Negli ultimi anni è stata costantemente posta in evidenza la stretta connessione che lega il problema dei centri storici e quello più generale della politica del territorio, e quindi agli strumenti legislativi ed operativi attraverso i quali quella politica si esplica. In particolare è stato sempre ribadito che la condizione essenziale per salvare e riqualificare i centri storici, sta nella possibilità di uno sviluppo ordinato delle città. Se questa possibilità non si è fino ad oggi, nella maggior parte dei casi, verificata, la causa va ricercata – in buona misura – anche nell’assenza di uno strumento legislativo capace di assicurare un più efficace ed incisivo controllo pubblico sull’uso dei suoli. Ora la disponibilità di questo strumento sembra prossima – almeno così mi auguro -e si potrà quindi sciogliere quel nodo che finora ha condizionato negativamente l’azione urbanistica e, con essa, l’intervento nei centri storici.
La presentazione al Parlamento della proposta di riforma del regime dei suoli mi sembra, insomma, un segno di buon auspicio per i lavori di questo convegno, che ha lo scopo essenziale di portare all’attenzione dell’opinione pubblica, le ricerche sulle più recenti esperienze italiane in questa materia e di aprire un primo dialogo tra amministratori, uomini di cultura e rappresentanti delle forze politiche. I risultati di questo dialogo, che si avvalora dell’apporto di concrete esperienze operative, potranno essere quindi certamente approfonditi, fino a realizzare un corpo organico di proposte da sottoporre all’attenzione dei poteri centrali, regionali e locali quale elemento di riferimento per la riqualificazione sociale ed economica del patrimonio edilizio.
Ritengo che in questo senso il presente convegno possa costituire la più appropriata risposta alle finalità che hanno ispirato l’Anno europeo del patrimonio architettonico, di cui l’Italia, attraverso il Ministero dei Lavori Pubblici, si é fatta promotrice in sede internazionale. Il confronto tra le situazioni e le esperienze dei diverse Paesi d’Europa porta a riconsiderare, sia nell’ambito delle politiche governative, come in quello delle più generali politiche comunitarie, il problema della salvaguardia del patrimonio sterico, elemento determinante per la conservazione e la rivitalizzazione di una comune tradizione culturale e per la creazione di un quadro equilibrato di vita sociale e civile. Il convegno assume inoltre un particolare significato in quanto coincide con l’inizio della seconda legislatura regionale e con un momento di generale attenzione per il problema del recupero del patrimonio edilizio esistente.
In presenza delle note difficoltà di ordine economico, che impongono, ora più che mai, una razionale utilizzazione delle risorse, di fronte alle tensioni di una vasta categoria di cittadini che reclama l’accesso alla casa in condizioni economicamente accettabili, è necessario una volta di più riconoscere ed affermare che il problema della salvaguardia del patrimonio edilizio esistente deve costituire una parte non secondaria dei programmi dello Stato nel campo della abitazione. La situazione del patrimonio edilizio italiano é infatti caratterizzata, come é noto, da notevoli fenomeni di sottoutilizzo per le cattive condizioni fisiche di molte abitazioni non più rispondenti agli standards residenziali attuali, e per effetto dei processi di polarizzazione territoriale verificatisi in questi ultimi anni. Si assiste così, accanto alla congestione delle aree economicamente più forti in quanto interessate da processi dii sviluppo industriale, al degrado e all’abbandono delle aree a queste periferiche. In assenza di una politica territoriale alternativa, lo spopolamento rappresenta una conseguenza negativa di queste tendenze.
Affrontare il problema del fabbisogno di abitazioni senza tenere conto di tali fenomeni, significa compiere, oltre tutto, na operazione anti economica in quanto porta al sottoutilizzo delle infrastrutture territoriali esistenti nelle aree marginali, alla perdita progressiva della struttura urbana storica nel suo complesso, e ad un impegno di spesa crescente per la predisposizione delle infrastrutture urbane nelle zone di espansione dei nuovi insediamenti. Se vogliamo vedere correttamente il problema del recupero del patrimonio edilizio esistente e, nell’ambito di questo, della riqualificazione dei centri storici, quale aspetto essenziale della politica della casa,la soluzione non può essere ricercata al di fuori di un effettiva programmazione generale degli interventi sul territorio, che permetta di innescare un processo di recupero della struttura urbana, in termini di razionalizzazione e di riequilibrio territoriale senza sprechi di risorse. È chiaro allora che in questo quadro accanto ai tradizionali concetti di valore attribuiti al centro storico come bene culturale si delinea quello di centro storico come bene economico e categoria sociale.
I risultati sinora ottenuti per preservare i centri storici da una progressiva trasformazione regolata dalle sole leggi dell’interesse privato, attraverso una politica di salvaguardia passiva, non potevano quindi che essere parziali. Lo stesso riconoscimento che nella più recente legislazione urbanistica è stato accolto individuando nel centro storico la parte più qualificante nel processo di sviluppo urbano attraverso l’imposizione di particolari norme e procedure per la redazione dei piani urbanistici locali, non è stato sufficiente ad invertire i termini del processo di degrado in atto. Rivedere la problematica del centro storico nell’ambito della più generale politica abitativa significa viceversa prevedere che l’operatore pubblico possa farsi promotore, attraverso l’intervento diretto e la manovra degli incentivi, di un processo di concreta riqualificazione del tessuto urbano, agendo sia a livello di risanamento edilizio sia fornendo lo strumento per il miglioramento ed un adeguamento delle infrastrutture e dei servizi, insopprimibile premessa di un civile abitare. Ritengo di dover ricordare a questo riguardo il posto determinante che, nei recentissimi interventi normativi del rilancio dell’attività edilizia, ha trovato il problema della riqualificazione del patrimonio esistente nei centri storici. L’esperienza in atto potrà suggerire ulteriori affinamenti delle procedure e fornire elementi qualitativi e quantitativi per la definizione dei futuri programmi.
Vorrei ora cogliere quest’occasione per indicare quali siano i contenuti veramente innovativi e qua1ificanti della legge e che non potranno pertanto essere alterati o rimossi senna sovvertirne completamente la natura e gli obiettivi. Si tratta dei due principi della concessione e dell’obbligatorietà, come norma, del programma pluriennale per l’attuazione dei piani, che collocano lo svolgimento dell’attività edificatoria in un quadro nuovo, caratterizzato da un incisivo controllo pubblico sull’uso del suolo. Rispetto a questi due principi, sui quali si é avuto il consenso delle parti politiche che compongono l’attuale maggioranza di governo, non credo si possa tornare indietro. Non esito a sottolineare che nel disegno di legge non si affronta direttamente la questione dei centri storici, perché l’obiettivo del provvedimento non é quello di risolvere tutti i problemi che rallentano, o impediscono l’esercizio di una corretta politica del territorio, nell’interesse della collettività. Non é questo l’obiettivo della legge né io credo che sia possibile – con un atto legislativo – la soluzione contestuale dell’insieme di problemi cui esso riconduce.
La nostra proposta – l’ho detto più volte in questi giorni – intende rimuovere alcuni degli ostacoli principali che finora hanno condizionato pesantemente l’attività urbanistica nel nostro Paese. Tutti i problemi specifici (quelli della casa, dei centri storici, del patrimonio esistente, dei fitti, dei finanziamenti, del credito, etc.) sono senz’altro riferibili alla riforma del regime dei suoli, ma tutti richiedono soluzioni particolari e quindi provvedimenti ad hoc. Da qualche parte, ad esempio, da alcune associazioni culturali, si è rimproverato alla proposta di riforma dei suoli di prevedere la gratuità delle concessioni per gli interventi di ristrutturazione, da eseguire, ovviamente, nel rispetto degli strumenti urbanistici. La norma tocca il problema di centri storici anche se questi non vi sono esplicitamente menzionati. Mi rendo conto perfettamente della preoccupazione che muove tale critica, che cioè si possa in tal modo incentivare ed esaltare quella forma di speculazione, già attiva nelle nostre città e resa recentemente più vigorosa dalla crisi che investe le nuove costruzioni in periferia, che mira a sconvolgere gli equilibri tradizionali che, nonostante tutto, sono ancora una caratteristica essenziale delle zone centrali della maggior parte delle nostre città.
Su questo punto non posso che ribadire la mia disponibilità ad approfondire l’argomento, per eliminare – tenendo conto dell’orientamento delle forze politiche interessate – ogni rischio e per rendere coerente il disegno di legge con quegli obiettivi che sono al centro dei dibattito che qui ha oggi inizio. È opportuno comunque ripetere – in conclusione – che la riforma del regime dei suoli non è un toccasana che possa risolvere tutti i problemi: è soltanto una indispensabile premessa, cui devono seguire altri impegni, ed altre azioni. E qui cito, per il particolare legame che presentano con il tema in discussione, la soluzione del problema del regime dei fitti e la legge quadro urbanistica. A quest’ultima dovrà essere affidata la definitiva riorganizzazione del sistema di procedure e di competenze in materia di politica del territorio.
In quest’azione continua l’Amministrazione dello Stato deve farsi garante delle scelte di fondo in materia di investimenti e di politica in generale. In particolare al Ministero dei LL.PP., per le proprie competenze istituzionali, nella definizione delle strategie di intervento sul territorio e livello nazionale e degli investimenti nel campo dell’edilizia pubblica, è demandata la responsabilità di una azione di indirizzo politico e di coordinamento, di cui la riorganizzazione territoriale ed il recupero in termini abitativi dei centri storici esistenti, costituiscono un elemento centrale. Ritengo di poter fermare qui le mie considerazioni che certo troveranno un maggiore e più sistematico sviluppo nel corso di questo Convegno Nazionale dei Centri Storici di cui ho l’onore di dichiarare aperti i lavori. Rinnovo il ringraziamento degli organizzatori e di tutti i partecipanti al Capo dello Stato che con la sua presenza ha voluto sottolineare il valore dell’iniziativa quale espressione di un pensiero urbanistico e di un intervento amministrativo degni del Suo alto riconoscimento.
Il mio augurio sincero é che i risultati di questo congresso possano riflettere adeguatamente la grande dovizia di indicazioni che il Consiglio d’Europa ha saputo condensare emblematicamente nella semplice espressione che ha accompagnato, nei paesi membri, le diverse iniziative dell’Anno europeo del patrimonio architettonico: «Un avvenire per il nostro passato». Con essa si é voluto significare una speranza, che riteniamo ancona giustificata, di un rinnovo dei valori del passato in un mondo che ha recepito la lezione innovatrice del progresso scientifico e tecnico, economico e sociale.
Da: L’Ingegnere, maggio 1976