Ogni anno a ottobre si celebra la Giornata internazionale delle città, che magari ha un briciolo di senso in più (senza offesa) di altre giornate internazionali che ormai non si negano a nessuno, dal cetriolo di peluche all’acne giovanile dei canguri. Ce l’ha, questo briciolo di senso in più, se non altro per via della ormai solita faccenda dell’urbanizzazione del pianeta, quella che ci dicono ogni giorno sta mettendo a rischio risorse naturali, equilibrio climatico, in fondo la nostra probabile sopravvivenza come specie, mica bruscolini insomma. Si accumulano studi e politiche di grande scala per far sì che si possa invertire con qualche successo la tendenza, sinora inarrestabile, da un lato all’artificializzazione più vistosa dell’edilizia, delle infrastrutture, degli impianti, dall’altro anche ad arginare l’altro fenomeno, di industrializzazione delle pratiche agricole, che fa assomigliare di fatto anche i campi coltivati, almeno dal punto di vista degli impatti, a una specie di enorme fabbrica di alimenti.
Conserviamo che cosa?
Proprio su questo aspetto dell’equilibrio fra spazi naturali e spazi artificiali con elevati impatti, si sviluppa in buona sostanza il dibattito fra industrialismo tradizionale e ecologismo, con una particolarità che riguarda ancor più in particolare il nostro paese: pare esserci una pazzesca confusione fra ambientalismo e conservazionismo, quando non addirittura puro conservatorismo, che altrove sarebbero in parecchi a etichettare decisamente come di destra. Se prendiamo ad esempio in considerazione le discussioni sul consumo di suolo che accompagnano il faticoso (e sinora senza sbocco alcuno) percorso dei vari disegni di legge, scopriamo che se ne dicono di tutti i colori. Progetti di regolamentazione che rinunciano addirittura a definire cosa sia, il consumo di suolo, delegando poi di volta in volta ai casi locali, come se non esistessero criteri ambientali, ma solo discrezionalità diciamo così politiche, equilibri fra interessi. E poi una sensibilità diffusa, in parte alimentata anche da approcci stravaganti, che tende via via a vedere “consumo di suolo” in qualunque trasformazione non piaccia, o sia considerata inadeguata. Scordandosi ad esempio che un’area urbana è un’area urbana, periferie e spazi a bassa densità inclusi, e quel suolo è già bell’e che consumato. Possiamo ad esempio fare le nostre legittime opposizioni a nuove trasformazioni edilizie, densificazioni, ampliamenti, sulla base del fatto che si insediano funzioni impattanti, che si rende meno abitabile un quartiere ai cittadini, che una modifica magari di entità minore si ripercuote però altrove con effetti moltiplicati. Ma il consumo di suolo, l’equilibrio fra urbanizzato e non, lasciamolo perdere, perché indebolisce anziché rafforzare le nostre argomentazioni.
Terapia urbana
Come è stato scoperto all’epoca di introduzione dei primi vaccini, all’interno della malattia si trova anche la sua prevenzione e cura. Lo stesso vale per gli squilibri indotti dall’urbanizzazione: è dentro la città che va trovata la medicina. Nel caso dell’espansione, sinora tutto si è articolato, in modo sin troppo ovvio, a volte ridicolo, a volte quasi tragico, attorno al mantra dell’incremento di densità. Del resto è sin dai tempi in cui Raymond Unwin aveva fissato il suo abbastanza arbitrario twelve per acre alla città giardino (ovvero trenta alloggi ettaro, diciamo grossolanamente un po’ meno di cento abitanti), che i teorici della densificazione ne dicono di tutti i colori. Ma oggi tecnologia e organizzazione, insieme alle crescenti preoccupazioni per il cambiamento climatico e la caduta di biodiversità, hanno introdotto un altro criterio, ovvero la rinaturalizzazione dello spazio urbano. Che non vuol dire come sogna qualche disattento, o fazioso conservatore, abbattere case per sostituirle con prati o campi, ma più concettualmente e generalmente sottrarre artificializzazione alle campagne, importandola intra moenia, e al tempo stesso introdurre nel metabolismo della città veri e propri servizi dell’ecosistema, in forma di flora, fauna, superfici verdi piantumate. E sarà difficile anche per i più confusionari, a quel punto, chiamare consumo di suolo una trasformazione del genere, o per i più decisamente reazionari incazzarsi con qualche specie animale, che svolge il proprio ruolo ufficiale e dichiarato. Come sappiamo, al problema della faziosità non c’è rimedio, però ci si prova, nella Giornata delle Città e anche da domani in poi.
Qui la pagina Onu Habitat per la Giornata Internazionale delle Città