Quante volte ci hanno ripetuto come la politica è arte del possibile al più alto livello? In fondo non c’è alcun motivo per non crederci, ma al tempo stesso tocca per forza porsi una questione essenziale: possibile per far che? Qui in fondo sta il punto, qui in fondo si giudicano ed eventualmente condividono le strategie, quando quelle strategie sono anche se a grandi linee piuttosto chiare. A scala territoriale e locale queste strategie ormai da un bel po’ ruotano attorno al tema cosiddetto dello sviluppo sostenibile, che senza star troppo a spaccare il capello in quattro vorrebbe dire trasformare ma senza esagerare, considerando che l’oggetto del nostro interesse è anche il ramo su cui stiamo appollaiati da sempre. Segarlo e suicidarsi, lasciarlo seccare e condannarci all’estinzione, è una cosa sola. Nascerebbero coerentemente da qui, in fondo, tutti quei progetti che si appiccicano da soli l’etichetta della cosiddetta “misura d’uomo”, e che equilibratamente composti delineano appunto una strategia di sostenibilità nella trasformazione. La fabbrica e l’ufficio a misura d’uomo, il quartiere a misura d’uomo (o di anziano, o di mamme e bambini eccetera), i trasporti individuali e collettivi a misura di cittadinanza. La questione però si riapre: quale sarà mai questa misura?
L’uomo non è solo di legno
Perché succede che, come in quel bellissimo vecchio cartone di Bruno Bozzetto dove le masse imitano malamente le invenzioni di un innovatore, ogni essere umano esprima una propria particolarissima misura, e sia necessario provare costantemente a ricondurre quella babele a una specie di percorso, eventualmente da modificare se lo si scopre sbagliato. Però sempre allo stesso punto siamo: di quali trasformazioni stiamo parlando? Perché quelle, un po’ sfrondate dell’inevitabile complessità e reti di relazione intrecciate, sarebbero misurabili. Così nello stesso modo in cui qualunque idea di massima si attua per progetti sparpagliati, gli stessi progetti sparpagliati si provano a misurare con criteri di massima, induzione e deduzione incrociata. Niente di meglio, almeno come punto di partenza, di qualcosa cavato dalle radici stesse dell’umanità che si chiede cosa ci sta a fare al mondo: acqua, terra, aria, fuoco. Eccole qui in sintesi le misure d’uomo davvero misurabili nelle trasformazioni a uso umano.
La magica filosofia da un tanto al chilo
Per suolo, acque e affini, il concetto condiviso di impronta ecologica, è calcolabile sia a scala globale che relativamente locale, e in equilibri ad esempio regionali. Una città, un territorio, possono consumare poco, troppo, e farlo sia in sé che relativamente a un contesto, magari sommando a questo scopo un campione rappresentativo di trasformazioni facilmente calcolabili, e usando un coefficiente di moltiplicazione standard. Poi con criterio analogo ci sono le emissioni di gas serra, che si misurano in tonnellate di anidride carbonica, non si scappa: si possono al massimo truccare i dati, ma anche lì si viene scoperti, e tutti i progetti industriali, di trasporti, edilizi eccetera danno un loro contributo valutabile, positivo o negativo che sia. Poi ancora, ci sono per esempio i consumi, che fuori da sommari giudizi moralistici comprendono fattori non evidenti ma calcolabilissimi, come le distanze percorse, le quote d’acqua, gli impatti avvenuti altrove nei luoghi di produzione e trasformazione e via dicendo. Eccola qui, insomma la misura d’uomo.
A qualcuno piace caldo
Certo come si suol dire nessuno è perfetto, e nemmeno il calcolo della misura d’uomo può esserlo: chissà quanti fattori determinanti sfuggono alle valutazioni, ma da qualche parte ci tocca pur iniziare, no? Di sicuro, molto meglio un metodo discutibile, ma verificabile, che nessun metodo, e la fede cieca nella cosiddetta “visione politica”, quell’arte del possibile che retoricamente trasforma l’impossibilità in qualcosa a portata di mano, ma solo se proprio lavoriamo di fantasia. La fantasia è utilissima per lanciare i cuori oltre gli ostacoli, non certo per fingere di non esserci andati a sbattere parecchie volte, contro quegli ostacoli. Pensiamo solo a quel che è avvenuto con le espansioni urbane di era industriale: prima si cresceva a macchia d’olio, poi nel ‘900 si è giudicato quel modello insostenibile e inabitabile, pianificando il cosiddetto decentramento per poli di crescita. Ma oggi davanti alla misurabile (misurabile!) urbanizzazione planetaria, di sicuro non si può che dubitare, davanti a chi dice continuiamo così perché ce lo dicono i calcoli dei banchieri che concedono mutui per la casa. Non pare proprio una misura d’uomo quella. Proviamo a andare a vedere il bluff.
Riferimenti:
John Rennie Short, How green is your city? Towards an index of urban sustainability, GreenBiz, 18 marzo 2015