Coltivare un territorio devastato dalla guerra

foto F. Bottini

L’ambiente ha pagato un enorme prezzo alla guerra civile infuriata per più di dieci anni in Siria, con oltre mezzo milione di morti e metà della popolazione obbligata all’esilio o a vagare qui e là nel territorio del paese. Gli agricoltori provano a recuperare oggi in qualche modo una parvenza di ritmi di vita normali, ripristinando i campi in un contesto socioeconomico molto precario, in un territorio degradato e distrutto. La caduta del regime di Bashar al-Assad nel dicembre 2024 ha restituito qualche speranza, ma oggi i siriani si trovano di fronte all’eredità di quel regime e della guerra, tra cui i massacri di un migliaio di persone lungo la costa. Sulla strada da Damasco a Douma, nel Ghouta orientale, si vedono solo infinite rovine. In arabo Ghouta significa oasi: un tempo la green belt attorno alla capitale.

Cicatrici

Gran parte della frutta e verdura prodotta nella regione veniva da qui. Ma negli anni un rapida urbanizzazione ha ricoperto di cemento e asfalto il territorio. Poi i pesanti bombardamenti della guerra hanno lasciato solo sanguinose cicatrici. La dittatura Assad inizia nel 1970 quando Hafez Al-Assad, padre di Bachar, prende il potere. Alla sua morte diventa presidente il figlio Bachar. Nel 2011, esplode una rivoluzione pacifica nel paese. Ma la brutale repressione del regime di Bashar al-Assad la trasforma rapidamente in un bagno di sangue. In nome dell’ordine pubblico, vengono sacrificati migliaia di siriani, e insieme le loro terre e risorse naturali. Poi l’8 dicembre 2024, varie offensive di diversi gruppi ribelli mettono fine al regime. Se percorriamo una strada laterale che entra nelle campagne vediamo moltiplicarsi le rovine. Si profila a distanza la città di Douma ancora solcata dalle cicatrici della guerra civile siriana.

Sopravvivenza

È qui che il regime di Assad ha scatenato più brutalmente la propria violenza: prima reprimendo spietatamente ogni protesta, poi mettendo sotto assedio la città dal 2012 al 2018, e usando anche il gas in un attacco del 2013 che ha ucciso tra le 1.400 e le 2.000 persone, secondo varie stime. In questa fredda mattina di inverno vediamo campi di molti ettari, punteggiati dalle rovine di fabbricati residenziali. Issa Mustafa Al-Masri, 55 anni, cura le sue verdure di stagione, cavoli e fave. Una mucca e un vitello, legati ai bordi del campo, brucano l’erba rada. Qualche albero di ulivo sopporta il vento freddo. «Un tempo di ulivi ce ne erano dappertutto. Grandi, alcuni antichi, anche di duemila anni. Ma [durante l’assedio] senza elettricità, carburante, nemmeno legna per scaldare le case, abbiamo iniziato a tagliarli» ci racconta il contadino. Isolata dal mondo, la popolazione dell’area ha adottato delle strategie di sopravvivenza: tra cui abbattere alberi per scaldarsi e cucinare.

Semi

In uno studio del 2023, la ONG Pax notava: «la regione ha perduto l’80% delle proprie alberature per gli incendi causati dalle bombe e la mancanza d’acqua». La perdita di vegetazione e superfici verdi, insieme all’allargarsi dell’edificazione negli anni di guerra, ha indotto un aumento delle temperature locali urbane tra i 2 e i 5 gradi a Damasco e Aleppo, secondo la ricerca. Issa Mustafa Al-Masri ha affittato il suo terreno e ci abita con la famiglia. Dal 2012 ha subito per parecchi anni i bombardamenti del regime, rifugiandosi nei seminterrati degli edifici circostanti i campi. «Passavano di continuo quegli aerei non si poteva coltivare – ricorda oggi seduto nel modesto soggiorno di casa. La moglie, Amira, aggiunge: «Era quasi impossibile anche semplicemente uscire di casa e attraversare la strada». La famiglia possedeva un tempo 200 pecore, tutte morte negli anni di guerra. A Douma, la vita riprende tra le rovine. Gli abitanti vivono ancora nell’incubo di quei mortali attacchi, specie coi prodotti chimici. Proseguendo verso sud-ovest, incontriamo un gruppo di uomini all’entrata di un campo spoglio. Stanno preparandosi a seminare per il raccolto estivo.

Instabilità

«La regione di Ghouta si chiama così per l’abbondanza d’acqua dai fiumi che la attraversavano» spiega Mohammad Fatoum, coltivatore locale. «La guerra ha trasformato tutto in un territorio spoglio». Il fiume Barada, uno dei principali corsi d’acqua dell’area, è fortemente inquinato da fognature e rifiuti, come confermano sia gli abitanti che gli esperti. Per non utilizzare quell’acqua inquinata si sono scavati dei pozzi. Da cui si attinge con una pompa diesel quando c’è carburante disponibile. Il conflitto siriano durato un decennio ha devastato il paesaggio naturale ci racconta il giornalista ambientalista Peter Schwartzstein. «Quasi nessuna parte del territorio è scampata agli effetti negativi delle ostilità». Schwartzstein, ricercatore al centro studi americano Wilson Center, è convinto che all’inquinamento di aria e acqua si da sommare anche una poco o mal gestita spontanea sopravvivenza delle popolazioni. «L’agricoltura è stata travolta sia nel turbine della violenza che nell’abbandono di pratiche sostenibili di coltura, adottandone altre durante la guerra».

Raccolto

Un piccolo corso d’acqua, intasato di spazzatura, esce dal campo. Nonostante la stagione invernale c’è pochissima acqua. «Le principali fonti idriche di Ghouta sono state chiuse per colpire la regione» prosegue Mohammad Fatoum, circondato dagli altri contadini. Attacchi aerei e bombardamenti si intensificavano, e non si poteva più lavorare nei campi. «Con la guerra abbiamo iniziato a sfruttare superfici più piccole per verdure, grano, avena, e altri prodotti di consumo quotidiano». Ma non potendo lavorare per il pericolo si è patita la fame e sono morti molti civili, tra cui tanti bambini che subivano anche il freddo. Per raggiungere la parte orientale di Ghouta dall’occidente si deve tornare sulla strada principale e attraversare una zona ancor più devastata. Avvicinandosi alla cittadina di Daraya, baluardo dell’opposizione, si notano chilometri di campi agricoli. Un gruppo di contadini sta seduto sotto una tettoia a organizzare il raccolto della giornata. Omar Abu Hawa, proprietario dei terreni, ha ereditato l’azienda dalla famiglia che li lavora da generazioni. Da bambino, l’oggi cinquantenne giocava tra filari di frutteti, albicocche, mele, noccioli.

Ripristino

«Ogni tanto non si riusciva neppure a vedere il sole» ricorda indicando quei terreni oggi spogli attorno al campo coltivato. «I soldati del regime hanno abbattuto gli alberi per rivendere legna da ardere agli abitanti». Se ne è andato all’inizio della guerra civile, spostandosi a nord e ritornando nel 2018 dopo una tregua tra ribelli e Assad. «Siamo tornati ma qui non cresceva nulla per via degli attacchi chimici. Una situazione molto difficile», ricorda tra le case bombardate. Il Professor Miassar Alhassan, dell’Università di Leeds, è un esperto di inquinamento dei terreni. Spiega come non si sappia ancora moltissimo sugli effetti delle armi chimiche nell’ambiente. «Il regime ha ostacolato i tentativi di fare ricerca su quell’argomento, impedendo l’accesso agli studiosi per lunghi periodi. E ciò vale allo stesso modo per gli esperimenti condotti dalla Russia in Siria con nuove munizioni, di cui non si sa nulla». La preoccupazione più urgente è per i metalli pesanti. Quando è tornato Omar Abu Hawa nel 2019, ha fatto studiare i suoi campi per rilevare mine da un esperto. «Adesso voglio piantare di nuovo delle vigne come era prima».

Coltivare

Daraya era famosa per quei vigneti, fino a guadagnarsi il soprannome di «Città dei Grappoli Sanguinanti» durante la rivoluzione. Sono state uccise più di 700 persone dalle forze di Assad nell’agosto 2012. «Nella zona occidentale di Daraya, c’erano grandi campi agricoli. Ma oggi sono spariti per le grandi difficoltà» conferma Hussam Al Aham, consigliere municipale, che teme anche l’emergenza idrica. Secondo molti esperti l’ambiente – già piuttosto trascurato prima della guerra – si è trasformato in una vera e propria arma di offesa del regime nel conflitto. «Ci vorrà almeno un secolo per tornare alla condizione precedente» conclude Miassar Alhassan. «Dobbiamo ripristinare servizi essenziali, dall’elettricità, all’acqua, alle occasioni di lavoro, e sostenere agricoltura, riforestazione, gestione dei rifiuti, in modo omogeneo e senza discriminazioni. Un modo per promuovere unità e coesistenza pacifica». Ma sia per la pace che per l’ambiente non potrà accadere nulla senza il sostegno internazionale a un cambiamento sistemico. A Douma e Daraya, i contadini lavorano per recuperare i campi tra le devastazioni, sperando che la pace duri per sé e i figli lontano da bombe e massacri.

da: The Ecologist, 21 marzo 2025; Titolo originale: Cultivating farmland after the bombs – Traduzione di Fabrizio Bottini

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