Il mito della grande città, industriale, terziaria – e nello specifico caso di Genova anche costiera/portuale – con esplicito riferimento a New York, ha una forte suggestione negli anni tra le due guerre, spesso agendo implicitamente contro l’antiurbanesimo ufficiale. In questo senso, il ruolo metropolitano del sistema complesso costituito dalla spianata del Bisagno viene ampliato e consolidato, ben oltre le istanze razionalizzatrici-rappresentative dei primi anni Venti, a seguito dell’ampliamento territoriale e demografico che segue l’aggregazione dei comuni contermini nel 1926 [R.D.L. n. 662 del 15 aprile]. A differenza di altre esperienze coeve di ampliamento dei confini, il caso genovese emerge sia per l’entità demografica di tutto rispetto dei centri “minori” accorpati, sia per i forti elementi di identità e polarizzazione socioeconomica1. Tutta l’area a monte tra la Foce e la ferrovia, che pure da anni necessitava di bonifica, sistemazione, specifica di ruolo, nelle nuove dimensioni comunali va decisamente oltre le iniziali prospettive di area prevalentemente a verde, come pure quelle di urbanizzazione definite dai primi concorsi: quelli che vedono l’affermazione del Piacentini, dell’idea generale di spazio monumentale, della polarizzazione sull’Arco ai Caduti2. Lo stesso monumento si trova, nell’evoluzione complessiva del ruolo dell’area, a svolgere un ruolo ben più importante, anche simbolicamente, di quello originario che «caratterizza la sosta oltre e più che il passaggio»3.
A Genova inoltre, un ruolo particolare e quasi unico trova l’approccio complesso alla città che definiamo urbanismo, ben rappresentato dal segretario comunale Silvio Ardy, chiamato nel 1927 a riorganizzare l’attività municipale. Ardy si distinguerà per attivismo e particolarità di contributi, molto visibili soprattutto nell’alta qualità del bollettino municipale, vero “manifesto” della corrente culturale messa in minoranza dalla fondazione dell’Istituto Nazionale di Urbanistica4.
Con la “Grande Genova” voluta da Mussolini si creano condizioni più favorevoli a un vasto rinnovamento urbano, focalizzato sulla valorizzazione delle aree centrali, secondo una «convergenza tra le esigenze di rappresentanza del regime, da un lato, e gli interessi della grande borghesia genovese dall’altro»5.
Oltre le riflessioni formali e funzionali, la cesura fra la città storica e l’espansione di Albaro a levante aveva al proprio centro una questione eminentemente tecnica, e di relativo investimento di risorse, ovvero il governo delle acque alla foce del torrente Bisagno. Dopo decenni di proposte, un studio coordinato da Gaudenzio Fantoli veniva tradotto in progetto esecutivo e nel 1928, su iniziativa del podestà Eugenio Broccardi, venivano appaltati i primi lavori di copertura, dalla ferrovia a un punto poco a valle del ponte Bezzecca (all’altezza del lato sud di Piazza della Vittoria), lasciando aperta la possibilità sia di proseguire i lavori fino al mare, sia di ricavare un canale dalla trasformazione dell’ultimo tratto6. Di fatto, il varo dell’opzione di tombatura modifica in parte le potenzialità dell’area, che diviene maggiormente accessibile e al tempo stesso pone in potenza questioni complesse di contestualizzazione.
La seconda, rilevante opera pubblica che modifica l’assetto dell’area agendo sull’accessibilità, è lo scavo della nuova galleria Cristoforo Colombo, elemento centrale di un sistema viario che si sviluppa per circa mezzo chilometro (quasi trecento metri sotto il colle di Carignano), da quella che sarà la futura Piazza Dante verso est, a raddoppiare l’asse di via XX Settembre verso i quartieri di espansione7. Con questa sistemazione, i cui lavori si concluderanno nel 1932 contemporaneamente all’approvazione del nuovo piano regolatore del centro, si pongono le precondizioni per un centro terziario bipolare, in cui alla piazza Dante con i “grattanuvole” sarà affidato un ruolo direzionale e di traffico, mentre alla zona del Bisagno competerà un sistema di funzioni e spazi più vasto e complesso, comprendente l’area raccolta di sosta di piazza della Vittoria, il raccordo settentrionale di piazza Verdi, il sistema edilizio e di scorrimento risultate dalla tombatura del Bisagno, e infine la sistemazione della zona della Foce, per uno sviluppo totale di oltre un chilometro, scendendo dalla ferrovia al mare. Questi gli elementi cardine, a cui si aggiungono sia le sistemazioni complementari, sia il coordinamento con le altre trasformazioni del centro, il cui senso generale emerge dalla vicenda del concorso e del seguente piano regolatore.
Proprio dai modi in cui si articola questa vicenda di piano, è possibile cogliere il dispiegarsi di quanto abbiamo chiamato la cultura dell’urbanismo, ovvero del progetto complesso e multidiscipinare per la città, di cui il piano urbanistico rappresenta solo una parte, secondaria e potenzialmente dannosa quando non sia accompagnata da quegli elementi di gestione e “buon governo” che possono assicurare la sua attuazione e il coinvolgimento attivo delle forze sociali, riuscendo a metabolizzare anche contributi impegnativi come quello della consulenza generale di Marcello Piacentini. Il bando di concorso «per le zone di Piccapietra, San Vincenzo e in quella a sud di via XX Settembre», dell’8 febbraio 1930, individua un’area di progetto definita da un poligono irregolare, delimitata a nord dalla ferrovia, a sud dalla costa, a est dal viale Casaregis, a ovest da una spezzata che congiunge le piazze Brignole, Corvetto, De Ferrari, Caricamento. I concorrenti hanno la possibilità di estendere la progettazione ad aree limitrofe, se lo ritenessero necessario, ma dovranno rispettare comunque le indicazioni dei piani e progetti già vigenti, con l’obiettivo centrale di risolvere la viabilità complessiva della zona, organizzando coerentemente i singoli spazi8. Le risoluzioni della commissione giudicatrice, rese note nel 1931, sono destinate ad alimentare una breve ma significativa polemica. Gli esaminatori, tra cui spiccano Marcello Piacentini, Cesare Albertini, Silvio Ardy, premiano tra i molti il progetto contrassegnato dal motto Janua, che non solo propone soluzioni valide, ma le articola in possibili varianti e combinazioni, in grado di adattarsi a modalità di attuazione differenti e scaglionate nel tempo. In una di queste varianti per esempio «la Piazza Verdi e quella della Vittoria sono sistemate regolarmente in modo da essere riquadrate con quattro grandi edifici (due per ciascuna piazza) ubicati in modo da lasciar libera la visuale del monumento dalla stazione Brignole e dalle Mura delle Cappuccine», e alla Foce il progetto è impostato «in modo da formare una piazza a pianta rettangolare sistemata a giardino di fronte al mare»9.
Le polemiche sull’assegnazione del primo premio, però, non riguardano le specifiche scelte, che tutti riconoscono di alto valore tecnico e progettuale, ma la personalità del vincitore. Al motto Janua, infatti, corrisponde l’ingegner Aldo Viale, responsabile dell’ufficio municipale per il piano regolatore, e la sua posizione viene giudicata incompatibile con la logica del concorso10 soprattutto dal gruppo di architetti milanesi classificati al secondo posto, tra cui Piero Bottoni e Enrico Griffini (al terzo il gruppo Daneri). Senza esprimere giudizi sulla liceità o meno degli indubbi vantaggi di un tecnico interno al municipio, se non altro in termini di accessibilità delle informazioni, è evidente il configurarsi di una situazione simile a quella contemporanea di Milano dove, protagonisti ancora Albertini e Piacentini, le scelte del piano regolatore sono e saranno per lunghi anni oggetto di polemica fra le posizioni del Comune e quelle di parte del mondo professionale. È anche significativo che a Genova questa polemica sia di non eccezionale rilevanza, e soprattutto sia destinata a risolversi naturalmente con la redazione e la rapida approvazione del piano regolatore di massima definitivo per il centro11. Il piano, che la rivista municipale pubblica in anteprima, illustrato con alcune eloquenti prospettive dell’architetto Giulio Zappa, vuole essere al tempo stesso il fulcro della nuova Genova e il tassello di un più vasto schema di crescita per poli qualificati ma relativamente specializzati, iniziato qualche anno prima con l’aggregazione dei comuni contermini12. La presentazione del progetto chiarisce come la città non abbia assolutamente bisogno di uno schema esteso a tutto il territorio, bastando al coordinamento generale l’autorità municipale, che può operare per piani parziali dato il contesto geografico: «il nuovo piano della zona si innesta perfettamente con quello generale idealmente e praticamente delineato dalla natura»13. Alla scelta formale e volumetrica ben precisa dei grattacieli di piazza Dante fa riscontro, all’altro polo di quello che è concepito come sistema unico, la scelta di un’edilizia più distesa, nella piazza della Vittoria così come in tutta l’area adiacente al Bisagno e alla Foce. L’intero schema spaziale ruota attorno al Monumento, emarginando del tutto l’asimmetria della stazione, e allineando l’ampia fascia che va da piazza Verdi fino alle mura in funzione dell’Arco ai Caduti14 e ai quattro edifici disposti ai suoi lati est ed ovest, con uno sviluppo nord-sud di circa 750 metri. Si delinea nella forma quasi definitiva, anche, la sistemazione dell’ultimo polo, ovvero la piazza alla Foce, in sostituzione dei vecchi Cantieri navali. Lo schema a “C” aperta verso il mare, già intravisto al concorso, è ora acquisito a indicare «una Piazza che si pensa possa divenire un centro animatissimo di vita mondana»15.
Nel simbolico decennale della marcia su Roma, Genova può quindi contare su un piano di massima, approvato per la sua zona più rappresentativa, a cui si aggiungono alcuni progetti correlati già in corso di realizzazione. Si sono inaugurati la parziale copertura del Bisagno (nel 1934 si delibererà definitivamente la copertura totale16) e l’ultimazione dell’Arco ai caduti, da poco inaugurato dal Re insieme al nome definitivo di Piazza della Vittoria, e «per quanto degli otto edifici della piazza della Vittoria uno solo sia già sorto, tuttavia non sfugge a nessuno il senso unitario della soluzione adottata»17. Un senso unitario che va ben oltre la dimensione cittadina, visto che il “nodo” di cui la piazza rappresenta l’elemento centrale e simbolico sta sviluppando la sua vocazione di tradizionale incrocio dei flussi interregionali, e a maggior ragione con gli sviluppi della rete viaria e ferroviaria previsti si propone come luogo appetibile per le attività terziarie e rappresentative di alto livello18.
Definita l’organizzazione generale degli spazi, fra il 1934 e il 1935 l’ufficio tecnico municipale redige con la consulenza e il coordinamento di Marcello Piacentini il piano particolareggiato per piazza della Vittoria. Del 1934 sono le norme edilizie ed architettoniche per «assicurare all’insieme “un’armonia di masse, una ricorrenza di linee»19. Su progetto dello stesso Piacentini, si costruiscono a partire dal 1935 il palazzo dell’INFPS sull’angolo nord-est, e dal 1937 quello Garbarino e Sciaccaluga adiacente, che «fissa il modello per gli edifici gemelli sui lati est e ovest della piazza»20. Ancora nel 1937 sono terminati la Questura e il liceo Andrea Doria, nel 1939 l’edificio d’angolo sud-est. Parallelamente alla costruzione materiale di piazza della Vittoria, si completa la definizione del contesto urbanistico in cui è inserita, a partire dal “polo” opposto di piazza Dante, pure su piano particolareggiato del Piacentini, che firma (con Angelo Invernizzi) anche uno dei due grattacieli21. Ma è soprattutto con la realizzazione della piazza Rossetti alla Foce, che l’intera area assume l’assetto definitivo. Per questo progetto viene bandito un concorso il 24 novembre 1933 inserito nel piano particolareggiato (Zona B) di attuazione, vinto dal progetto Zena Foxe, di Robaldo Morozzo della Rocca e Bruno Ferrari22. Carlo Daneri, secondo classificato col progetto Città Nuova, riuscirà però nel 1936 a farsi affidare dalla podesteria, con il sostegno del Piacentini, l’incarico esecutivo, con un ruolo di primo piano anche nell’immobiliare Città Nuova costituita nel 193723.
Significativo che, a lavori di sistemazione dell’area del Bisagno ancora in corso, si inizino già a definire ruoli complessi e innovativi per l’intera zona incentrata su piazza della Vittoria, in cui alla generica vocazione terziario-rappresentativa si mischiano ora funzioni decisamente moderne, come quella di terminal turistico ad alto livello, o di centro per le attività manageriali legate allo sport. L’investimento in monumentalità sta iniziando a dare i suoi frutti24
(questo saggio è un estratto del capitolo «Dalla periferia al centro: idee per la città e la city» della «Storia dell’Architettura Italiana – il Primo Novecento», Electa 2005); dal medesimo saggio in questo sito vedi anche: La Legge Urbanistica del 1942 Milano Manhattan Tascabile Bari tra le due guerre Torino e la city a Via Roma
1 Per una cronaca puntuale dei complessi passaggi politici, istituzionali, e insieme delle prospettive urbanistiche connesse all’operazione, Cfr. «La “Grande Genova”», Il Comune di Genova, 31 dicembre 1925; «La Grande Genova nella relazione dell’On. Ing. Eugenio Broccardi», Il Comune di Genova, 31 dicembre 1926
2 Cfr. «Il Parco della Rimembranza e il Monumento ai Caduti in Guerra», Il Comune di Genova, 30 aprile 1923; «La sistemazione della Spianata del Bisagno (dai primi progetti all’attuale concorso)», Il Comune di Genova, 31 dicembre 1923
3 «L’Arco trionfale ai Caduti genovesi e alla Vittoria italiana», Genova, giugno 1931, p. 421
4 Cfr. Roberto Mansueto, Silvio Ardy e la cultura municipalista a Genova negli anni trenta, in Cristina Bianchetti (a cura di), Città immaginata e città costruita. Forma, empirismo e tecnica in Italia tra Otto e Novecento, F. Angeli, Milano 1992
5 Ennio Poleggi, Paolo Cevini, Genova, Laterza, Bari 1981, p. 239
6 «La canalizzazione e la copertura del Torrente Bisagno», La Grande Genova, aprile 1929
7 Cfr. Cesare Marchisio, «Le grandi opere pubbliche della Genova Nuova. La strada galleria fra via Dante e via A.M. Maragliano», La Grande Genova, luglio 1929
8 Cfr. «Un concorso per il piano regolatore di alcune zone della città», Genova, maggio 1930; Eugenio Fuselli, «Concorso per il piano regolatore della città di Genova, Architettura, febbraio 1932
9 «Il concorso per un piano regolatore di alcune zone del centro della Città. Relazione della Commissione giudicatrice», Genova, agosto 1931, p.646
10 Cfr. su Rassegna di Architettura: «A proposito del concorso per il piano regolatore di Genova», n. 7, 1931; «Ancora del Piano Regolatore di Genova», n. 9, 1931; G. Rocco, «Fattacci: Genova Messina Siracusa», n. 1, 1932
11 Piano approvato con RDL dell’8 settembre 1932, n. 1390
12 Molto significative risultano, a questo proposito, le grandi tavole comparative pubblicate da Renzo Picasso nel corso del 1928 sulla rivista comunale, dove la Grande Genova è accostata in termini demografici, insediativi, infrastrutturali ecc. a New York o a Chicago. Il fatto stesso che questi schemi siano pubblicati dalla rivista del Comune, chiarisce meglio anche i progetti della podesteria e forse dello stesso Ardy riguardo all’organizzazione di un municipio inteso come «organismo metropolitano» (la dizione è usata a questo proposito anche da R. Mansueto, op. cit.)
13 Cesare Marchisio, «Il nuovo piano regolatore del centro», Genova, febbraio 1932, p. 144
14 «Chi uscirà dalla Stazione di Brignole … avrà subito un indirizzo netto e preciso della struttura della zona ed una visuale di tutto l’insieme».Virginio Semino, «Imponente rassegna di opere nella Superba», Il Popolo d’Italia, 21 ottobre 1932, p. 8
15 Eugenio Fuselli, «Il piano regolatore di Genova», Architettura, dicembre 1932, p. 693
16 Con la «decorazione … mediante tre alti fasci littori eretti in corrispondenza delle pile e visibili dal mare». «L’ultimazione della copertura del Bisagno», Genova, aprile 1934, p. 319
17 «Le Opere pubbliche genovesi nell’ultimo anno del Decennale», Genova, ottobre 1932, p. 963
18 Cfr. Aldo Viale, «Il piano regolatore generale di Genova», Genova , gennaio 1931 (I) pp. 25-37, febbraio 1931 (II) pp. 107-118, marzo 1932 (III) pp.269-280
19 Paolo Cevini, Genova anni ’30. Da Labò a Daneri, SAGEP Editrice, Genova 1989, p. 148
20 Mario Lupano, Marcello Piacentini, Laterza, Bari 1991, p. 199
21 Il secondo, progettato dall’architetto Rosso, inaugura il 15 aprile 1936 la struttura in cemento armato più alta d’Europa con 21 piani per 78 metri, insieme ad altre curiosità tecnologiche come l’eliminazione dei rifiuti attraverso gli scarichi dei lavandini. Cfr. Il Giornale di Genova, 16 aprile 1936
22 Cfr. «Concorso per un progetto di sistemazione edilizia della nuova piazza della Foce. Relazione della Giuria», Genova, giugno 1934
23 Cfr.Pietro D. Patrone, Daneri, Sagep Editrice, Genova 1982, pp. 65-73
24 Cfr. Ercole Conti Sinibaldi, «Piazza della Vittoria centro turistico di Genova», Genova, novembre 1937