Dal tugurio ai nuovi quartieri villaggio in periferia (1930)

Il problema della demolizione dei tuguri ci accompagnerà a lungo. Si ritiene che soltanto una piccola quota degli abitanti riesca a diventare affittuaria delle nuove case popolari, e che siano ancora meno coloro che riescono a mantenere i requisiti minimi per abitare quei complessi. Forse meglio concentrarsi su un diverso modello abitativo meglio adatto agli abitanti dello slum non ancora in grado di adattarsi al brusco cambiamento di stili di vita, nelle nuove case luminose e ben attrezzate, dopo aver abitato sin da piccoli per tutta la vita in pochissimi spazi bui affacciati su qualche lurido vicolo.

Ho abitato e lavorato nel corso dell’ultimo anno in uno dei nuovi quartieri di Manchester, notando gli immensi sforzi compiuti da questi ex abitanti del tugurio per mantenere standard di vita elevati, una volta trasferiti lì. Molti sono ancora fissati con l’idea che queste persone abbiano chissà perché la tendenza naturale a degradare il luogo che abitano trasformandolo comunque in tugurio, che esso si trovi su trafficate arterie di Hulme o Ancoats oppure nella zona suburbana a sud di Manchester. Si profetizza che nel giro di pochi anni tutti questi quartieri nuovi diventeranno una replica esatta dello slum che volevano sostituire.

Eppure mi sembra di aver visto pochissimi segnali che confermino tutto questo pessimismo. Basta inoltrarsi solo di qualche decina di metri tra i viali e notare piccoli giardini privati ricchi di fiori di ogni genere e colore, accuditi con gran cura, e intuire la gioia con cui tanti di questi ex abitanti del tugurio stanno facendo della loro casa un luogo se non meraviglioso almeno grazioso e splendente. Certo non manca mai anche chi trasformerebbe qualunque cosa in un porcile, e avrebbe bisogno di qualche buon consiglio su come si deve vivere. Ma si capisce anche molto bene come complessivamente questo genere di abitanti trovi difficile mantenere il livello di vita richiesto dal nuovo quartiere, e come a volte ricada nelle vecchie abitudini. Quella principale, di difficoltà, è il costo della vita. Non solo gli affitti sono parecchio più alti, ma mangiare, spostarsi, curarsi, e altre cose, sono assai più care di prima. E gli stipendi non crescono in proporzione.

Quando per andare al lavoro si spendono due o tre pence di biglietto invece di un penny è facile accumulare costi che scavano vuoti nel bilancio di un lavoratore. Si spende di più per il mangiare, e tanti negozi a differenza delle botteghe dello slum non fanno neppure credito alle massaie. Nel vecchio quartiere se i contanti scarseggiavano e l’uomo tardava con lo stipendio settimanale, era abbastanza semplice andare alla bottega dell’angolo e uscire con tutto quanto necessario al solo patto di saldare il conto la prossima volta. Perché quel negoziante ti conosceva da vent’anni, mentre qui sei una persona sconosciuta. Certo una difficoltà, ma bisogna anche capire quanto possa essere naturale per il commerciante trovare qualche difficoltà nel capire di chi ci si può fidare e di chi no per il credito, che non si può concedere a chiunque.

La cosa che pare più difficile in assoluto agli abitanti dei nuovi quartieri, ben oltre le ristrettezze economiche, è l’assenza di vita sociale comunitaria. So di una zona di Manchester in cui si è costituito un gruppo di donne, ma nel quartiere dove abito io e che conosco meglio non esiste vita comune di alcun tipo. Il che è un grosso limite: la difficoltà di fare nuove conoscenze potrebbe essere molto diminuita da un luogo di incontro.

da The Guardian 10 settembre 1930, riproposto sul sito web sezione archivio – Titolo originale: From slums to suburbs: the new housing estates (discorso alla commissione Economia della British Association) – Traduzione di Fabrizio Bottini

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