Dall’Ideale alla Città c’è di mezzo l’Ego

crespi018

Foto F. Bottini

Che fa un colonizzatore o occupante militare che dir si voglia, appena posato il piede sul suolo d’oltremare? Come ci raccontano miriadi di quadri in ogni stile possibile e immaginabile, salta a terra (dalla scialuppa o dalla scaletta del modulo spaziale che dir si voglia) e ancora tra schizzi di spuma o polvere planetaria pianta saldamente con gesto penetratorio al suolo il suo vessillo, o meglio quello di chi l’ha mandato fin là. Un gesto così automatico, fatale, a quanto parrebbe proprio inevitabile (o no?), al punto che il Papa da qualche mandato a questa parte ci ha abituato distinguendosi in una platealmente opposta procedura, quella del casto bacio alla terra, alternativa alla brutale penetrazione simbolica. Tanto per capirsi perlomeno sul fatto che quella bandierina tanto casuale e involontariamente possessiva non lo è per nulla, anzi sta lì a dire esattamente quel che sembra. La maschilista penetrazione, anche se il pittore di corte (quello che ha prodotto il quadro ufficiale dello sbarco) in genere non ricostruisce il processo facendone un fumetto consequenziale, si risolve in seguito anche in una gravidanza prolungata nell’eternità, perché più o meno attorno, sotto e sopra quello straccetto simbolico piantato sul territorio, nasce la città coloniale, detta a volte anche ideale. E anche qui c’è modo e modo, fondazione e fondazione, gravidanze territoriali auspicate o meno da un territorio.

Ideale sarà lei!

Che vuol dire, che c’è modo e modo? Vuol dire che quella presa di possesso potrebbe avvenire secondo modalità anche meno perentorie e brutali, senza quei «metodi da sbarco»: ci sono città ideali (o anche meno ideali se per questo) nate da un ricercato connubio fra esseri umani e paesaggio, e altre che davvero paiono nel metodo proseguire quel conficcarsi possessivo della bandierina sulla battigia. Intendiamoci: il grosso delle città normali, a parte la ricostruzione postuma (dal fantasioso Romolo col suo solco in poi), nasce da processi del tutto diversi e virtuosi, di cui al massimo le bandierine segnano qualche tappa intermedia. Ma ci sono casi in cui anche proprio quel puntare tutto sulla decisione di fondare lì l’oggetto definito, chiavi in mano, detto città, la dice lunga su una serie di forzature: serviva davvero quello? è il posto giusto o no? o meglio è proprio il posto giusto per metterci quel modello di città? Infatti poi basterebbe dare un’occhiata in prospettiva a tutti i tragici o ridicoli fallimenti (sociali, ambientali, economici, di immagine) delle città ideali per cogliere come proprio in quella forzatura iniziale stia già il baco del crollo annunciato. Usando un termine caro al dibattito contemporaneo, si può dire che piantare quella bandierina ideologica è un gesto insostenibile, che la natura si muove per piani e strategie, non per progettini a scatola chiusa da posare qui e là come su una tavola apparecchiata.

Sempre lì stiamo: piano e progetto

Ah: se i nostri conquistatori di territori idealisti utopisti, dopo aver pagato il pittore per immortalarli nel gesto coloniale, poi dessero anche un’occhiata attenta al quadro! Noterebbero che come sempre accade l’arte e l’opera vanno molto oltre le intenzioni e la consapevolezza, lasciando scaturire ben altro. Per esempio, nell’iconografia classica oltre all’eroe che balza dalla scialuppa con il suo vessillo da piantare sulla battigia, c’è sempre anche qualche selvaggio locale che scruta non visto da dietro i cespugli. Dubbioso, l’irsuto selvaggio, se palesarsi oppure no davanti a quel dispiego di potenza decisionale-progettuale. Mentre di cose da dire, e interessanti, di sicuro ne avrebbe parecchie, visto che sta lì da generazioni, e a modo suo riassume anche tutto il resto, che stava lì prima, e che riassumiamo nella parola «territorio», o in senso lato ambiente. Ma accecato dalla sua piccola o grande ideologia colonialista, il condottiero con la bandierina dell’ideale esprime perfettamente l’ottusità militar-progettuale, quella che da sempre si premura di coprire di ridicolo anche le migliori categorie dello spirito (giustizia, natura, eguaglianza, sostenibilità, efficienza …) dandone un’interpretazione meccanica caricaturale, che poi chiama «città ideale», producendo un ossimoro-cortocircuito a sua insaputa. Perché tra l’ideale e la città ce ne passa, sempre, tanto, e chi non lo vuole capire sta preparando guai di varie dimensioni, anche quelli del tutto indipendenti dalle dimensioni dell’ego con la bandierina.

Riferimenti:
Adele Peters, This Self-Proclaimed Micronation Has Plans For A Car-Free, Algae-Powered City, FastCo, 14 giugno 2016

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