«Il mondo dei fabbisogni e quello delle tecnologie non hanno fatto gli stessi passi avanti: la casa si è evoluta, la città no». Giuseppe Villoresi – ingegnere e urbanista, esperto di sottosuolo, promotore e presidente del Cocis (Comitato città sotterranea), associazione che da sei anni lavora su questo tema – si affaccia alla finestra che dà su Piazza Tricolore proprio mentre passa un’autocisterna con rimorchio e non trattiene un moto di disgusto. «Se l’immagina lei una pentola fumante in salotto? O l’armadio per le scope in sala da pranzo? In realtà – osserva – da secoli le case vengono concepite con le cantine, le città no, sotto di esse corrono al massimo i tubi di scarico. La città è una casa più grande: la piazza è il giardino, la strada è la terrazza. Sono cose evidentissime. Se dobbiamo conservare un imballaggio lo spediamo in cantina, perché lo scopo degli spazi sotterranei è puramente funzionale, e non riguarda la permanenza delle persone. Sono concetti ovvi e armoniosi».
Villoresi continua: «In cantina noi stipiamo, spesso alla rinfusa, ciò che sta al margine della nostra vita quotidiana e che è di poco valore. Invece nel sottosuolo delle città c’è un patrimonio colossale in tecnologie. Abbiamo censito nel sottosuolo di Milano un patrimonio da 100 mila miliardi. Abbiamo calcolato la lunghezza di tutte le reti esistenti: fognature, acquedotto, gas, illuminazione pubblica, Enel, telecomunicazioni pubbliche e riservate (le reti di questura, prefettura, ecc.); poi abbiamo moltiplicato il tutto per il prezzo di costruzione, un tanto al metro. Il risultato è una stima enorme, 100 mila miliardi appunto, che ci deve far riflettere sul fatto che tale patrimonio va considerato con la massima attenzione».
E cioè? «Per esempio, bisogna pensare di far camminare questo tesoro in ambienti protetti. È anche una questione di qualità del lavoro: oggi chi opera su queste reti lo fa con estremo disagio. Li ha mai cisti? Si calano in botole protette da cavalletti, più simili a muratori o speleologi che a tecnici del Duemila. Perseguire maggiore qualità del lavoro è, sì, un maggiore onere, ma migliora la produttività».
Si potrebbero, dunque, realizza per corsi tecnologici sotto le strade. «Certo. Esistono molte vie strette ove gli edifici che si fronteggiano possiedono delle cantine: lo spazio che le separa – sotto la strada – ha già una naturale vocazione a diventare un salone, vuoto, illuminato. Vuole un esempio? Recentemente la Sip, che doveva effettuare dei lavori, ha buttato per aria via della Spiga: forse sarebbe costato meno scavare una galleria, chiuderla con un solaio, e in essa far correre piccoli treni per le merci o installare dei trasportatori meccanici. Non è avvenirismo: è semplicemente il ciclo produttivo della città inserito nella logica della sua gestione».
Tutto ciò potrebbe andare ben oltre via Spiga. «Si potrebbe creare sotto il centro una intera rete per il percorso delle merci, e, soprattutto, dei rifiuti, che viaggerebbero a un livello diverso dal “salotto” di Milano, permettendo di organizzare diversamente la superficie. Così il “quadrilatero” diventerebbe finalmente un vero luogo di attrazione, a tutto vantaggio degli stilisti e dei gioiellieri che godrebbero di questi benefici d’immagine».
Qual è esattamente lo scopo del Cocis? «Suggerire opportunità per questi obiettivi. Le nostre imprese edili hanno capacità straordinarie, per i lavori sotterranei sono le migliori del mondo: ebbene, perché il potere politico non le utilizza? Possediamo queste valenze ma manca il sarto che con il filo e la sua arte sapiente sappia cucirle. Noi abbiamo creato il tavolo di lavoro, al quale, attraverso il Cocis, partecipano esponenti di ogni ramo del mondo professionale, dagli ingegneri, ai medici, agli ambientalisti».
Quand’è nato il Cocis? Nell’86 con un convegno sul sottosuolo come patrimonio disponibile per la tutela dell’ambiente. Il Comitato ha studiato da subito alcuni progetti, come il raddoppio in sotterranea dell’ospedale Niguarda. Successivamente abbiamo portato la nostra idea fuori dall’ambito lombardo, con convegni in Sicilia e a Napoli. Nell’89 ci siamo trasformati in associazione nazionale strutturata con delegazioni regionali: oggi siamo presenti il Liguria, Veneto, Toscana e Sicilia, presto “apriremo” in Campania e nelle Puglie».
Vi occupate solo della città? Città sotterranea è uno slogan. Ma i nostri progetti investono tutto il territorio ove le opere dell’uomo hanno impatto su di esso. Interpretiamo i modelli urbanistici mediando tra i fabbisogni dell’uomo e la tutela dell’ambiente. Per esempio, anche fuori delle città ove è forte la concentrazione di attività industriali o artigianali inquinanti, si possono trovare soluzioni che aiutino a risolvere i problemi. Penso al “polo” della Val Seriana che potrebbe trovare sfogo nel ventre delle montagne: già nelle province di Trento e Bolzano esistono cantine e magazzini scavati nella roccia. Il nostro messaggio “esportato” in ambiente di valore paesaggistico acquista nuovo significato».
Ma come lavorate? Ricevete incarichi da amministrazioni pubbliche? Incarichi no. Diventiamo interlocutori – a titolo gratuito – delle amministrazioni per lo studio delle città. Abbiamo collaborato con Genova, Madonna di Campiglio, Venezia (città dai problemi gravissimi, senza fogne, coi cavi della luce gettati in fondo ai canali che vengono tagliati quando si fanno le pulizie e poi rimessi nuovi), Seveso, ove le Ferrovie Nord spaccano in due il comune. Tra i nostri soci sostenitori ci sono aziende pubbliche e private, tra cui Enel e Amsa».
Avete ottenuto dei risultati? «Glie ne cito due. Il Comune di Milano ha recepito, in fase di appalto dei lavori in piazzale Kennedy, le nostre osservazioni e ha accettato di realizzare lo svincolo non più a tre livelli fuori terra, ma scendendo di un piano, interrandone uno. È stato un nostro successo. Il secondo è il parcheggio di via Mascagni, ove nasce la prima strada sotterranea di Milano. È stato concepito come un viale con svincoli su viale Bianca Maria e via Borgogna, che assorbirà le auto in cerca di parcheggio. Una soluzione suggerita da noi. Il parcheggio è privato in concessione e la strada sotterranea è la contropartita da parte della cooperativa che lo realizza. In realtà, e questi esempi lo confermano, se andare sotto costa di più – in alcuni casi del 20-30%, ma non sempre, talvolta si risparmia – il ritorno in termini di qualità dei servizi e di prodotto è infinitamente più alto. Si tratta di problematiche nelle quali l’intervento dei privati risulta molto importante».
Quando sarà completato il parcheggio? «Nel ’93. Esattamente a 10 anni dalla prima proposta fatta dalla Cooperativa Tricolore che io presiedo. Per due anni di cantiere abbiamo speso otto anni di burocrazia spinosa e defatigante». Quanti posti avrà? «660 assegnati a privati per 60 anni, 220 a rotazione, a disposizione del pubblico. La realizzazione è completamente a carico dei privati. Il Comune non spende nulla e risolve molti problemi: rifaremo fogne e condutture in superficie, cancellate le auto, creeremo una zona verde. E sarà tutto un altro vivere».
da: Dedalo, mensile Associazione Imprenditori Edili Milano, aprile 1992 – intervistatore Paolo Stefanato