Elementi del dibattito sull’area metropolitana milanese (1991) Parte I

da «Urbanistica» 18-19 – 1956

«Dagli inizi degli anni ’60 la città è ferma. Da tre decenni non solo non è andato in porto alcun grande progetto, ma non c’è stato neppure un segnale della volontà politica di dare a Milano un respiro da autentica città europea. Nel frattempo la città, con l’ingrandirsi delle periferie, si è quasi innestata su altre concentrazioni urbane che le stanno attorno. Si è formata una vera e propria area metropolitana e non le è stata data una testa, una regia. Non è stata presa una sola decisione all’insegna di questa che è, ormai da tempo, una sola unità territoriale». Con questa singolare premessa di taglio «urbanistico» il finanziere Silvio Berlusconi interviene a proposito del degrado politico dell’ex «capitale morale» sule pagine nazionali del quotidiano la Repubblicai. Difficile, ad un esame sommario, non concordare almeno in parte con queste premesse. Anche se certo viziate da alcune contingenti polemiche che coinvolgono imprese, associazioni e parte della classe politica milanese, fondate su una idea di città più o meno riassumibile nell’immagine di «macchina per fare soldi», le opinioni dell’ex costruttore di cittadelle da sogno, riciclato in costruttore di sogni televisivi, poco si discostano a ben vedere da una diffusa percezione sul futuro dell’area metropolitana, secondo cui proprio la carenza di una regia sarebbe alla base della crisi di progettualità strategica che ne rallenta i processi di riconversione socioeconomica ed insediativa ancora alla vigilia della scadenza europea del 1992.

La formazione del mercato unico, con la caduta delle barriere doganali, è infatti vista da più parti anche come momento di esaltazione del ruolo delle aree metropolitane all’interno dei processi di sviluppo territoriale., ed in tale condizione tenderebbe certo ad accelerarsi la competizione tra sistemi locali, all’interno dei quali «l’efficienza delle reti di trasporto e comunicazione, dei sistemi di formazione e informazione, la presenza di rapporti informali tra imprese locali finalizzati all’aumento della capacità innovativa, la collaborazione fra pubblico e privato nella gestione di progetti territoriali innovativi, sono tutti esempi di fattori a stretta base territoriale, che generano insieme competitività del tessuto produttivo e innovatività e capacità di risposta dinamica»ii. Nell’area milanese la questione del governo metropolitano posta dalla legge 142/1990 risponde per certi versi a tali sollecitazioni, soprattutto se si pensa alla sua particolarità nel panorama nazionale, nel configurare un dibattito sulla nuova authority che si basa sulla sedimentazione di conoscenze multidisciplinari unica, e ripropone in questo senso alcuni obiettivi storici della pianificazione sovracomunale, come il riequilibrio dell’area, l’abbandono del modello monocentrico sia dal punto di vista insediativo che qualitativo n termini di servizi, che altro non sono se non alcuni degli obiettivi strategici alla base delle prime ipotesi di Piano Intercomunale Milanese nei primi anni ’60iii.

In più, da punto di vista della sedimentazione tecnico-istituzionale e culturale, l’esperienza milanese si caratterizza per la continuità e la forma cooperativa assunta dal processo di autogoverno, togliendo legittimità ad una lettura della riforma degli enti locali in funzione della città metropolitana, introdotta dalla 142/1990, come semplice redistribuzione dei poteri, che ferma restando l’attuale conflittualità tra enti, attori ed intenzioni progettuali, produrrebbe un risultato certamente prossimo alla somma zeroiv rarefacendo il dialogo tra società e istituzioni che è la condizione irrinunciabile per il governo dello sviluppo. In questo senso la questione oggi centrale, quella della definizione dei confini della futura unità amministrativa, si intreccia strettamente con le questioni accennate sopra riguardo all’esperienza di autogoverno, in particolare in relazione ai possibili indirizzi e modalità della pianificazione territoriale metropolitana.

Posto che la questione metodologica tra confini anagrafici e altri confini, così come posta ad esempio da Arnaldo Bagnasco nel suo Torino, un profilo sociologico (Einaudi, 1986), si pone nel caso milanese come estremamente sfumata nel dibattito pratico, l’insieme della contraddittorie tendenze centrifughe rispetto al capoluogo, sembra comunque strettamente legata ad alcuni temi consolidati della pianificazione di area vasta, inerenti ai rapporti tra istanze locali e governi dei processi di sviluppo (storicamente la percezione sociale della pianificazione di area vasta si focalizza nella categoria della «eterodirezionalità»). Da questo unto di vista, forse è opportuno sottolineare come «si dà territorio solo se si danno dei confini che consentono l’identificazione e il confronto con gli altri. Tracciare confini è un atto materiale, con funzioni di controllo simbolico, è un atto di comunicazione verso l’esterno. La denominazione e la perimetrazione determinano una costituzione linguistica del territorio»v. Ed è proprio su questa forma di «bisogno di perimetrazione» che sembrano far leva le spinte in senso localistico di varia natura che sono al centro del dibattito sulla definizione territoriale dell’area metropolitana milanese. Che, scaduto il termine del 13 giugno 1991 stabilito dalla legge per la definizione dei confini, oscilla ancora tra varie ipotesi, tutte influenzate da spinte centrifughe.

Schematicamente le ipotesi si possono riassumere in: area metropolitana vasta, comprendente tutto il territorio provinciale escluso il Lodigiano; area metropolitana ristretta, limitata al capoluogo ed ai comuni di cintura; infine un’area metropolitana «a banana» determinata dalla ipotesi vasta, da cui però andrebbero esclusi delle ipotetiche nuove Province della Brianza (Monza) e di Olonia (Legnano, Busto Arsizio, Castellanza)vi. Se quindi il ruolo dell’area metropolitana si presenta, dal punto di vista della pianificazione territoriale, come quello della dimensione conforme coincidente alla scala idonea a governare le trasformazioni più significative, occasione storica per rilanciare concretamente il ruolo dei centri urbani nel promuovere progetti di crescita, ed avviare a soluzione problemi di servizi ed infrastrutture, purtroppo «il dibattito politico finora si è incentrato sulla dimensione dell’area, grande o stretta, anche a seguito delle provocazioni di chi ha vagheggiato di poter diventare il «governatore del contado» soggiogando i comuni esterni»vii, rallentando indirettamente anche la definizione degli strumenti e delle modalità di governo.

In generale comunque, anche se le decisioni sembrano ancora aperte agli schemi riassunti sopra, i termini del dibattito tendono a privilegiare l’ipotesi «vasta», con esaltazione del ruolo strategico della progettazione, con ampi spazi all’integrazione delle varie realtà locali, relegando l’area «ristretta», caratterizzata come semplice Super-Comune, a soluzione priva della base territoriale sufficiente per una programmazione di ampio respiro, e tale da giustificare i timori di azzeramento delle identità che sono alla base elle spinte autonomistiche. In altre parole, perimetrare un’area angusta coincidente con la conurbazione del capoluogo, viene identificato dai più come sostanziale rinuncia alla possibilità di pianificare le grandi funzioni urbane, e di conseguenza rinuncia anche al «salto di qualità» delle scelte localizzative strategicheviii.

Posta così la distinzione tra l’ipotesi ristretta del super-comune e quella vasta dell’area metropolitana propriamente detta, resta da sottolineare come esista ampia convergenza nel sostenere come, indipendentemente dal dibattito sulla perimetrazione, il progetto nel suo insieme territoriale e istituzionale debba essere ispirato ai criteri della massima efficienza ed equità del sistema; finalità da perseguirsi ponendosi come obiettivo prioritario la riorganizzazione in senso policentrico, attuata anche attraverso rilocalizzazioni a forte carica simbolica, come quelle delle funzioni «nobili»ix, perseguendo il rafforzamento del ruolo internazionale dell’area, sia dal punto di vista dell’integrazione delle reti infrastrutturali e dell’innovazione, sia da quello più complesso del risanamento ambientale e del miglioramento generale della qualità della vita, che le ricerche più recenti pongono come precondizioni interagenti per occupare «nicchie» nella nuova rete di funzioni metropolitanex.

Con questi presupposti, la perimetrazione si pone come punto di possibile equilibrio e sinergia tra le potenziali risorse rappresentate dagli aspetti produttivi e da quelli di identità locale e qualità della vita, in altre parole tra i diversi aspetti che concorrono a definire le possibili e/o auspicabili città: «La città dell’eccellenza è la categoria a cui rimanda la concezione neoliberista; la città neofondamentalista rinvia alla crisi dei fondamenti, alla ricerca di un nuovo senso e di un nuovo radicamento nel recupero dell’identità locale; la città della crisi del welfare rinvia alle grandi questioni del policy making; la città di frontiera recupera un modo di osservare il sociale a cavallo tra processi di mondializzazione e nuove soggettività»xi.

Ancora sulla perimetrazione: tensioni e potenzialità

Eccellenza, e dunque funzioni rare, attività economiche innovative, e in definitiva una logica di impresa. «Un’area al servizio di cittadini e imprese»xii definisce il nuovo organismo un ex Assessore regionale al Territorio; e da questo punto di vista la nascita della authority metropolitana sembra rispondere ai bisogni di razionalizzazione di un sistema già parzialmente equilibrato tra il capoluogo e la provincia, ma che necessita di coordinamento riguardo alle aree attrezzate per nuovi insediamenti produttivi, alla localizzazione di centri commerciali, alla realizzazione di reti telematiche, ed infine alla gestione delle tematiche legate all’impatto ambientale. Perché – dal punto di vista delle imprese – se è vero che il capoluogo continua a funzionare come sede privilegiata di attività innovative, come collocazione quasi sempre ideale o auspicata di terziario tradizionale e avanzato, delle imprese controllate da capitale estero, nei comuni dell’area metropolitana la situazione è certo diversa. Al processo consolidato del decentramento industriale e della crescita del peso della piccola e media impresa nei centri minori dell’hinterland, si aggiunge la formazione di poli specializzati in settori avanzatixiii.

La natura dei processi di diffusione territoriale delle imprese, unita alla caratteristica industriale degli insediamenti, mette in primo piano la questione delle infrastrutture; non solo la già citata individuazione delle aree attrezzate di infrastrutture di trasporto, ed in generale la dotazione di una maglia in grado di reggere al prossimo – ed auspicato per molti versi certo più dai centri minori che dal capoluogo – ricollocarsi o riorganizzarsi di funzioni a forte impatto, come nel caso della Fiera o dell’aeroporto Malpensa 2000. Molto si dice riguardo alla smaterializzazione dei processi produttivi, all’annullamento delle distanze, alla obsolescenza del pendolarismo e delle grandi concentrazioni per il trasporto merci a seguito delle innovazioni introdotte dalle reti telematiche di comunicazione. È stato però osservato che l’effetto di tali reti immateriali sulla ristrutturazione del territorio è, con ogni probabilità, molto più contenuto di quanto sostengono i loro promotori, limitandosi a proiettare immagini di un futuro desiderabile anziché contribuendo in modo congruo a costruirne le basi.

In particolare «Le nuove reti mettono in discussione la centralità, ma non necessariamente per sancirne il declino: se è vero che gli strumenti di comunicazione permettono tecnicamente una organizzazione reticolare decentrata dello spazio, per cui tutti i luoghi sarebbero equivalenti, essendo ciascun punto nodo di produzione-diffusione-ricezione dell’informazione, è altresì vero che i rapporti sociali non sono la risultante meccanica dei sistemi tecnologici»xiv.

Nei termini che abbiamo riassunto sopra, anche dal punto di vista dell’impresa, la pianificazione territoriale ed urbanistica occuperebbe un ruolo centrale nel conseguimento degli obiettivi di riequilibrio e ottimizzazione nell’uso di risorse nel bacino metropolitano che sono alla base della nascita della nuova authority. Ma riprendendo la metafora delle «quattro città» riassunta sopra, occorre rammentare come all’aspetto dell’eccellenza nella metropoli contemporanea si affianchino anche quelli dei rapporti sociali, che a loro volta strettamente si legano a quanto abbiamo affermato a proposito della natura competitiva di un sistema territoriale: non solo il livello di innovazione, né di infrastrutturazione, determinano in un’area metropolitana la capacità di misurarsi (sia nel senso della competitività che in quello della complementarità) con altre realtà territoriali, ma anche e soprattutto la interconnessione tra i primi due aspetti e quello della qualità ambientale (o, detto in altri correnti termini, la qualità della vita) contribuiscono a creare i presupposti per occupare nicchie nella nuova rete di funzioni. «Se in passato c’era l’esigenza di articolare il territorio in funzione, prioritariamente, della gestione della forza lavoro, oggi lo spazio-scenario sociale è molto più complesso e sfocato»xv.

Milano, negli anni in cui avveniva il progressivo decentramento di alcune attività produttive, consolidava ed accentuava la vocazione terziaria delle aree centrali, soprattutto attraverso il fenomeno del cambio di destinazione d’uso, ma anche attraverso la realizzazione di nuovi consistenti insediamenti in periferia. Anche se la continua metamorfosi della città è stata ed è tuttora più complessa ed articolata, tanto da assumere per certi versi nel radicale processo di trasformazione forme sinottiche tipiche di un organismo vitale anziché di un contenitore monofunzionalexvi. L’immagine di sé che Milano proietta con maggiore evidenza su un ipotetico mercato internazionale è quella di uno dei numerosi centri, europei e non, dotati di uno skyline sempre più simile, e di modalità d’uso dello spazio e del tempo sempre più omologabili allo stesso modello. La funzione residenziale perde la propria centralità, ma nello stesso modo perde peso l’altra tradizionale modalità d’uso dello spazio urbano rappresentata dalla popolazione dei pendolari, mentre si affermano nuovi modelli di «consumo della città».

All’abitazione, al lavoro, al tempo libero tradizionale, si aggiungono nuovi bisogni, di cui sono portatori nuovi soggetti: i city users e, in numero minore ma con notevole rilevanza sociale ed economica, i metropolitan businessmen. Sono nuovi bisogni ormai consolidati nelle metropoli mondiali, ma che iniziano a far pesare la propria rilevanza anche nei centri di rango intermedio comeMilano; bisogni che trasformano profondamente l’uso dello spazio urbano, ma che influiscono in modo massiccio anche sui modi della produzione (come nel caso dei Mondiali di calcio o della recente candidatura milanese alle Olimpiadi), contribuendo a determinare effetti spesso non direttamente collegabili, come la moltiplicazione delle attività marginali legate al lavoro giovanile o degli immigrati, che genera a sua volta nuovi bisogni in strutture e servizixvii.

Nel periodo in cui si evidenziava disponibilità del centro alla trasformazione in senso terziario, al decentramento di alcune attività economiche verso l’area metropolitana, si sommava la crescita in termini demografici dei comuni di seconda e terza cintura, parallela al decremento delle aree centrali. Sviluppo demografico e edilizio andavano di pari passo, specie nel settore edilizio privato, spesso concludendo operazioni iniziate da diversi promotori parecchi anni prima. Interventi tesi ad urbanizzare grandi aree precedentemente agricole, senza servizi e lontane dalle principali direttrici, oppure ad inserirsi nel sistema di espansione di nuclei esistenti, sia attraverso grandi operazioni che per somma di piccoli interventixviii, andando da un lato a consolidare la tendenza policentrica del sistema insediativo, ma senza alcun coordinamento e, soprattutto, in una logica di totale dipendenza rispetto al capoluogo. Ua dipendenza che non riguarda solo il luogo di lavoro, ma anche la fruizione del tempo libero, che certo si inserisce nella complessiva «qualità ambientale» che abbiamo più volte indicato come obiettivo irrinunciabile per la costruzione di un sistema territoriale integrato e concorrenziale: anche nel campo culturale e dello svago si conferma da un lato la consistente presenza di risorse sottoutilizzate nel bacino metropolitano, dall’altra la fortissima polarizzazione, con rare e parziali eccezioni, di alcune funzioni quali shopping, cultura, spettacolo, nel capoluogoxix.

In questo panorama ricco di potenzialità, la pianificazione territoriale di area vasta è certo uno strumento importante, in quanto funzione innovativa attribuita alla città metropolitana dal 142/90, funzione che sinora non era stata gestita, almeno con efficacia e autorità commisurate alla vastità delle questioni, da alcun ente. Dal puto di vista degli obiettivi che abbiamo sinora delineato, gli ambiti privilegiati della pianificazione metropolitana si individuerebbero schematicamente in: localizzazione delle grandi funzioni urbane, sia di tipo direttamente legato al ruolo economico dell’area, sia di tipo connesso alla cultura, al tempo libero, all’insieme delle attività di loisir a grande scala; razionalizzazione del sistema della mobilità attraverso l’integrazione tra le varie forme di trasporto pubblico e privato, ed insieme un migliore coordinamento con le politiche insediative; tutela e valorizzazione ambientale, agricoltura, tutela dei beni culturali e ambientali, smaltimento dei rifiuti e bonifica/disinquinamentoxx.

Si tratta a ben vedere di obiettivi strategici, tutti, che entrano immediatamente in contraddizione, in termini di attivazione delle risorse economiche, territoriali ed umane, con una ipotesi di area metropolitana ristretta al capoluogo e ai comuni di cintura: a quanto abbiamo sopra definito come Super-Comune. In conclusione, dal punto di vista della pianificazione strategica, le funzioni mirate al conseguimento degli obiettivi territoriali della città metropolitana, possono essere certo svolte con maggiore efficacia ed efficienza nell’ambito di una regione tendenzialmente coincidente con l’attuale territorio provinciale, attraverso lo strumento del Piano Direttorexxi.

Strategie e pianificazione

L’area vasta – comunque si configurino i risultati finali del dibattito sociale ed istituzionale in corso – si intende quasi unanimemente come organizzata a rete, in cui ogni nodo conta non per la sua dimensione quantitativa (economica o fisica), ma per la coerenza con cui si colloca all’interno del sistema di rapporti rappresentato dalla rete. Migliore organizzazione dello spazio significa, in questo senso, strategie mirate al perseguimento del policentrismo: nel quadro della concorrenza internazionale in cui l’area milanese si colloca, tale strategia non sarebbe altro che l’allineamento con quanto realizzato dalle altre eurocities per conseguire gli stessi obiettivi di limitare la congestione del core metropolitano, ed evitare lo squilibrio di uno sviluppo a due velocità, valorizzando le periferie e i centri minori ed intermedixxii. Il Piano Direttore dovrebbe dunque caratterizzarsi come piano strategico , superando approcci disciplinari classici e allineandosi a strumenti elaborati dalla cultura territoriale dei paesi avanzati, sul tipo Structure Plan o Schème Directeur: documenti di orientamento strategico, ma anche direttamente operativi riguardo alle grandi funzioni urbane, ma al tempo stesso non sostitutivi degli strumenti urbanistici tradizionalixxiii.

Definite le finalità generali, di favorire le potenzialità vocazionali di ciascun nodo, pianificare una divisione inter-urbana del lavoro, predisporre reti di connessione materiali ed immateriali – e soprattutto monitorare e governare nel lungo periodo tali processi – risulta evidente come non esista un approccio specialistico in grado di comprendere e valutare obiettivi di vasta scala e complessità: né l’urbanistica, né l’economia, né le operazioni di ingegneria istituzionale sono in grado, prese singolarmente, di dare risposta a problemi di così ampio spettroxxiv. Non ultima, nella definizione delle strategie territoriali, si pone la questione delle compatibilità ambientali e sociali. Lo sviluppo e il radicamento – in crescita nell’area milanese – di forme di localismo come quello delle leghe, dei comitati di opposizione a singoli progetti, dell’ambientalismo nimby, denunciano una diffusa domanda di regolazione: ricerca di punti di equilibrio tra desiderabilità sociale e sostenibilità ambientale dei processi di sviluppo, in cui assumono ruolo particolare la concertazione, la trasparenza delle decisioni, il monitoraggio e il riorientamento delle scelte, ed infine il rilievo crescente delle scienze organizzative e gestionali nella pianificazione del territorioxxv.

Un piano per l’area metropolitana avrà dunque soprattutto contenuti relativi all’indirizzo delle politiche, piuttosto che natura di strumento urbanistico atto a determinare vincoli sulla pianificazione comunale: atto impegnativo per tutti i soggetti pubblici che ne hanno concordato le scelte e prodotto l’interazione tra gli enti locali e centrali che hanno competenze di governo, arricchita da un’attività continua di osservazione e monitoraggio: «Ciò significa che il Piano Direttore è anzitutto momento di riflessione dei piani e dei progetti in cantiere, in laboratorio o semplicemente enunciati. Ma costruire il disegno strategico vuol dire ricomporre e rifinalizzare i vari pezzi del mosaico, spesso scoordinati e a volte addirittura incoerenti fra di loro, in quanto risultato di logiche e obiettivi parziali e settoriali»xxvi.

Concretamente questi «pezzi del mosaico» sono numerosi e diversificati: le politiche di tutela e valorizzazione dell’ambiente, ad esempio con il governo dei grandi parchi fluviali del Ticino e dell’Adda, che costituiscono i margini occidentale e orientale dell’area metropolitana, o ancora delle aree verdi di cintura, come il Parco Nord e ilParco Agricolo Sud, solo per citare alcuni casi; le politiche sulla viabilità e trasporti, con la necessità di riequilibrare il rapporto gomma/ferro sia agendo di concerto sulla rete nazionale che reperendo risorse per programmi di intervento alla scala locale; le politiche per l’Università, puntando a soddisfare la domanda del bacino metropolitano in una logica di prospettiva interregionale ed europea. Infine, le politiche localizzative e gestionali riguardanti il sistema sanitario, quello dello smaltimento dei rifiuti, la rete delle strutture culturali e sportive, tenendo conto del concretizzarsi della candidatura di Milano a sede delle Olimpiadixxvii.

Per molti versi, i temi della delimitazione metropolitana e della progettazione urbanistica di area vasta sembrano superati dai processi reali, territoriali così come associativi e istituzionali, con una parziale «rimozione del piano» in alcuni suoi presupposti, come continuità spaziale e specificità locale, ed è in questi segmenti di debolezza della pianificazione pubblica che si inseriscono le nuove strategie dei grandi progetti di trasformazione, pensati nel contesto di una rete di rapporti percepita come discontinua. Ma per molti versi la crisi della disciplina urbanistica tradizionale, la parziale rinuncia ad elaborare un proprio pensiero strategico, non postula certo una subalternità agli interessi forti, ribadendo, anche all’interno dei nuovi diversificati e dilatati processi «un ruolo interpretativo progettuale positivo nei confronti della domanda dei diversi soggetti sociali» anche perché «è molto probabile che il ruolo di comando, nei paesi e nelle aree sviluppate, le città lo esercitino in misura tanto maggiore quanto più grande è la loro area densamente abitata»xxviii.

Dunque non sembra possibile affermare una subalternità della pianificazione urbanistica – e dunque dei suoi fondamenti analitici e progettuali – agli interessi particolari che si esprimono nei grandi progetti, soprattutto grazie al ruolo del piano, che tradizionalmente si fa interprete della domanda, orientandone la traduzione in strategie coinvolgenti temi ed aspetti esclusi dal semplice approccio per progetti, come nel caso dell’equilibrio tra desiderabilità sociale ed ambientale di alcune ipotesi di sviluppoxxix. Il Piano Direttore per l’area metropolitana si pone come documento strategico, complementare agli strumenti tradizionali a scala comunale, ma nello stesso tempo – anche se con i dovuti distinguo – viene indirettamente accostato ad esperienze internazionali variamente orientate: da alcune con diretta analogia alla pianificazione d’azienda, ad altre in cui assume articolare rilievo la componente ambientale, sociale, sociale, o di conflitto tra potere centrale e locale, tutte comunque riassimilabili nella risposta alla «crisi dell’approccio razional-comprensivo» alla pianificazione territoriale, che comprenderebbe anche il Documento Direttore Passante Ferroviario e il Documento Direttore sulle Aree Dismesse, elaborati dal Comune di Milano rispettivamente nel 1984 e nel 1989-90xxx.

Obiettivi sociali?

Quello che accade a Milano ha tradizionalmente un peso maggiore rispetto a quanto si verifica nella regione metropolitana, forse soprattutto a causa del ruolo della città centrale come «strumento di comunicazione», e comunque luogo di massima visibilità degli eventi. Milano si trova a dover rafforzare la propria immagine, per certi versi anche in competizione con alcune aspirazioni a nuove centralità espresse dalle realtà che vedono- correttamente interpretando lo spirito della legge 142/90 – la complessità dei processi di sviluppo economico e sociale coinvolgere in modo attivo la totalità delle risorse del bacino metropolitano. E, certo a questa scala, e con questa molteplicità di punti di vista, devono essere lette le interazioni tra i vari soggetti (vecchi e nuovi) dei processi decisionali: operatori, associazioni, amministrazioni. Resta da chiedersi fino a che punto regga, all’interno del ginepraio generato dall’esasperazione della conflittualità locale (di stampo nimby, corporativo, razzista, ma comunque innestata dall’incancrenirsi di vuoti progettuali istituzionali), l’idea strategica e metropolitana che dovrebbe permeare di sé l’ipotesi di riordino dei cardini ferroviario-industriali su cui ruotava da sempre il sistema milanese.

La Legge 142/90, si legge in una pubblicazione dell’autorevolissima Curia milanese, correttamente interpretata da tutti i soggetti coinvolti nel processo di attuazione potrebbe ridare alla comunità locale, privata dello iato tra i processi di evoluzione sociale ed i tempi dilatati dell’adeguamento istituzionale, del senso abituale dello spazio e del tempo, la possibilità di costruire luoghi per esistere come individui, indipendentemente dal proprio ruolo nei meccanismi del fare, così come definiti da una logica di impresa, tesa a riprodurre all’infinito sul territorio l’immagine speculare della propria logica interna. «Questo territorio aspaziale chiamato da molti il paese, la città del flusso, ha ancora cittadinanza e spazio per i vissuti della gente, pur essendo territorio atemporale di una società perennemente attiva, ma anche società del time to care, del tempo della festa, dell’amore, dell’ascolto?»xxxi. Certo non occorre sottolineare la particolarità dell’approccio riportato, ma resta l’innegabile assonanza con alcuni degli obiettivi di stretta integrazione tra aspetti economici e sociali enunciati in altra sede e riportati in queste note. Resta da ribadire come l’accettare pur con riserva l’interazione sociale descritta come flusso, riproponga per certi versi in una luce diversa la natura di alcune ipotesi di progetto: quanto resta dei Documenti Direttori Passante e Aree Dismesse? [fine prima parte]

da: Archivio di Studi Urbani e Regionali, n. 41, 1991

NOTE BIBLIOGRAFICHE

iG. Vergani, «Si, Milano è malata e il virus è la politica», la Repubblica 24 novembre 1991, p. 7

iiR. Camagni, «Le grandi città italiane e la competizione a scala europea», Relazione al Convegno Aisre Città metropolitane e sviluppo regionale in Italia: le città a confronto, Venezia, 15-16 marzo 1991

iiiG. Beltrame, La vicenda del Piano Intercomunale Milanese e le difficoltà della pianificazione comunale, PIM, Milano 1990

ivCfr. A. Balzani, G. De Carolis, M.C. Gibelli, «Il dibattito sulla definizione geografica e funzionale delle città metropolitane sulla base delle legge di riforma delle autonomie locali: il caso dell’area milanese, Relazione al Convegno Aisre Città metropolitane e sviluppo regionale in Italia: le città a confronto, Venezia, 15-16 marzo 1991; L. Minotti, «Aree metropolitane: più chiarezza e concretezza», Dedalo, n. 2, 1991

vA. Bonomi, «Dalle aree tristi al localismo politico», Iter, n. 1, 1991

viP. Mazzanti, «Larga, stretta, o a banana?», Dedalo, n. 5, 1991

viiG. Verga, «Un’area al servizio di cittadini e imprese», Dedalo, n. 5, 1991

viii R. Camagni, M.C. Gibelli, «L’area metropolitana milanese e la 142: un approccio economico e territoriale in termini di organizzazione a rete dei centri urbani», in Città Metropolitana (Capo IV della Legge 142/90), Irer, Milano 1991

ixC. Candrian, «Ridurre gli squilibri tra centro e periferia», Dedalo, n.5, 1991

xG. Dematteis, «La scomposizione metropolitana», in L. Mazza (a cura di), Le città del mondo e il futuro delle metropoli – Partecipazioni internazionali, Catalogo della XVII Triennale, Electa, Milano 1988

xiA. Bonomi, «La città come luogo emblematico della scomparsa di un pensiero sociale forte», Relazione al seminario internazionale Problemas y politicas de las grandes ciudades en la decada de los noventa, Madrid, 8-10 marzo 1990

xiiG. Verga, Cit.

xiii Cfr. P. Perulli, «Ottimi locali, ottimi globali? Note sugli scenari sociali dell’area metropolitana milanese intorno al 2000», in F. Indovina (a cura di), La Città di Fine Millennio, F. Angeli, Milano 1990; T. Pompili, Le relazioni tra imprese italiane e straniere nell’area metropolitana milanese, ricerca affidata dall’Irer-Osservatorio Economico Territoriale dell’Area Milanese, coordinata da A. Cervelli e condotta da T. Pompili, OETAMM, Milano 1991

xiv G. Longhi, «Ambiente e innovazione: il ruolo delle reti di telecomunicazione», Bollettino DU, IUAV Venezia, 1988

xvG. Longhi, «Criteri di progetto per gli interventi nel sistema metropolitano lombardo, in Irer, Città metropolitana … 1991, Cit.

xvi Cfr. G. Marcotti, Le microtrasformazioni urbane nella città di Milano, Centro Studi PIM-OETAMM, 1990; C. Morandi, «Trasformazioni diffuse nei tessuti urbani di Milano», DST, n. 8, aprile 1991

xvii Cfr. G. Martinotti, «The new social morphology of modern metropolis», Relazione al seminario internazionale Problemas y politicas de las grandes ciudades … 1990, Cit.

xviii Cfr. S. D’Agostini, Grandi interventi residenziali di iniziativa privata nell’area milanese (1974-1987), Centro Studi PIM-OETAMM, 1988

xix Cfr. L.Minotti, Il tempo libero a Milano: attrezzature, servizi, comportamenti, Centro Studi PIM-OETAMM, 1991

xx Cfr. R. Camagni, M.C. Gibelli, «L’area metropolitana milanese …», 1991, Cit.

xxi Cfr. L. Minotti, «Aree metropolitane: più chiarezza e concretezza», Dedalo, n. 2, 1991

xxii Cfr. Centro Studi Pim, Verso la costituzione della Città Metropolitana, primi contributi per il dibattito, PIM, Milano 1990

xxiii Cfr. R. Camagni, «Le grandi città italiane …», 1991, Cit.; G. De Carolis, «Gli indirizzi metodologici del piano territoriale direttore della Provincia di Milano alla luce della Legge 142», Relazione al Convegno Governo del territorio nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, Pavia, 25 gennaio 1991

xxiv Cfr. G. Beltrame, «Venti brevi riflessioni sulla configurazione del governo metropolitano milanese», Relazione al Convegno Governo del territorio … 1991, Cit.

xxv Cfr. U. Baldini, «Proposte per un piano territoriale di sviluppo provinciale efficace come Piano territoriale di Coordinamento ai sensi dell’art. 12 della Legge 142/90», Relazione al Convegno Governo del territorio … 1991, Cit.

xxvi G. De Carolis, «Gli indirizzi metodologici …», Cit.

xxvii Cfr. Centro Studi Pim, «Area Metropolitana Milanese», in Irer, Città Metropolitana …, 1991, Cit.

xxviii M. Torres, «Dimensioni e strutture delle grandi conurbazioni italiane», Archivio di Studi Urbani e Regionali, n. 38-39, 1990

xxix Cfr. U. Baldini, «Proposte per un piano territoriale …», 1991, Cit.

xxx Cfr. R. Camagni, «Le grandi città italiane …», 1991, Cit.

xxxi Caritas Ambrosiana, «Scommettere sulla partecipazione. La L. 142 per la riforma della autonomie locali», Supplemento a Caritas Ambrosiana – Farsi prossimo, n. 13, 1991

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