Cos’è in realtà la High Line

Passeggio pubblico innovativo realizzato sopra un passaggio ferroviario sopraelevato di Manhattan, la High Line si è affermata in tutto il mondo come elemento di qualità urbana e spazio condiviso del ventunesimo secolo. Ha suscitato un notevole interesse per la progettazione del verde e contemporaneamente reinserito un ex manufatto industriale nella vita quotidiana della città di New York. Come hanno notato la critica e l’informazione, grazie al solo fatto di essere sopraelevata rispetto alla strada, la High Line offre un’esperienza che comprende e al tempo stesso distingue quella urbana dal resto. La progettazione sia architettonica che dell’arredo a verde, insieme alla gestione delle varie attività artistico-culturali in quegli spazi, immergono nella città e nel suo panorama storico grazie alla percorribilità esclusivamente pedonale. Il verde arricchisce un quartiere un tempo industriale e sulla sponda del fiume, sottolineando ulteriormente il riuso di una infrastruttura dismessa, e recupera l’idea antica e dimenticata del passeggio urbano.

Sin dall’inaugurazione nel 2009, e poi il secondo e terzo lotto dei lavori di recupero completati nel 2012 e 2014, questa particolarissima greenway ha attirato una quantità di visitatori senza precedenti, stimolando le trasformazioni edilizie e gli investimenti immobiliari di tutto il West Side di Manhattan. La High Line è celebrata anche come vero e proprio monumento all’intraprendenza dei cittadini, esempio innovativo di recupero e adattamento di una infrastruttura urbana attraverso una progettazione ecologica di assoluta avanguardia. E il concetto di parco ha poi ispirato il proliferare di iniziative simili di progettazione per infrastrutture postindustriali riconvertite nelle città di tutto il mondo.

Se si escludono pochi articoli di quotidiani o riviste, e più recenti studi specialistici, che in parte abbiamo raccolto, la stragrande maggioranza della pubblicistica sulla High Line in un primo tempo aveva toni celebrativi, considerando il parco un indiscutibile successo nella creazione di spazio pubblico, incremento dei valori immobiliari circostanti e relativi introiti per il comune. La High Line ha suscitato molto interesse per la progettazione urbana, sino a farla definire «Il più originale parco urbano americano» grazie allo «ambiente rivoluzionario romanticamente post-industriale che adotta ecologie emergenti). Soprattutto la High Line è stata considerata in una prospettiva del tutto positiva «win-win»: inedito spazio pubblico a verde che – grazie alla perseveranza dei cittadini attivi, della filantropia, e dell’amministrazione del sindaco Michael Bloomberg – ci offre una diversa immagine della città, un ambiente verde accessibili, e innesca la rivitalizzazione di una intera zona considerata irrecuperabile in un ruolo urbano così integrato. E certamente gli effetti di trasformazione della High Line paiono innegabili.

Tuttavia, man mano quegli effetti si mostrano più chiaramente col passare del tempo, tra la proliferazione di architetture firmate di lusso a cambiare il volto delle vie, alcuni giornalisti, studiosi e cittadini iniziano a mostrarsi più critici su come quel nuovo parco sopraelevato abbia cambiato il quartiere. Un blogger che usa lo pseudonimo di Jeremiah Moss, ad esempio, ci propone la sua opinione in un op-ed del New York Times nel 2012, la definisce Disney World sull’Hudson lamentando come sia diventata subito «una passerella intasata di turisti che catalizza un processo di gentrification di velocità senza precedenti nella storia della città». Aggiungendo poi che questo si inserisce «nella strategia di Bloomberg per costruire su tutta la fascia della sponda West Side un quartiere di lusso senza alcun rapporto con ciò che generazioni di newyorchesi avevano comunque considerato casa propria, e a cui non si rivolge certamente la High Line.

Oltre che sopraelevata e separata dalla vita quotidiana della città, la High Line verrebbe considerata da questi normali cittadini piuttosto distante ed esclusiva. Quando il Sindaco Bill de Blasio, successore di Bloomberg, non partecipa all’inaugurazione del terzo lotto del progetto nel 2014, riconoscendo tra l’altro di non essere mai stato lì, rafforza il sospetto di sostenere piuttosto le ragioni dei parchi abbandonati negli altri quartieri, anziché questa vetrina troppo sostenuta finanziata e simbolo dell’amministrazione precedente. Diversi studiosi poi hanno approfondito proprio questa disomogeneità di interesse per verde e spazi pubblici.

Sinora comunque le critiche sono state piuttosto isolate e lontane dal dibattito generale sull’urbanistica contemporanea. Ed è tempo che la High Line e ciò che ha comportato nei processi di trasformazione urbana – sociali, ambientali, economici, culturali – vengano criticamente trattati dagli studiosi. Ha poco senso considerare aspetti riusciti e meno riusciti della High Line in quanto nuovo tipo di spazio pubblico, se non la si colloca dentro il più vasto ambito dei processi culturali neoliberali di riqualificazione urbana, spesso tendenti a indurre spazi diseguali ed esclusivi. Da questo punto di vista il progetto deve essere interpretato come fortemente integrato nello specifico contesto, ma al tempo stesso indicativo di più generali processi di trasformazione e valorizzazione utilizzando la landscape architecture. Una delle principali tendenze teoriche della disciplina oggi è il landscape urbanism, che allarga il campo immaginando di riqualificare ampi contesti postindustriali e infrastrutturali, qui la High Line svolge un ruolo di punta come esempio da cui prendere spunto per i piani di questo tipo di spazi residui in tutto il mondo.

Crediamo che anche l’atteggiamento altamente celebrativo che circonda la High Line possa solo trarre vantaggio dall’essere controbilanciato da critiche, che rivolgono maggiore attenzione con la loro prospettiva a quanto di più problematico e inatteso il parco abbia indotto. Una critica basata sulle teorie urbane. Anziché concentrarsi sullo studio delle buone pratiche e dei loro metodi o su aspetti tecnici di efficienza economica razionale, o ancora sul ruolo del mercato edilizio, «la teoria critica urbana si focalizza sui caratteri di trasformazioni fortemente influenzate dalla politica e dell’ideologia, e che considerano lo spazio urbano come qualcosa di continuamente malleabile, senza badare a come questo continuo ri-costruire restituisca solo una immagine del prevalere di un potere sociale su un altro» (Neil Brenner, What Is Critical Urban Theory?, City Vol. 13 n. 2-3, 2009).

In questa prospettiva qualunque comprensione del valore o significato della High Line non sarebbe completa senza una adeguata analisi della zona e di New York nel suo insieme, dei modi in cui il progetto abbia influenzato altre iniziative di progettazione urbana nel mondo, e cosa ci dica sui processi di riqualificazione. Se proviamo a rivolgerci esattamente a queste questioni, serve una prospettiva interdisciplinare a comprendere studiosi di architettura, urbanistica, geografia, sociologia, processi culturali, che si interroghi sugli effetti estetico, sociali, ecologici, simbolici della High Line. E nel farlo consideri la correlazione tra High Line e spazio pubblico, pratiche creative, modelli neo-liberali di rinnovo urbano, e pianificata gentrification.

Per contribuire ad una maggiore chiarezza proviamo qui a ricostruire brevemente di seguito una breve storia su come nasce il progetto di High Line. Lasciando ad altri lo sviluppo dei particolari omessi. E focalizzandoci per amor di brevità sui punti essenziali che ci consentono di cogliere non solo la trasformazione dell’ex sopraelevata ferroviaria, ma anche le critiche accumulate a quella trasformazione.

La struttura che poi prenderà il nome di High Line è un viadotto di acciaio che si snoda attraverso il West Side di Manhattan. La ferrovia rilevata su bastioni domina il paesaggio industriale a ovest della Decima Avenue a Manhattan dall’epoca di costruzione nel 1847. Il viadotto viene realizzato fra il 1929 e il 1934 nel quadro del piano West Side Improvement di Robert Moses, per eliminare la congestione di traffico e migliorare la sicurezza stradale, sollevando i binari di sei metri, per treni che trasportavano principalmente prodotti alimentari dai moli verso i magazzini, le fabbriche, gli impianti di lavorazione della carne. Nelle forme originarie la ferrovia scorre dal Saint John’s Park Terminal alla Trentaquattresima Strada. In quanto una delle ultime sopraelevate – in gergo El che evoca Hell – costruite a New York, e adattandosi ad un certo generalizzato rifiuto pubblico per tutto il rumore, il brutto aspetto, e degrado indotto dalle El lungo il percorso, la High Line viene collocata a metà isolato per ridurne la visibilità. Un caso unico rispetto alle altre di Manhattan, che scorrevano sopra le Avenue nord-sud. Nei punti di scavalcamento delle vie in cui il viadotto diventava visibile, c’erano decorazioni in stile Deco, invece dell’aspetto esterno solo utilitaristico generale. Tutta la linea si integrava anche dentro il sistema dei magazzini refrigerati e degli impianti di trattamento degli alimentari del Meatpacking District, secondo un criterio funzionalista ed esteticamente ispirato al modernismo architettonico.

Nonostante l’enorme dispiego di risorse pubbliche e le trasformazioni spaziali della città, nel giro di soli vent’anni il grande intervento di modernizzazione infrastrutturale già appariva obsoleto rispetto alle necessità del settore lavorazioni alimentari. Con l’avvento delle autostrade Interstate tra gli anni ’50 e ’60, il sistema iniziò a decentrarsi rispetto ai quartieri metropolitani centrali. Nel 1960 veniva chiuso al traffico il St. John’s Park Terminal, portando alla fine e smantellamento dell’estremità terminale meridionale della ferrovia a Bank Street. Vent’anni dopo si dismettevano tutti i binari lasciandoli in stato di abbandono, e la linea tagliata nel 1991 tra Bank Street e Gansevoort Street per fare spazio a un progetto residenziale della Rockrose Development Corporation. Secondo il presidente di Rockrose, «Il giorno in cui venne eliminato il viadotto si tolse un enorme peso che gravava sul West Village». La High Line terminava di colpo nel Meatpacking District a Gansevoort Market, mentre verso nord si snodava fino alla Trentaquattresima Strada vicino allo Javits Convention Center.

Anche se in disuso e vistosamente abbandonata negli anni ’80, in termini legali la High Line continuava tuttavia ad essere una struttura della rete ferroviaria che avrebbe anche potuto essere ripristinata. Il viadotto era stato ceduto dalla New York Central Railroad alla Penn Central Railroad nel 1968 e poi acquisito nel 1976 dalla federale Consolidated Rail Corporation (Conrail), che stava prendendo il controllo di numerose tratte ferroviarie obsolete nel Midwest e Nord-est. Negli anni ’80, Conrail intendeva dismettere e cedere definitivamente la strutture. Ma il primo riuso proposto fu ancora di tipo ferroviario. Promossa dal fondatore della West Side Rail Line Development Foundation (WSRLDF) e abitante di Chelsea, Peter Obletz, questa iniziativa prosegue sino a metà anni ’80. Il gruppo guidato da Obletz riesce quasi nell’intento di acquisire la struttura per destinarla a nuovi progetti di espansione del servizio Amtrak, ma nel 1986 la Interstate Commerce Commission (ICC) decide che WSRLDF non è qualificata economicamente per gestire l’operazione.

Erano in molti a cercare usi alternativi per la struttura della High Line, da quella di trasporto alla residenza, mentre cresceva la richiesta che il viadotto fosse demolito. Il gruppo immobiliare Chelsea Property Owners (CPO), di investitori che possedevano edifici e terreni lungo il viadotto, già nel 1989 inizia a chiedere all’ente federale di poter abbattere la struttura, e la pressione durerà in vari modi sia legali che mediatici per dieci anni. Si tratta di proprietà che aspettano una trasformazione e la immaginano molto favorita demolendo la High Line, e che lavorano anche convertendo temporaneamente alcune superfici a parcheggio o deposito, in attesa di altre funzioni. Nel 1992 una sentenza del tribunale consentirebbe di demolire, ma non si riesce ad arrivare a un accordo per la distribuzione dei costi dell’abbattimento, e tutto si blocca.

La CSX Corporation, erede di Conrail dopo la privatizzazione, controlla la sopraelevata dal 1999. Tra opzioni di riattivazione della linea e di dismissione-demolizione viene commissionato alla Regional Planning Association (RPA) uno studio di fattibilità che esamini l’alternativa tra una metropolitana leggera e una greenway sopraelevata. Il che avviene nel mezzo di un fortissimo interesse per le trasformazioni in senso residenziale nel West Side, del settore urbanistica-costruzioni e dell’amministrazione Giuliani assai favorevoli allo smantellamento definitivo del viadotto. A Joseph Rose, assessore all’urbanistica, viene accreditata dal Design Trust for Public Space questa affermazione del 1999: «quella sopraelevata non ha alcun senso se non per farci passare dei binari e quella funzione non la svolge più da troppo tempo, è diventata una specie di Vietnam ferroviario».

E sempre nel 1999 due cittadini di Manhattan, Joshua David di Chelsea e Robert Hammond dello West Village, si presentano ad un ufficio cittadino con la loro idea per la High Line, in quella che possiamo considerare la genesi della trasformazione. Entrambi sono convinti che vada preservata dalla demolizione, anche se non pare ancora chiaro cosa se ne debba o possa fare precisamente. Fondano insieme Friends of the High Line (FHL), associazione senza scopo di lucro che diventa la spinta principale per la conservazione, e più tardi la realizzazione del parco High Line. David e Hammond iniziano una prudente campagna di comunicazione e consenso raccogliendo idee di recupero. Certo non è la prima volta che si riflette su un riuso, ma si riesce a catalizzare l’interesse di una élite economico-culturale cittadina, e influenzare il dibattito politico-amministrativo durante la campagna elettorale tra i sei candidati Sindaco.

Col sostegno di facoltosi aderenti all’iniziativa dagli ambiti artistici-culturali della zona, Friends of the High Line promuove studi, dibattiti, divulgazione sul riuso degli spazi. Tra i documenti più interessanti, alla luce degli esiti finali, spicca Reclaiming the High Line, studio di fattibilità del Design Trust for Public Space e FHL, datato 2002. il cui principale risultato oltre al sostegno della sindacatura Bloomberg, è di stabilire che non sarà demolita e qualunque riuso sarà pedonale, non ferroviario. Pensando alo stimolo alle attività commerciali di un nuovo parco e al notevole incremento dei valori immobiliari lungo questo spazio aperto.

Aspetti ampiamente ripresi da Bloomberg nell’introduzione allo studio, dove citando il green renewal della Promenade Plantée di Parigi, sul tracciato della ferrovia di Vincennes del primi anni ’90, si stabilisce un rapporto di causa effetto tra verde e rivitalizzazione dei quartieri: «New York City non sarebbe neppure abitabile senza i suoi parchi, gli alberi, gli spazi aperti. Che offrono bellezza, salute, benessere collettivo, e incrementano i valori delle case. Dove sono stati realizzati dei parchi, i quartieri sbocciano a nuova vita. Là dove lo spazio aperto pubblico è stato rinnovato, tutte le aree circostanti sono diventate più belle e sicure». Questa citazione dall’introduzione di Bloomberg allo studio ci dice parecchio sull’idea di città e interventi sugli spazi pubblici che caratterizza tutto il suo mandato amministrativo. Osserva Julian Brash nel suo Bloomberg’s New York (University of Georgia Press, 2011), che si tratta di una sostenibilità ambientale concepita dentro la logica di libero mercato, con un ruolo centrale dell’imprenditorialità locale, della finanza, del settore edilizio-immobiliare, verso una New York città di lusso.

Lo studio di fattibilità Reclaiming the High Line del 2002 espone molto chiaramente motivi e giustificazioni del nuovo parco. Le argomentazioni si concentrano nelle prime fasi sullo sviluppo economico, e sugli aspetti simbolici di una città che ancora reagisce agli attacchi terroristici del World Trade Center di solo un anno prima: «Appare chiaro che qualunque nuova costruzione a Manhattan, che si tratti di un edificio privato o di uno spazio pubblico, abbia un ruolo vitale nella ripresa della città. Ogni mattone posato, ogni albero piantato, contribuisce all’economia urbana; attira nuove attività, abitanti, visitatori, creando ambienti abitativi e di lavoro belli e sani; innesca attività finanziarie, accresce i valori immobiliari, incrementa i flussi fiscali. Conservazione trasformazione o creazione di spazio aperto si inseriscono in tale processo». Un documento che offre parecchi spunti su quella che sarà l’alleanza strategica tra FHL, proprietà immobiliare, pubblica amministrazione cittadina. Per convincere i proprietari che gli immobili si rivaluteranno conservando il viadotto, FHL collabora con gli urbanisti che elaborano la variante di azzonamento a funzioni commerciali-residenziali, per mettere in grado chi ancora si oppone anche di monetizzare i propri teorici diritti edificatori: è ciò che verrà poi soprannominato West Chelsea Rezoning.

Le decisioni che portano alla perimetrazione e regole dello Special West Chelsea District, contano sugli effetti High Line, e la possibile ricomposizione di conflitti. Secondo il promotore cittadino David, «C’era chi voleva tenere gli edifici bassi e chi voleva più alloggi economici. Anche pur pochi favorevoli a mantenere spazio produttivo, non solo esposizioni d’arte ma anche laboratori. … In realtà il fatto di allontanare alcuni diritti edificatori dalla High Line significava alla fine che alcuni edifici sarebbero stati più alti. E perché funzionasse economicamente il meccanismo del trasferimento di diritti, doveva esistere una grande quota di edilizia residenziale di mercato, certo non ciò che volevano i sostenitori degli alloggi economici».

Hammond e David proseguivano nella pratica della variante urbanistica mentre apparivano evidenti alcuni rischi sugli effetti della High Line. A parte la preoccupazione che un eccesso di edilizia residenziale potesse spazzar via attività come le gallerie d’arte da West Chelsea, come spiega David «non volevamo innescare una dinamica in cui la High Line fosse percepita come concorrenziale rispetto ad altri legittimi interessi. Ma tutta la variante ha comunque a che vedere con la fattibilità, sia economica che legale.

In una intervista per The Edge Becomes the Center, la storia orale della gentrification a new York ricostruita da D.W. Gibson, un funzionario pubblico che partecipa a una commissione di Chelsea dal 1996 al 2003 sostiene che l’espulsione di attività produttive e commerciali sia deliberata e programmata: «Una analisi economica e immobiliare calcolava che si potesse investire nella High Line facendone un parco senza modificare affatto le funzioni del corridoio. Ma il settore urbanistica cittadino voleva pompare steroidi nei valori di quell’area e capitalizzare trasformazioni rapide di grosse dimensioni, esattamente ciò che è stato fatto … Oggi lì si vedono turisti da tutto il mondo ma non abitanti della città perché non si tratta di un luogo pensato per noi».

Si stima che la High Line abbia indotto trasformazioni edilizio-immobiliari per un valore di oltre due miliardi di dollari, oltre a incrementare del 103% quelli entro un raggio di cinque minuti a piedi. Altri calcoli riguardano l’incremento del 10% del valore degli alloggi entro una distanza di circa mezzo chilometro dal parco Ma quel corridoio verde assorbe una quota assolutamente sproporzionata dei bilanci comunali per il settore, rappresentando di gran lunga il parco più costoso di New York. Quindi nonostante il fatto di essere la High Line finanziata in gran parte da capitale filantropico privato, la variante urbanistica di West Chelsea insieme a quella grande spesa pubblica di allestimento sono una ottima dimostrazione di come è stato gestito tutto il processo a stimolare gentrification. Basterebbe solo la sproporzione di risorse pubbliche riversate nel progetto, anche in rapporto a quelle private, a far sorgere questioni sull’uso dello spazio pubblico a favore della speculazione immobiliare.

L’impennarsi dei valori di mercato indotto dalla High Line pone il problema non solo degli impatti socioeconomici del parco lineare, ma anche di tutti quelli indotti ben oltre il raggio di azione diretta. A parte il predominio dell’uso turistico l’esperienza stessa del passeggio sull’ex viadotto viene fortemente condizionata in negativo dal proliferare delle torri residenziali di lusso. David Halle e Elisabeth Tiso notano nel loro New York’s New Edge: Contemporary Art, the High Line, and Urban Megaprojects on the Far West Side (University of Chicago Press, 2014) notano come nonostante la variante urbanistica West Chelsea 2005 consenta «di innescare una vera e propria frenesia costruttiva di nuovi condomini … conferendo a tutta l’area una atmosfera di sfoggio di ricchezza» in fin dei conti ne valga la pena dato che quelle nuove audaci architetture «in qualche misura ribaltano l’opinione di mediocre qualità che si era guadagnata New York negli ultimi trent’anni». Liquidando così i processi di espulsione pure evidenti entro i normali effetti di una «tradizionale» gentrification, ribilanciata da monumentalità e audacia progettuale.

Ma emerge anche una notevole incongruenza estetica nel rapporto tra aspetto marginale selvatico, industriale, in parte mantenuto dalla High Line, rispetto a all’ostentata ricchezza di ciò che le sta attorno. Spazi come il Gansevoort Market Historic District mantengono ancora l’atmosfera dell’antica funzione ma via via tutto il resto viene sostituito da negozi di lusso, ristoranti e altro tipo di servizi rivolti al turismo e ai pochi agiatissimi abitanti. Inoltre, se consideriamo la quantità di edifici di lusso molto sviluppati in altezza e ciò che suggerisce il loro effetto visivo sul futuro dell’area, la stessa sopraelevazione della High Line rispetto al piano strada si ribalta in una sorta di canyon dove scorre un fiume di turisti tra le torri incombenti.

E qui sorge il nodo: se quella trasformazione urbana e sociale del paesaggio era nelle intenzioni dei Friends on the High Line, non è possibile capire la conversione in parco senza considerare i modi della variante urbanistica che quelle trasformazioni ha promosso. Come ha osservato un ex funzionario tecnico cittadino del settore urbanistica «High Line è inscindibile dalla variante»: l’amministrazione concepiva sia il parco che le nuove regole di azzonamento come un processo unico per promuovere la trasformazione del West Side di Manhattan. E in quel contesto la High Line è «un integrato processo interattivo di disegno urbano dove politica, finanza, e progetto si intrecciano …. ed esiste un programma, o prodotto, o processo utilizzato per attuare quella trasformazione». È insomma, quella che emerge dall’analisi del progetto, una gentrification a regia pubblica che incontra vasto consenso politico.

Indipendentemente dalle intenzioni di FHL, nella prospettiva dell’amministrazione cittadina e degli interessi immobiliari nel corridoio High Line, rezoning e radicale trasformazione socio-economica del Meatpacking District e di Chelsea stanno al centro di tutto. A ben vedere l’impennarsi dei valori immobiliari indotto da High Line e le espulsioni di abitanti e attività storiche innescate, hanno poi interessato anche le gallerie d’arte che a Chelsea avevano dato una visibilità. E a maggior ragione questo insieme di rapide trasformazioni urbane meritano un approccio critico ai conflitti e contraddizioni sia del parco in sé, sia del rinnovo urbano postindustriale, a New York City e non solo.

Estratto dalla Introduzione a: Deconstructing the High Line – Postindustrial Urbanism and the rise of the Elevated Park, a cura di Cristoph Lindner e Brian Rosa, Rutgers University Press, 2017 – Titolo originale: From Elevated railway to Urban Park – Traduzione di Fabrizio Bottini (si veda anche il tag High Line a piè di pagina) 

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