Criteri per la formazione dei Piani Regionali (1952)

1 – Fra i piani urbanistici, quelli territoriali di coordinamento – più comunemente noti sotto il nome di piani regionali – sono i più ampi e complessi, in quanto l’estensione geografica da essi abbracciata implica necessariamente la considerazione di svariati e molteplici aspetti. Per meglio intendere la loro natura e penetrarne lo spirito, è opportuno premettere un’esposizione di carattere generale, attraverso la quale ne vengano lumeggiate finalità e portata. Caratteristica fondamentale dei piani regionali è che essi sono anzitutto dei piani. Questa affermazione potrebbe sembrare superflua se non fosse opportuno chiarire che un qualunque piano rappresenta un programma da svolgersi nel tempo, espresso, praticamente, in forma grafica. Così, i piani regolatori comunali sono dei programmi per le molteplici espressioni delle attività che si svolgono nell’ambito della comunità cittadina: programmi espressi in grafici, in regolamenti ed in norme che servono da guida allo sviluppo e alla vita ordinata della città. Si è detto: programma di attività. Questa espressione, anche per i comuni piani regolatori, vuole affermare un concetto molto più vasto e profondo di quello del solo coordinamento di attività.

2 – A spiegare valga un esempio. Supponiamo che nei vecchi e antichi quartieri storici che costituiscono il centro di una città si focalizzi un forte interesse (determinato dal valore edilizio delle aree) a demolire l’antico centro storico, per sostituirlo con costruzioni di maggiore sfruttamento , e con conseguente manomissione di valori artistici ed ambientali. Il piano regolatore non deve limitarsi a dare norme per coordinare le iniziative della speculazione o per circoscriverla, , e per creare una nuova edilizia sana nella zona in parola; ma può e deve, piuttosto, impostare le sue linee nel senso programmatico di creare le basi per un logico spostamento del centro commerciale della città, favorendo la valorizzazione di altre zone più adatte e cercando di concentrare su di queste gli interessi edilizi, sì da permettere poi il risanamento e la conservazione dell’antico centro. Così pure, per esempio, ove in una città fosse manifesta la tendenza a costruire quartieri residenziali in una zona insalubre o inadatta allo sviluppo di pubblici servizi solo perché allo stato attuale tale zona è più prossima alla città, il piano non ha la funzione di offrire una buona rete stradale a tale zona, ma deve piuttosto, nel suo programma, aprire le porte all’edilizia in altri settori più sani, rimuovendo gli ostacoli che fino ad oggi l’hanno impedita, vincolando infine proprio a non costruire nella zona insalubre. Programma, dunque, e non riconoscimento, sia pure organizzato e coordinato, di uno stato di fatto.

3 – Questo concetto, che è stato esemplificato nel quadro del piano regolatore cittadino trasferito nella più vasta sede del piano regionale, trova naturalmente più vasti aspetti ai quali riferirsi.Così il piano regionale, per dare un solo esempio, non solo e non tanto identifica le aree destinate alle industrie, ma nel farlo, tiene presente, nel quadro economico generale, la opportunità maggiore o minore di sviluppi industriali, potendo giungere anche a negarli del tutto in determinati settori del territorio. Il significato del piano regionale (come del resto quello dei piani regolatori comunali) trascende dunque la stessa, già pur importante, funzione di coordinamento delle varie attività che si agitano nel quadro della regione, per assumere quello più profondo di programma in base al quale si coordinano le attività.

4 – Si è sentito parlare spesso, per non dire sempre, di piani. Si può dire che non c’è ente, grande o piccolo, azienda industriale o commerciale, o amministrazione pubblica o privata, che non metta innanzi alla propria attività un piano programmatico. L’Amministrazione delle Ferrovie, l’Azienda Nazionale delle Strade Statali, il C.O.N.I., il Ministero dell’Agricoltura, le Aziende tranviarie foranee di molte grandi città, le aziende elettriche, le grandi società edilizie, gli Istituti di case popolari, l’Ina-Case e tanti altri enti realizzano secondo programmi e piani che inquadrano la loro attività. Le città hanno i loro piani regolatori; le Sopraintendenze ai monumenti compilano dei piani paesistici a salvaguardia delle bellezze panoramiche; perfino la pubblicità ha il suo piano per la distribuzione dei cartelli propagandistici: mai come negli ultimi decenni si sono fatti tanti piani, e mai come oggi sono apparse contrastanti, discordanti, dispersive e anti-economiche, nel quadro generale, tutte quelle attività che, effettivamente, sono pianificate! Questo «contrastare» è sotto gli occhi di tutti e si riflette gravemente in episodi grandi e piccoli, in conseguenze immediate e mediate. Le prime sono percepibili facilmente da parte di chiunque eserciti anche un modesto spirito di osservazione; le seconde, quelle a lunga scadenza (e di solito le più gravi), richiedono invece una indagine più faticosa e specializzata per essere puntualizzate e definite. Negli esempi che si illustrano vengono citati casi di un mancato accordo almeno fra pianificazione statale e pianificazione edilizia: molti altri se ne potrebbero citare, in Italia e all’Estero, che esprimono – in senso urbanistico – il fenomeno di una negazione della pianificazione. La mancanza di un piano dei piani non solo frustra la efficacia programmatica dei singoli piani, ma addirittura fa risolvere in danno generale quello sforzo pianificatore che, nelle intenzioni dei singoli, avrebbe dovuto portare ordine ed economia, ossia vantaggi: vantaggi che solo il piano regionale può offrire.

5 – Peraltro, come si è già accennato in principio, il piano regionale non si limita a raccogliere, a coordinare e a rendere efficienti i singoli programmi: va più in là. Deve intervenire per vagliare i singoli piani, proporzionarli al reale fabbisogno e alle possibilità e offrire un indirizzo nella loro scelta, scartando eventualmente quelle soluzioni e quelle impostazioni che, nel quadro dell’interesse generale della regione, apparissero addirittura dannose. Se, per dare un esempio, una regione presentasse specifiche caratteristiche agricole, legate indissolubilmente al regime idrografico di un gruppo di valli montane, tali che uno sconvolgimento di detto regime per opera di una certa industrializzazione o per la deviazione di corsi d’acqua od altro determinasse la distruzione o l’impoverimento dell’agricoltura, il piano regionale ha il diritto di intervenire soppesando il pro e il contro e scartando, se del caso, addirittura la possibilità della creazione della industria.Poiché una regione non è da considerarsi a sé stante con problemi politico-economici di autarchia, ma come un «ambiente» che fa parte di un complesso economico ben più vasto e che è legato alla generale economia del Paese. Scopo del piano regionale è, in sintesi, il raggiungimento dell’equilibrio tra popolazione, economia e territorio. Il piano regionale altro non vuol essere, dunque, che il programma dei vari programmi: la pianificazione dei singoli pianificatori. «La pianificazione regionale – come è stato acutamente osservato – è la direzione cosciente e l’integrazione collettiva di tutte quelle attività che riposano sull’uso della terra, come località, risorse, strutture, ambienti. Quindi la pianificazione regionale è un ulteriore passo avanti dei processi più speciali e isolati della pianificazione industriale e cittadina».

La regione

6 – Non può darsi definizione semplice di «regione», perché alla sua configurazione concorre un complesso di fattori che trae origine dalla stessa complessità della sua fisionomia. Si può intanto dire, anzitutto, che la regione non significa tanto il territorio chiuso da un certo limite amministrativo, quanto quello identificato da un complesso di attività economiche. La regione è una espressione geografica nel senso più completo della parola: nel senso anche di geografia umana. Nella regione si identifica un ambiente i cui contorni sono dati dalla struttura del suo suolo, dal clima, dalla altimetria, dalla possibilità produttiva del territorio, dal tipo etnico degli abitanti, dagli usi e costumi, dal paesaggio, dalle arti, dalla storia, dalla cultura in una parola. In secondo luogo, la regione si individua nelle energie potenziali che in essa sono racchiuse e che attendono di esprimersi e di realizzarsi. Una qualsiasi regione, se ben identificata, appare con una propria economia. Ciò non significa però autarchia: all’opposto, significa che la economia regionale è, in un certo senso, complementare di quella delle altre regioni in sede nazionale, per cui, pur conservando un suo carattere ed una sua struttura, è strettamente intrecciata con quella delle regioni vicine.

7 – I limiti amministrativi della regione molto spesso non coincidono con quelli economici: vi sono dei settori, nel Piemonte, che gravitano piuttosto verso la Liguria o la Lombardia; dire come possa definirsi la regione Veneta e distinguerla dall’Emilia settentrionale non è facile; trovare dei limiti chiari tra il Lazio e l’Umbria, non sempre è possibile, e neppure lo è per l’Abruzzo settentrionale e le Marche. Peraltro, anche se l’attuale delimitazione amministrativa delle regioni non comprende unità economiche definite compiutamente, la delimitazione stessa, per le sue origini storico-geografiche, potrà essere assunta come dato di partenza per la formazione dei piani, essendo possibile tener conto dei fattori che esercitano influenze più o meno profonde delle regioni finitime e di quelli che hanno riflesso più vasto, i quali saranno oggetto di inquadramento e di coordinamento in sede nazionale.

8 – La legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, intendendo dar forma concreta all’occorrente indirizzo urbanistico per tutte le attività di determinate regioni, sancisce all’art. 5: «Allo scopo di orientare e coordinare l’attività urbanistica da svolgere in determinate parti del territorio nazionale, il Ministero dei Lavori Pubblici ha facoltà di provvedere, su parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, alla compilazione dei piani territoriali di coordinamento fissando il perimetro di ogni singolo piano». Al piano regionale spetta perciò il compito non facile e vastissimo, che si può brevemente riassumere così: il piano regionale deve, analizzando anzitutto la regione, rilevare quali siano i valori effettivi e potenziali di ogni specie in essa contenuti; identificare quindi i vizi della situazione attuale; trovare infine il nuovo inquadramento per la civiltà potenziale che esiste nelal regione. In sintesi, il piano deve conservare e valorizzare gli aspetti caratteristici della regione; deve promuovere, potenziare e coordinare le migliori iniziative varie (sia pubbliche che private) in modo che tutte trovino il più favorevole ambiente per la loro realizzazione nell’interesse generale.

da: Ministero dei Lavori Pubblici, I piani regionali – Criteri di indirizzo per lo studio dei piani territoriali di coordinamento in Italia, Roma 1952
Di Giovanni Astengo si veda su questo sito anche
Caratteri operativi dell’intercomunalità comprensoriale in sede di pianificazione territoriale (1957)

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