Nel 1996, Atlanta ospitava i Giochi Olimpici del Centenario, un evento di dimensioni globali che prometteva di trasformare la città ed elevarla di grado davanti al mondo intero. Ma dietro lo scintillio e la grandiosità delle Olimpiadi si nasconde una realtà ben diversa: l’espulsione di popolazione, specie di popolazione di colore, attraverso l’uso dell’esproprio per pubblica utilità. Questa procedura è definita dalla legge come «il potere di acquisire una proprietà privata per convertirla a funzioni pubbliche». I governi federale e statali possono esercitarla solo con equo indennizzo, ovvero compensando le proprietà private. In questo caso abbiamo un chiaro esempio di come grandi eventi sportivi possano impattare negativamente su importanti segmenti delle comunità urbane in termini di giustizia ambientale e razziale.
Le Olimpiadi di Atlanta si presentavano come un catalizzatore di riqualificazione urbana ma la realtà era assai più complessa. Per far spazio alle nuove strutture e servizi l’amministrazione cittadina utilizzava lo strumento dell’esproprio per acquisire e demolire immobili nelle zone di Vine City e English Avenue, abitate prevalentemente da neri. Un processo di espulsione forzoso e spiegato come strumento di rivitalizzazione della città per attirare nuovi investimenti. Mentre per le comunità le cosa non andavano affatto bene. Quasi 30.000 cittadini di Atlanta strappati alle proprie case e messi in condizione di doversi trovare un’altra abitazione economica, più di 9.000 senza tetto arrestati senza ragione, instabilità delle piccole economie locali gestite da persone di colore.
Oltre gli effetti sociali immediati ci sono poi quelli forse più profondi di ordine ambientale. Se consideriamo i giochi olimpici estivi del 1984 a Los Angeles,notiamo bene questi impatti sull’ambiente. Positivo che i Giochi vogliano anche dire migliori strutture, come quando si è realizzato il grande impianto McDonald’s per il nuoto o gli interventi sul verde dell’Exposition Park Rose Garden. Ma restano i costi ambientali. L’incremento dei visitatori e dei sistemi di trasporto alza l’inquinamento, interessando sia la qualità dell’aria che addirittura la salute stessa di chi alle Olimpiadi partecipa. Al punto che quei giochi sono stati un impulso al California Clean Air Act del 1988. Inoltre, come Atlanta, anche Los Angeles ha messo in campo politiche di espulsione degli homeless invece di affrontare la crisi delle trasformazioni urbane con soluzioni diverse. I giochi del 1984 hanno dimostrato che questi aventi possono essere cruciali per le trasformazioni urbane, ma anche che servono pratiche di mitigazione degli effetti ambientali delle opere nonché sociali sui soggetti deboli come gli homeless, effetti che non basta coprire col silenzio.
Eventi sportivi e impatti ambientali
L’eredità delle Olimpiadi 1984 e 1996 fissa una tendenza che poi varrà per eventi successivi. Coppa del Mondo o Super Bowl, spesso innescano grandi rivoluzioni urbane e anche degrado ambientale. In molti casi, gli obiettivi dei progetti sono solo economici o di immagine e non si tiene alcun conto delle comunità locali o dell’ambiente. Per esempio quando si accresce a dismisura la produzione di rifiuti. Enormi folle significa enormi quantità di spazzatura, dai resti di cibo e contenitori ai materiali promozionali. In alcuni casi esistono programmi di riciclaggio ma spesso il sistema locale di gestione viene semplicemente travolto dalle pure quantità. La natura temporanea di alcune strutture e la fretta nella realizzazione significa spesso nessun piano di gestione ambientale. Altro problema sono gli effetti sulle strutture preesistenti. Più visitatori più traffico più emissioni di gas serra più consumi di risorse come acqua o energia. Gli impatti ambientali di tutto ciò si ripercuotono esasperati in seguito se le strutture realizzate ad hoc diventano inutilizzate, magari da mantenere senza ragione.
Da qui l’adozione da parte di diverse amministrazioni di pratiche più sostenibili nel caso di eventi sportivi. Il CIO Comitato Olimpico Internazionale parla di «responsabilità sociale» o di «sviluppo sostenibile» per le trasformazioni indotte dai giochi nelle città ospitanti. Ad esempio a Londra nel 2012 si è cercato di introdurre la sostenibilità nella programmazione, con riciclaggio dei materiali, sistemi energetici efficienti, metodi di edilizia green. Con le appena concluse Olimpiadi di Parigi del 2024 è proseguita questa tendenza per esempio con carbon neutrality ed energie rinnovabili. Ma ci sono dei limiti. Se i punti fissati nei casi di Parigi o Londra hanno certamente delle potenzialità, adottare in modo assai generico pratiche sostenibili in città diverse, se osservato a fronte della oggettiva insostenibilità delle Olimpiadi recenti, ripropone il bisogno di metodi più rigorosi e adeguati. Il cui metro di misura e valutazione della sostenibilità non stia solo nell’uso di qualche tecnologia green ma si allarghi a considerare la giustizia ambientale e sociale. Evitando che le comunità locali vengano colpite spropositatamente da degrado ambientale ed espulsioni, e programmando quindi sul lungo termine e in modo partecipato.
Da alcune ricerche emergono raccomandazioni per una maggiore sostenibilità che riguardano 1) l’uso di «eventi pilota» per sperimentare sul campo gli eventuali effetti ambientali di alcune pratiche su quelli maggiori; 2) l’associazione con gruppi e amministrazioni locali alle varie scale per la tutela ambientale e sociale; 3) l’uso di contratti di collaborazione con altre entità anche pe la comunicazione, la valutazione di sostenibilità, lo sviluppo di linee guida; 4) l’istituzione di consigli per la sostenibilità cooperanti con piani e programmi regionali a coordinare processi e dispiegamento di risorse; 5) introdurre una figura apicale di «manager della sostenibilità» a gestire tutte le iniziative.
Il bisogni delle comunità locali al primo posto
Quando città come Atlanta o Los Angeles si preparano ad ospitare grandi eventi internazionali come la Coppa del Mondo FIFA o le Olimpiadi del 2028, pensare a cosa è successo con avvenimenti analoghi in passato evidenzia il delicato rapporto tra le aspettative di trasformazione urbana e i diritti dei cittadini. Le tensioni sperimentate durante i giochi del 1984 e del 1996 sono un ottimo esempio di come affrontare con cautela i grandi progetti che hanno il potenziale vuoi di rivitalizzare vuoi di devastare zone urbane. Le città che ospiteranno eventi in futuro dovranno saper gestire tutto questo per far sì che le proprie aspirazioni ad un ruolo globale non finiscano per penalizzare e togliere voce ai propri cittadini.
Quindi i cittadini devono organizzarsi per imporre un quadro di sviluppo sostenibile e partecipazione sociale. Ciò significa aprire canali di dialogo trasparente tra le comunità locali e i decisori che garantiscano ascolto dei bisogni e loro integrazione nei programmi e piani, a costruire una eredita post olimpica di vantaggi collettivi come migliori infrastrutture e nuovi posti di lavoro. Inoltre le città ospitanti adottano pratiche edilizie verdi e investono in progetti di spazi e servizi pubblici: quando si decide di essere sede di un grande evento sportivo e realizzare le infrastrutture la trasformazione non può interessare solo poche settimane ma durare nei suoi vantaggi su un lungo termine. Per esempio, Morehouse College, storico istituto maschile e università per neri della Georgia, ospita la Frank L. Forbes Arena dove si sono giocate le partite di pallacanestro eliminatorie olimpiche, ma oggi serve alle attività atletiche dell’istituto. Con queste iniziative le città al tempo stesso promuovono il proprio ruolo globale e rispondono ai bisogni dei cittadini usando glie venti internazionali.
Alcuni dei progetti di lungo termine concepiti dentro il quadro delle trasformazioni olimpiche non si realizzano se non molti anni dopo, lasciando abbandonati spazi pericolosi e insicuri. Nel 2020, un giudice brasiliano ha imposto di chiudere a un centro di sport acquatici per motivi di sicurezza dei cittadini. Alcune strutture di Rio sono state riaperte solo nel 2024, mentre sono in sospeso altri progetti di parchi e luoghi per il tempo libero. Un altro problema da gestire con cautela è la questione della casa. Come a Los Angeles che si prepara ai giochi del 2028 con un problema di senzatetto e sovraffollamento: occorrono strategie sostenibili anche per soluzioni temporanee e programmi di assistenza. Il sindaco Karen Bass ha messo gli homeless al primo posto nel piano olimpico dichiarando che «metterli da qualche parte e nasconderli non è certo una soluzione». E sarà certo una sfida per lei quella di evitare il semplice sgombero di oltre 30.000 dai luoghi pubblici perché non appannino l’immagine dello spettacolo globale.
La recente decisione della Corte Suprema USA che consente alle città di proibire qualunque forma di accampamento se sono disponibili forme di rifugio alternative, di fatto danneggia la popolazione homeless. Gli esponenti Democratici della California si sono divisi sul tema e alcuni considerano questa sentenza «tale da dar ragione a chi vorrebbe criminalizzare i losangelini che sono solo senza casa», mentre altri come il Governatore Gavin Newsom sono convinti che al contrario «elimina le ambiguità legali che hanno legato per anni le mani alla pubblica amministrazione». Comunque sia cresce la pressione sul sindaco Bass vuoi per realizzare strutture di accoglienza sufficienti al bisogno vuoi per rispondere in qualche modo alle esigenze e diritti della popolazione senzatetto.
Verso Los Angeles 2028
Gli eventi sportivi portando indubbi vantaggi economici e sociali alle comunità urbana, ma portano anche con sé dei rischi. Sin dai Giochi Olimpici di Los Angeles del 1984 e Atlanta del 1996 si è compresa l’importanza di una programmazione sostenibile e organica che li eviti. Se si mettono al primo posto il benessere dei cittadini e dell’ambiente gli eventi sportivi possono lasciare una ottima eredità ben oltre lo spettacolo dei giochi.
Gli organizzatori delle Olimpiadi di Los Angeles 2028 vogliono dimostrare che si può essere molto più sostenibili che nel 1984 prendendo spunto anche dalle esperienze di altre città come Parigi che ha ospitato gli ultimi Giochi. Tra gli strumenti spicca l’80% di strutture recuperate anziché realizzate nuove, puntare sui trasporti pubblici di «Olimpiadi senza automobili» e sul «bilancio energetico positivo» in cui le energie rinnovabili sono più di quelle consumate. Inoltre, LA28 collabora con associazioni di residenti e operatori quali LA Urban League o LA Conservation Corps, a ridurre gli scarti e promuovere il riciclaggio per un’impronta ecologica positiva e duratura. Grazie alla sostenibilità come principio centrale le Olimpiadi del 2028 possono diventare catalizzatrici di una Los Angeles verde. Resta da chiedersi: basteranno quattro anni per arrivarci?
da: Brookings Institution, 29 agosto 2024; Titolo originale: Olympic transformation of metropolitan cities—for better or for worse – Traduzione di Fabrizio Bottini