Che cos’è il consumo di suolo?
I dati sulla crescita delle città testimoniano il grande sforzo che molti paesi hanno intrapreso per studiare e comprendere meglio lo sviluppo urbano e le condizioni ambientali del territorio. L’occupazione di suolo per usi urbani può essere intesa come un indicatore di sostenibilità dei sistemi urbani. Oltre a permettere la comparazione fra diversi contesti territoriali, con la stessa metodologia di analisi possono essere costruite anche serie storiche di dati.
Ma che cosa si intende con l’espressione di occupazione di suolo per usi urbani? La domanda è soltanto apparentemente di facile risposta. Trattandosi di un indicatore di una formidabile comprensione intuitiva e di una grande efficacia nella descrizione della sostenibilità ambientale delle politiche territoriali, la sua definizione rischia di seguire le convenienze del soggetto che lo elabora. In molti piani urbanistici, per esempio, si definiscono aree urbanizzate soltanto quelle effettivamente edificate, annoverando tutte le aree verdi, in quanto aree aperte o aree permeabili, fra quelle non urbanizzate.
È evidente che una siffatta impostazione non dice nulla o poco sull’effettivo fenomeno di crescita urbana, soprattutto quando è a bassa densità. La crescita urbana con prevalenza di spazi verdi, siano essi parchi pubblici o giardini privati, risulta, in questo caso, una crescita dimezzata. Anche se un’alta percentuale di aree verdi e permeabili è generalmente positiva per la qualità ecologica del suolo, esse costituiscono comunque una forma di consumo di suolo, di perdita di territorio agricolo, di qualità paesaggistica e di funzionalità urbana.
Le espressioni occupazione di suolo per usi urbani, aree urbanizzate e consumo di suolo vengono spesso usate come sinonimi, sia nella letteratura scientifica, sia nel linguaggio comune. Occupazione di suolo per usi urbani, come espressione neutrale e aperta si avvicina di più all’orientamento delle più recenti ricerche sui cambiamenti degli usi del territorio. La nozione di aree urbanizzate sembra più restrittiva, alludendo a gradi di artificializzazione piuttosto che a usi del suolo. Il consumo di suolo, infine, indica il rapporto fra superficie urbanizzata e popolazione insediata, in genere espresso in mq per abitante.
Le diverse definizioni seguono le differenti priorità assegnate, volta a volta, al territorio agricolo, allo spazio ecologico, al paesaggio, alla qualità urbana, eccetera. In letteratura, infatti, la preoccupazione per l’irrefrenabile espansione urbana trova motivazioni diverse, riconducibili soprattutto alle seguenti tre: la riduzione dello spazio produttivo dell’agricoltura; la crisi dello spazio ecologico, del verde, dei suoli impermeabilizzati che accresce le occasioni di inquinamento e i rischi di squilibrio idrogeomorfologico; la compromissione delle unità di paesaggio da un lato e l’affievolimento della qualità urbana dall’altro che intaccano le valenze simboliche degli spazi e la qualità di vita che essi offrono, smarrendo la loro identità e il loro significato.
Negli Stati Uniti1 e in Canada2, la ricerca sul consumo di suolo tiene in particolare considerazione la perdita di terreno agricolo fertile. In effetti, come dimostrano numerosi studi, l’espansione urbana avviene soprattutto sui suoli agricoli più fertili, in parte perché sono quelli più facilmente urbanizzabili, in parte perché semplicemente sono localizzati vicini alle principali aree urbane3. Il problema dell’espansione urbana non è dunque soltanto una questione di consumo indistinto ma anche la perdita di una risorsa unica, il suolo agricolo di prima qualità. Questa è anche, in larga misura, l’impostazione originaria dell’Inghilterra4, dove il monitoraggio dell’espansione urbana risale agli anni Quaranta del secolo scorso.
In Germania, il monitoraggio degli usi del suolo avviene direttamente con i dati catastali. Ogni porzione di territorio è classificata in un sistema di categorie molto dettagliate fin dalla sua iscrizione ai tabulati catastali. Questo sistema permette l’elaborazione periodica dei dati sull’occupazione di suolo per fini urbani che sono, dunque, soggetti a un monitoraggio costante5. Più che alla diminuzione di suolo agricolo, l’attenzione sembra essere rivolta alla perdita di naturalità del suolo.
Mettere alla base della classificazione degli usi del suolo il loro grado di compromissione ambientale è il concetto sul quale si basano gli studi promossi dalla Commissione Europea. Nel 1998, la direzione generale Joint Research Centre (DG JRC) ha messo in cantiere un progetto di monitoraggio dell’espansione urbana chiamato Murbandy/Moland (Monitoring Urban Dynamics / Monitoring Land Use Changes)6. Obiettivo del programma era fornire un quadro sinottico dell’estensione spaziale delle città europee, documentare e monitorare la loro crescita negli ultimi 50 anni e sviluppare scenari dell’ulteriore evoluzione per alcune aree urbane selezionate.
L’individuazione delle aree occupate a fini urbani segue il concetto di net primary production (Npp)7, imponendo dunque una classificazione delle diverse porzioni di territorio rispetto alla loro capacità di produzione di biomassa8.
Secondo questa impostazione, sulla linea immaginaria che congiunge la massima naturalità con la massima artificialità, ovvero gli usi del suolo con la massima capacità di produrre biomassa con quelli senza tale capacità, si possono individuare 4 livelli: al primo livello si distinguono le aree con usi antropici da quelle con usi naturali; successivamente, le aree di uso antropico sono a loro volta suddivise in produttive o non produttive (nel senso della produzione di biomassa); tutte le aree non dedicate principalmente alla produzione di biomassa sono considerate consumate (land consumption); a loro volta, le aree non produttive sono divise in aree edificate e altri tipi di consumo di suolo (giardini pubblici, strutture sportive, eccetera); l’ultimo livello della classificazione, infine, distingue all’interno delle aree edificate fra aree impermeabili e aree permeabili9. Le aree del primo livello raggiungono un grado di Npp vicino al 100%; al quarto livello corrisponde, invece, una produzione di Npp pari a zero.
I risultati che emergono dal progetto Murbandy/Moland sono in linea con quelli rilevati in tutti i paesi: le aree urbane continuano a essere assoggettate a una consistente crescita, soprattutto in termini di estensione spaziale, dotazione di infrastrutture, consumo di energia e di risorse naturali. Questa crescita, inoltre, è più accentuata nelle aree a urbanizzazione matura, le quali presentano già di per sé un altissimo grado di urbanizzazione (per esempio la Ruhr in Germania o la conurbazione milanese). Immotivata dal punto di vista demografico e sostenuta soprattutto da funzioni di consumo, essa determina “un inappropriato uso del suolo, la congestione del traffico, l’inquinamento, l’impoverimento di risorse naturali e altri danni ambientali. La relazione tra la città e il suo hinterland è disturbata.”10.
L’importanza del progetto Murbandy/Moland sta certamente nel fatto di aver studiato con una metodologia unica aree metropolitane appartenenti a diversi paesi europei, permettendo così un confronto fra contesti territoriali molto diversi. Il ricorso a strumenti informatici in ambiente Gis permette una valutazione oggettiva dei fenomeni geografici. Fra i dati più rilevanti emersi dallo studio c’è la dimostrazione che nei quarant’anni, dal 1950 al 1990, le 24 aree metropolitane prese in considerazione sono cresciute di oltre il doppio (116,6%), consumando quasi un quarto del territorio rurale e aperto (22,5%). Tutte le aree metropolitane italiane si collocano sopra i dati medi. La crescita dell’area metropolitana di Palermo, pari al doppio della crescita media europea, è superata solo da quella di Setúbal e dell’Algarve. Parimenti, la perdita di territorio agricolo presenta uno dei valori più alti nell’area metropolitana di Milano, superata soltanto da quella di Iraklion.
L’obiettivo ultimo delle politiche di contenimento urbano è disaccoppiare lo sviluppo economico da quello urbano. Le strategie fin qui adottate sono diverse, e possono essere ricondotte principalmente al diverso peso che la cultura ambientale assume rispetto a quella pianificatoria all’interno delle politiche stesse. Come si cerca di dimostrare nei due casi studio, l’Inghilterra e la Germania, l’attenzione al consumo di suolo, infatti, scaturisce da due matrici culturali diverse:
- quella di più lunga data, la pianificazione spaziale, si riferisce al suolo come dimensione territoriale e affonda le proprie radici nelle tradizioni del pensiero urbano del XX secolo;
- la seconda matrice, la cultura ambientale, concepisce il suolo come risorsa e lo inserisce nel concetto di sviluppo sostenibile.
Si può pensare alle due matrici anche come due punti di vista diversi sullo stesso oggetto: le politiche sul suolo guardano alla crescita degli usi urbani da “fuori”, dalla campagna, e ragionano in termini di tutela e perdita di risorse; la pianificazione urbana, invece, discute la progressiva espansione urbana dall’”interno” della città e ne denuncia le diseconomie e gli sprechi. Dal punto di vista dell’efficacia di incidere sul fenomeno prevale probabilmente la cultura pianificatoria; la definizione della risorsa suolo e la comprensione delle sue complesse caratteristiche e funzioni è però senza dubbio merito della cultura ambientale.
“Il suolo è una risorsa naturale complessa di fondamentale importanza per la vita, così essenziale e ovvia che è spesso trascurata fra le componenti ambientali. In termini ambientali il suolo agisce come interfaccia, costituendo il medium per l’interazione fra rocce, acqua, aria ed esseri umani”. Con queste parole inizia la nuova Carta europea del suolo11 che chiarisce il concetto di suolo e formula alcuni principi di tutela.
Da molto prima, almeno a partire dal Libro verde sull’ambiente urbano (1990), tutti i documenti i politica ambientale dell’Unione europea contengono un riferimento esplicito all’espansione urbana. Il fenomeno è descritto in tutti i suoi aspetti problematici: “la proliferazione urbana è la questione più urgente da affrontare a livello di progettazione. Le città si stanno espandendo verso le periferie fino alle zone rurali ad una velocità superiore al tasso di crescita della popolazione (a fronte di un’espansione del 20% negli ultimi 20 anni, nello stesso periodo la popolazione è aumentata solo del 6%)”12
Per quanto riguarda, però, possibili strategie di intervento le raccomandazioni non vanno oltre la formulazione di obiettivi generici. Nella recentissima strategia tematica dell’ambiente urbano, al tema della crescita urbana sono riservate solo poche battute di buon auspicio: “l’urbanistica sostenibile (pianificazione territoriale adeguata) contribuirà a ridurre la proliferazione urbana e la perdita di habitat naturali e di biodiversità. La gestione integrata dell’ambiente urbano dovrebbe promuovere l’elaborazione di politiche a favore di una pianificazione territoriale sostenibile che prevengano la proliferazione urbana”13.
La legittimità di intervento dell’Unione europea sulle politiche urbanistiche dei singoli stati membri è molta discussa. Non è negabile, però, l’influenza di tutte le sue politiche sugli assetti spaziali anche locali. Questo dato di fatto autorizzerebbe a una presa di posizione più determinata.
Fine della seconda parte. Da: AA.VV, No Sprawl: Perché è necessario controllare la dispersione urbana e il consumo del suolo, a cura di Maria Cristina Gibelli e Edoardo Salzano, Alinea, Firenze 2006. Qui la Prima parte Qui la Terza Parte In Questo sito dalla medesima raccolta di saggi anche Sprawl: nel Cuore Verde della Megalopoli Padana
NOTE
1 Secondo il National Resources Inventory sono classificate aree urbanizzate tutte quelle con le seguenti destinazioni d’uso: residenziale, industriale, commerciale e istituzionale; cantieri; funzioni di pubblica amministrazione; scali ferroviari; cimiteri; aeroporti; campi da golf; discariche; depuratori; infrastrutture di regimazione delle acque; altri usi del suolo per funzioni simili; piccoli parchi (con una superficie inferiore a 4 ettari circa) all’interno di aree urbane o edificate; strade e linee ferroviarie incluse nelle aree urbane; inoltre sono incluse porzioni di territorio inferiori a 4 ettari circa, non compresi fra le destinazioni citate, ma circondate da aree edificate. La superficie minima di rilevazione è pari a circa 1.000 mq. Per ogni ulteriore specificazione si rimanda al sito web del NRI, http://www.nhq.nrcs.usda.gov/NRI/1997/.
2 Anche nelle ricerche canadesi sul consumo di suolo si fa riferimento all’insieme delle aree con usi urbani e di quelle con usi non agricoli o naturali. Fra le aree “consumate” figurano dunque oltre a quelle edificate il verde urbano, le aree per le infrastrutture, le discariche, le cave, eccetera.
Cfr. Hofmann, N., Filoso, G., Schofield, M. (2005), „The loss of dependable agricultural land in Canada“, in Rural and Small Town Canada Analysis Bulletin, Vol.6, n.1
3 Aa.Vv. “Sealing Soils, Solis in Urban Areas, Land Use and Land Use Planning”, in EUR 21319 EN/6.
4 Ricorrendo alle tecniche della fotointerpretazione, integrate dal rilievo diretto, le voci della classificazione degli usi del suolo sono piuttosto articolate sia per quanto riguarda il territorio aperto sia all’interno delle aree urbanizzate. Fra quest’ultime vengono distinte inoltre le aree dismesse, le quali costituiscono il perno delle attuali politiche di contenimento urbane in Inghilterra.
La classificazione del National Land Use Database (NLUD versione 3.2) distingue nel territorio aperto fra suolo agricolo, bosco, prateria, corpi idrici, suolo roccioso e coste, cave e discariche; nel territorio urbanizzato individua spazi per la ricreazione, aree destinate ai trasporti, funzioni residenziali, di servizio comune, industriali e commerciali nonché aree ed edifici dismessi e di uso militare.
5 Nella categoria di suolo per fini urbani vengono computate le aree edificate e le relative aree aperte, le aree per la produzione di beni e servizi, le aree per la ricreazione, le aree per i trasporti e, infine, i cimiteri. Per “aree per la ricreazione” si intendono tutte le aree per la pratica sportiva all’aperto (tra cui anche campi da golf, maneggi, tiro al volo, eccetera), i giardini pubblici e i parchi urbani nonché i campeggi.
6 Agenzia europea per l’ambiente – Eea (2002), Towards an Urban Atlas. Assessment of Spatial Data on 25 European Cities and Urban Areas, Copenhagen.
7 In biologia, per primary production si intende l’insieme del materiale organico prodotto tramite il processo di fotosintesi in un determinato arco di tempo, quindi anche quello utilizzato nella respirazione delle cellule; con il termine di net primary production si indica, invece, tutto il materiale organico disponibile per gli organismi viventi.
8 Aa.Vv. “Sealing Soils…, op. cit.
9 La definizione di impermeabilizzazione merita un’annotazione a parte. Secondo gli esperti dell’Agenzia europea dell’ambiente, l’impermeabilizzazione del suolo (soil sealing) non si riferisce soltanto alla copertura superficiale del suolo con uno strato di materiale, rendendo impermeabile il suolo sottostante. Seguendo un approccio sistemico, il fenomeno dell’impermeabilizzazione riguarda ogni separazione del suolo tramite materiali totalmente o parzialmente impermeabili da altri componenti dell’ecosistema, come la biosfera, l’atmosfera, l’idrosfera, l’antroposfera o la pedosfera. Inoltre, anche la compattazione del suolo o di strati del subsuolo si riferiscono allo stesso fenomeno. I suoli impermeabilizzati sono dunque ben più estesi di quelli comunemente indicati tali. Non si tratta soltanto di aree coperte da asfalto o cemento, ma, probabilmente, tutte le aree urbanizzate, anche quelle a verde, che presentano fenomeni di compattazione relativi alla loro costruzione o al loro uso, che sono interessati da infrastrutture a rete o che in altro modo presentano un quadro di caratteristiche alterato.
10 Eea (2002), Towards an Urban Atlas…, op. cit., p.7.
11 Consiglio europeo (2003), Revised European Charter for the Protection and Sustainable Management of Soil, Document by the Secretary General established by the Directorate of Culture and Cultural and Natural Heritage, Strasbourg.
12 Commissione europea, comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni 11 febbraio 2004, n. COM(2004) 60 definitivo, Verso una strategia tematica sull’ambiente urbano.
13 Commissione europea, comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo 11 gennaio 2006, n. COM(2005) 718 definitivo, relativa a una strategia tematica sull’ambiente urbano.