Quando il Presidente Washington riceve dal Congresso l’incarico di sovrintendere alla realizzazione di una città capitale sulle sponde del Potomac, invia il maggiore Andrew Ellicott a tracciare i confini di questo territorio di interesse federale, e immediatamente dopo commissiona al maggiore Peter Charles L’Enfant i disegni relativi «ai terreni su cui sia più opportuno approvare la localizzazione della città e degli edifici federali». Durante la Rivoluzione era stato il Conte d’Estaing ha raccomandare L’Enfant a Washington, e quest’ultimo si era fatto un’ottima opinione delle competenze di questo giovane ingegnere francese. Finalmente in periodo di pace, L’Enfant si era stabilito a New York, iniziando una fiorente attività professionale, quando Washington lo chiama a sé. Tale è la fiducia di L’Enfant nel Presidente, da fargli immediatamente rinunciare al lavoro privato, lanciandosi totalmente nel compito che, se darà fama imperitura al suo nome, non gli porterà però personalmente altro che disgrazie, oblio, povertà per oltre un quarto di secolo.
Giunto a Georgetown nel marzo 1791, L’Enfant è raggiunto immediatamente da Washington, e i due si inoltrano per boschi e colline a esplorare i migliori luoghi i cui collocare la sede del Congresso e il palazzo Presidenziale. Decisi i due punti, L’Enfant inizia il suo lavoro specifico di tracciare le linee di una città, riferendo via posta due volte la settimana a Thomas Jefferson, allora Segretario di Stato. Richieste a Jefferson delle carte, glie ne vengono consegnate di grande formato e molto dettagliate quelle di Strasburgo, Amsterdam, Parigi, Milano, Torino, Francoforte, e altre città fra quelle visitate dal Segretario nel corso dei suoi viaggi attraverso l’Europa. Ai margini delle mappe ci sono in abbondanza note di pugno di quell’attento osservatore, ma Jefferson non dà alcun consiglio che non sia di carattere molto generale, come la richiesta di orientarsi verso modelli classici, o esempi di architetture più moderne apprezzati da persone di buon gusto.
Tenente del servizio provinciale francese quando era giunto in America all’età di ventidue anni, a L’Enfant erano senza dubbio familiari i lavori sui giardini di Lenotre, la cui opera sia in Francia, che in Inghilterra o a Roma non ha eguali. Anche a Washington non era certo ignota la grande arte dei giardini, con l’esempio della capitale del suo Stato natio, o delle grandi tenute progettate secondo quei criteri importati dall’estero; il gusto di Jefferson si era formato studiando i migliori esempi del mondo di spazi urbani. L’Enfant redige due progetti, entrambi respinti dai suoi committenti; ma un terzo viene approvato e adottato. Senza dubbio in questo schema sia Washington che Jefferson hanno avuto qualche ruolo, e certamente anche Ellicott ha fornito valide indicazioni, ma il piano generale si deve al solo L’Enfant.
I tecnici responsabili dell’organizzazione del District of Columbia avevano deciso per un sistema di vie da nord a sud, e da est a ovest. Su questa griglia ortogonale, L’Enfant sovrappone le arterie diagonali che si irraggiano dal Campidoglio e dalla Casa Bianca, e che conferiscono a Washington i suoi caratteri distintivi. Dispone anche gli edifici pubblici così che ciascuno abbia un contesto circostante a verde adeguato, e insiste molto sul mantenimento dell’organizzazione assiale che rappresenta il principio cardinale dell’opera di Lenotre. In poche parole, disegna una città capitale come opera d’arte, dove ciascun elemento ha un rapporto molto preciso con tutti gli altri, e conferisce al tutto quell’aspetto unitario che ancor oggi colpisce e interessa il visitatore di Parigi.
Nel disegno di L’Enfant un grande parco collega i giardini del palazzo del Congresso col parco presidenziale a sud della Casa Bianca. Qui un grandioso viale, largo centocinquanta metri e lungo un chilometro e mezzo, fiancheggiato da giardini ed edifici, guida il percorso verso il luogo in cui si approvano le leggi; dove l’asse della Casa Bianca interseca quello del Campidoglio, è prevista la statua equestre di Washington votata dal Congresso Continentale nel 1783. Le venticinque sorgenti d’acqua comprese entro i confini della città ne forniscono in abbondanza per alimentare fontane e cascate, e il torrente Tiber viene sfruttato come un canale commerciale, salvo dove le sue acque attraversano i giardini pubblici. Tutto questo allo scopo di evitare i periodi di siccità caratteristici delle lunghe estati di Washington, o quantomeno di mitigarne gli effetti. Il canale viene realizzato, svolge per un certo periodo la propria funzione commerciale, e ancora oggi è in uso una piccola parte non tombata. Le cascate non furono mai costruite, e la necessità più urgente della capitale restano le fontane, numerose e abbondanti come quelle che danno vita e bellezza a Roma.
L’Enfant era così concentrato sul proprio progetto da esagerare il proprio ruolo. Temendo che speculatori potessero appropriarsi degli spazi, gelosamente non mostrava i disegni ai commissari, che dovevano invece trovare acquirenti per i terreni e reperire così i fondi necessari alla costruzione degli edifici pubblici. Washington, che considerava L’Enfant «non solo un uomo di scienza, ma anche una persona che somma un notevole gusto alle conoscenze professionali», ritenendolo in generale l’uomo più indicato per quel compito, rispondeva alle rimostranze dei commissari di adeguarsi alla «vivacità» del genio, di essere accomodanti, di «assecondarlo».
Ma purtroppo si rivelò impossibile impiegare il maggiore L’Enfant «nell’opera per la città federale, secondo quei modi di adeguata subordinazione»; così Jefferson lo licenziò dopo un solo anno di lavoro. Il President chiese per lui un compenso di duemilacinquecento-tremila dollari; ma L’Enfant fissò invece il valore del proprio servizio a cinquantamila dollari, rifiutandosi di accettare qualunque somma inferiore, e rifiutando anche la nomina a Professore di Ingegneria all’accademia di West Point; fino alla morte nel 1825, la figura alta e dritta del francese percorse i corridoi del Campidoglio, chiedendo invano quel riconoscimento che riteneva gli fosse dovuto.
Washington e Jefferson non solo avevano fatto proprio il progetto di L’Enfant, ma finché furono al potere lo protessero da ogni modifica, così come vigilarono su quello di Thornton per il Campidoglio, contro i cambiamenti tentati da costruttori improvvisati architetti; quando entrambi non ci furono più, i caratteri fondamentali del piano originale di L’Enfant erano stati fissati oltre ogni possibilità di dubbio, anche se ancora esposti all’abbandono o a sovrapposizioni. Fu l’insufficienza di finanziamenti federali all’inizio, a impedirne una realizzazione completa, e negli anni successivi ci fu un deciso declino nel gusto collettivo.
All’epoca della Guerra Civile, Washington era una città del Sud in difficoltà, mal costruita, pessime strade, mucche e maiali che imperversavano indisturbati per le vie. Durante la guerra, i neri poveri e senza casa, arrivati nella capitale, si insediarono nei terreni disponibili costruendo una cintura di quartieri di capanne sulle colline che cingono la città a nord. Poi venne l’amministrazione Shepherd, durante la quale si intervenne su Washington con mano ferrea. Si spianarono dislivelli, aprirono strade lastricandole in legno; si aggirava il Congresso, si attiravano magistrati fuori città per impedire che ostacolassero la demolizione di alcuni edifici; scorreva denaro come fosse la corrente impetuosa del Potomac; furono raddoppiate le tasse, e accumulato un debito enorme, ma non si può certo negare che alla fine visti i risultati non ne fosse valsa la pena.
Portate a termine anche due grandi opere. L’ampliamento del Campidoglio ideato da Walter, concluso durante la guerra con la straordinaria copertura a cupola; poi nel 1884 il Monumento a Washington, lasciato a metà e vista orribile per generazioni, fu concluso in tutta la sua imponente altezza. Purtroppo gli ingegneri, convinti di non poter realizzare fondamenta adeguate all’intersezione dei due assi dove l’aveva collocato L’Enfant, piazzarono il monumento nella posizione attuale. Inoltre lo spazio del grande viale si era trasformato in un pascolo, alimentato da un canale e fiancheggiato da depositi di legname; quasi a voler proprio distruggere per sempre l’idea di L’Enfant, nel 1870 la città propose, e il Congresso ratificò, la realizzazione di una ferrovia sul Mall.
Non si può negare che parchi e piazze che L’Enfant aveva espressamente lasciato all’iniziativa dei singoli Stati si adornassero di statue degli eroi della Rivoluzione, e oggi Washington può vantare più statue equestri di bronzo di qualunque altra città del mondo; o che anno dopo anno si sia intervenuti anche sui parchi minori, si siano lastricate strade, o costruite ottime residenze; anche per i parchi più grandi si sono acquisite aree, o se ne sono bonificate da acquitrini malsani. Ma la cosa che ancora mancava nello sviluppo della capitale, era quell’unitarietà che era stato il vero obiettivo di L’Enfant.
Il 12 dicembre del 1900, si celebrava alla Casa Bianca il centenario del trasferimento della sede di governo da Philadelphia a Washington, e il Presidente McKinley aveva invitato Senatori, membri del Congresso, Corte Suprema, ambasciatori e ministri, Governatori degli Stati, alti ufficiali di Esercito e Marina, oltre a tanti privati cittadini, fra cui membri dell’Istituto degli Architetti Americani, che stavano tenendo il proprio congresso annuale a Washington. Il President e la signora McKinley offrirono un pranzo, e nel pomeriggio ai discorsi tenuti alla Casa Bianca la mattina ne seguirono altri cinque, in sessione congiunta di Camera e Senato, nella sede della prima. Si organizzò un corteo militare e la città era tutta addobbata. La sera si tenne un ricevimento pubblico alla Galleria d’Arte Corcoran.
Fra gli oratori alla Casa Bianca, c’era il Colonnello Theodore A. Bingham, ufficiale responsabile per gli Edifici a Spazi Pubblici, che presentò un progetto di ampliamento della casa presidenziale. Dal fondo di 15.000 dollari approvato dal Congresso, Bingham traeva risorse sia per quel progetto sulla Casa Bianca che per uno riguardante il Mall a ovest del Campidoglio verso il Potomac, e il collegamento a parkway verso Rock Creek Park. Il Senatore McMillan, su cui richiesta la questione del finanziamento era stata posta all’ordine del giorno, riteneva che l’intera somma si dovesse investire in un assai auspicato studio del sistema a parchi del Distretto, e fu ovviamente assai contrariato vedendone così cambiati i contenuti in modo tanto diverso dalle sue speranze. L’Istituto degli Architetti si opponeva fortemente sia al progetto per la Casa Bianca che a quelli per il Mall, per le ragioni evidenti a chiunque si occupasse di architettura; quei progetti non incontravano nemmeno l’approvazione del pubblico.
Insomma la questione degli interventi su Washington era nell’aria alle celebrazioni del centenario. Anche al congresso annuale degli Architetti coincidente con le celebrazioni, venivano presentate diverse relazioni su quel tema, secondo il programma deciso dal segretario Glenn Brown, di Washington, profondo e appassionato studioso della storia della Capitale e delle sue leggende, uomo con senso della storia e ottimo gusto, oltre che persona modesta ma tenace. Accadde che tra i perplessi davanti a quel progetto di mutilare la Casa Bianca ci fosse William E. Curtis, le cui corrispondenze campeggiavano tutte le mattine in prima pagina sul Chicago Record, da qualunque parte del mondo lui le inviasse. Curtis aveva collaborato con Frank Millet nel lavoro promozionale per la Fiera Mondiale di Chicago, ed era naturalmente un grande sostenitore di Daniel Burnham. Propose così al Colonnello Bingham di far esaminare i progetti per la Casa Bianca a Burnham, per un’opinione. Il Colonnello prima d’impulso rispose si, e poi no, contraddicendosi e mettendosi in un pasticcio dal quale poteva salvarlo solo un architetto. Curtis aveva già telegrafato a Burnham, costretto poi a fermarlo a metà strada, con forte mortificazione.
L’8 marzo 1901, il Senato adottava una risoluzione su iniziativa di McMillan, in cui si autorizzava la Commissione per il Distretto di Columbia a esaminare il problema e le possibilità di intervento sul sistema generale dei parchi, col mandato di «assicurarsi i servizi degli esperti necessari ad un esame adeguato della questione». Le spese sarebbero state coperte da un fondo del Senato. Il giorno dopo l’approvazione, McMillan chiese al proprio segretario chi volesse indicare come esperto, e la risposta fu: Mr. Burnham, di Chicago. E il Senatore non poteva far altro che concordare, ricordandosi divertito di come parecchi anni prima fosse stato coinvolto in un equivoco per la realizzazione di un albergo a Detroit, di cui Burnham aveva predisposto un progetto su incarico del sindaco, Pingree. Il quale aveva erroneamente immaginato che i soldi ce li mettesse McMillan: davanti al rifiuto di quest’ultimo, Burnham aveva arrotolato i suoi disegni e se ne era ripartito. Ma adesso sperava proprio che Burnham avesse dimenticato quell’episodio.
Personalmente, il Senatore McMillan spiegò di aver pensato a Frederick Law Olmsted, che non conosceva ma immaginava capace quanto lo era stato suo padre, a cui aveva affidato il progetto di Belle Isle Park a Detroit. Questi primi due avrebbero dovuto sceglierne un terzo, e Burnham e Olmsted si orientarono secondo le indicazioni di metodo del Senatore sulla base della sua esperienza: davanti a un problema importante, scegliere il meglio, e usarlo. Su richiesta di Moore, che conosceva l’episodio della Casa Bianca, Curtis chiese a Burnham di venire a Washington. Si informò anche la Commissione legislativa dell’Istituto degli Architetti, della selezione in corso, e il 19 marzo si tenne una riunione, fra rappresentanti dell’Istituto, e i Senatori McMillan e Gallinger. McMillan riassunse gli obiettivi, chiedendo qualche parere e indicazione. Il presidente della commissione architetto raccomandava Olmsted per il lavoro sui parchi, e Burnham come uno dei due architetti. E McMillan, con una scintilla negli occhi azzurri, gli replicò: «Mi pare una indicazione molto concreta, e credo proprio che non potremmo essere più d’accordo di così. Quei signori possono studiare il problema da qui a dicembre, e riferire riservatamente alla commissione su un piano riguardante sia i parchi della città, sia casualmente anche dove collocare gli edifici pubblici. Le persone di cui lei parla sono le stesse che avrei scelto io, se me lo avessero chiesto. Burnham e Olmsted, proprio loro, sulla base della mia esperienza e di quel che so in materia».
Il 21 marzo Burnham arrivava a Washington, alle sei del pomeriggio, e come annota nel suo diario: «Sono stato accolto dal signor William E. Curtis e dalla moglie, con cui ho cenato e trascorso la serata. Ho incontrato lì Charles Moore, segretario personale di McMillan, presidente della Commissione per il Distretto di Columbia del Senato. Sono a Washington per l’incarico di interventi di abbellimento della città di cui è responsabile McMillan». Quella stessa sera gli viene offerta, e prontamente accettata, la presidenza del gruppo composto da sé stesso, da Olmsted, e da un terzo membro da scegliersi tra loro. «Chi avete preso in considerazione?» Domanda Burnham, e la risposta è: «Dovete deciderlo voi, lei e Olmsted, ma se la vostra scelta cadesse su Mr. McKim, ne saremmo molto gratificati». Replica Burnham che «Proprio a Charles McKim stavo pensando, è quello di cui mi fidavo di più nel lavoro per la Fiera di Chicago. Ne parlerò con Olmsted, incontreremo McKim a New York, e riferiremo».
La seconda giornata di Burnham a Washington, è con il Senatore McMillan e Olmsted, in partenza nel pomeriggio per Annapolis. Secondo il diario: «23 marzo, preso il treno alle 6.50 del mattino per Baltimora, sceso al Continental Trust Building; cercato il presidente, ma senza trovarlo. Il resto del pomeriggio con Mr. Warfield e altri; salito sul treno di mezzogiorno per New York, sceso alla Holland House. Cena al Century Club e serata con Charles McKim e John La Farge; a dormire all’una e mezza»
Quanto ai risultati di quegli incontri, li leggiamo nelle lettere di Burnham:
D.H.B. a Charles Moore
(senza data)
Caro Moore: Mr. McKim accetta se il lavoro non si svolge a Boston. Dato che con Olmsted abbiamo concordato di farlo a Washington, su questo aspetto siamo a posto. La prego di farmi avere compie di tutto quanto ritiene utile a tutti. Personalmente ritengo di particolare importanza una copia delle indicazioni di Parsons, e degli studi compiuti tanto tempo fa da Bulfinch
D.H.B. a C.F. McKim
27 marzo 1901
Caro McKim: ho ricevuto la vostra nota formale da Philadelphia, e ne sono molto compiaciuto. La prospettiva di lavorare insieme aggiunge piacere alla vita, come ben sa. La sua influenza sul mio lavoro è sempre stat molto profonda e dovrò sempre ringraziarla per questo».
Da: Daniel H. Burnham, architect, planner of cities, Houghton Mifflin, Boston-New York, 1921 – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini