbondanza. Ci aggiungo a tale proposito che nel caso in cui non esista un camino con canna è installato un sistema di ventilazione. Anche se ahimè anche a Porto Sunlight mi è successo di trovarne un paio intasati di stracci, oltre che finestre inchiodate: complicato insegnare alla gente l’igiene. Il problema della ventilazione si risolve in parte però anche grazie ai locali più piccoli che sono relativamente spaziosi, 3,5 x 2,8 x 2,4 metri ovvero circa 25 metri cubi: una situazione minimamente ventilata se la stanza è occupata da una sola persona.
Tutti questi locali sono molto esposti e illuminati; l’intero affaccio della stanza giorno è costituito da serramenti di varie forme e sporgenze che si aprono all’esterno. Le stanze da letto hanno finestre strette ma piuttosto alte nel medesimo stile; due ampie per la camera principale anche senza l’eventuale bay-window del pianterreno. Cosa che valla pena notare visto il prevalere nella periferia londinese dell’eresia architettonica di ammucchiare una sull’altra una due tre e chissà quante bay-window affacciate sulla via tendenzialmente all’infinito.
Aggiungiamo poi altri particolari di più difficile classificazione. Ciascuna casa ha il proprio bidone della spazzatura che viene svuotato dagli addetti dell’amministrazione; tutti gli scarichi vengono invece gestiti dalla circoscrizione di Distretto con molta efficienza grazie al sistema di maree della Mersey. L’acqua è fornita dalla compagnia privata West Cheshire. Ogni cottage è fornito di gas con contatore. Non esistono seminterrati a Port Sunlight e si tratta di una norma eccellente che evita proteste; cose come la cantina del carbone se ci sono stanno fuori dalla casa. Le ottime attrezzature dei cottage comprendono una piccola stufa a gas per la cucina, stipetti ripostiglio ad entrambi i piani, armadi a muro per appendere cappelli e cappotti oltre a tubature del gas che arrivano in tutta la casa senza sovrapprezzo. Aspetti importanti per le famiglie dei lavoratori che di norma trovano difficile investire in arredi vista la natura precaria dell’impiego.
Difficile generalizzare ma si può dire prudentemente che tutto considerato questi cottage sono quanto di meglio si possa ragionevolmente immaginare per un lavoratore. Se la famiglia è piccola la casa-cucina con un ottimo spazio giorno e tre camere è ideale; ma diventa scomoda quando i figli diventano cinque o sei, né si migliora molto per quanto riguarda le camere da letto passando alla casa-salotto. In nessun caso esiste il problema del sovraffollamento: quello non esiste a Port Sunlight nel senso corrente della parola. Il dato statistico per esempio fissa come limite per la casa da cinque locali (deducendo bagno ingresso dispensa come unico locale) otto adulti o otto adulti-bambini calcolando un adulto ogni due bambini. Ad esempio tre adulti (oltre sedici anni) e dieci bambini restano dentro il limite, e il solo fatto che il freddo dato ufficiale a proposito di sovraffollamento accetti un criterio del genere dimostra la situazione terribile delle abitazioni urbane.
Nella casa-salotto ci sono quattro stanze da letto, ma due sono sempre piuttosto piccole e presentano delle difficoltà; però credo che con l’attuale sistema di organizzazione sociale non si possa evitare qualche difficoltà nelle case per la classe lavoratrice. Pare esserci la possibilità di un terzo tipo di abitazioni che potremmo definire «family cottage» e che consiste di una grande cucina e soggiorno-tinello combinati, con una piccola stanza da letto a occupare il resto del pianterreno. Il primo piano si divide o in quattro stanze come accade oggi, oppure meglio ancora in tre locali ciascuno di dimensione tale da poter ospitare due persone. Una stanza poi dovrebbe essere qualcosa più di un posto per dormire, è un luogo in cui rifugiarsi dal rumore dalla folla; le relazioni e gli scambi non devono certo essere ostacolati, ma neppure imposti alle persone, ed è importante che ciascun membro della famiglia abbia spazio per leggere e pensare in privato. Piccole questioni certo, e ci sarebbe quasi da vergognarsi a cercare il pelo nell’uovo dentro l’organizzazione di un villaggio che alla perfezione si avvicina più di qualunque altro tentativo di rendere la vita degna di essere vissuta.
da: Labour and Housing, at Port Sunlight, A. Rivers, London 1909 – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini – Planimetria del Villaggio da: E.W. Beeson, Port Sunlight the Model Village of England, New York 1911