È innegabile che nell’epoca della smaterializzazione di tanti processi, anche la riflessione urbana possa e debba fruttuosamente sganciarsi dalla zavorra di pietre, cavi, tubi, cemento e asfalto che ha tenuto troppo ancorato al suolo sinora il pensiero sulla società e lo sviluppo locale. Ciò vale ovviamente sia per alcuni aspetti tecnologici (non necessariamente tutti legati al sin troppo fortunato slogan della smart city), sia soprattutto per quelli sociali, economici, di relazione e consumi. Uno dei più chiari esempi di come questa riflessione urbana anche di alto livello scientifico e politico prescinda o quasi dalla fisicità degli spazi, sono le principali e più in voga teorie dello sviluppo locale. Le quali pure scendendo a volte anche in minuti particolari sulle attività, le tipologie umane e professionali, i tipi di reti e relazioni, dichiarano sostanzialmente la propria indifferenza rispetto alla «forma urbana», o meglio alla classica alternativa tra città e suburbio. Errore di prospettiva, se è vero che poi a ben vedere certi fattori fortemente integrati come composizioni funzionali, mobilità generale e accessibilità delle funzioni, e soprattutto densità, alla fine diventano determinanti proprio per la qualità di quello sviluppo, pur a volte senza cristallizzarsi rigidamente sulla modellistica «da architetti», con quella pervasiva antica idea della corrispondenza spazio-funzione ancora ben fissa in testa.
Densità edilizia, di popolazione, di relazioni sociali ed economiche
Perché a ben vedere come spesso accade l’intuizione era giusta e resta tale, salvo essere stata sviluppata in termini troppo rigidi e autoreferenziali. Ancora oggi di fronte all’emergenza planetaria di una urbanizzazione fisico-virtuale che spesso avviene proprio nei termini di – colpevole, per inciso – relativa indifferenza insediativa di sociologi ed economisti, ai richiami ad una maggiore sostenibilità, conservazione delle risorse naturali di suolo, acqua, materie prime, flora, fauna, servizi all’ecosistema, si evoca la cosiddetta «densificazione». E però val la pena chiedersi correttamente densificazione di cosa, dato che se tutti concordiamo che una città non è esclusivamente una montagna di contenitori di pietra, né un variabile coacervo di indipendenti volatili contenuti, nessuno pare domandarsi se esista un criterio per valutare qualitativamente una composizione accettabile, se non ideale. E quindi alla crescita urbana mondiale si dovrebbe accompagnare una ancor più crescente ed efficace riflessione su cosa e come far crescere: né solo le cubature o l’estensione orizzontale, né solo l’interazione più o meno tumultuosa fra i nodi della rete di relazioni che contengono. Uno dei criteri potrebbe essere quello di uscire dal vicolo cieco, sinora a quanto pare modo di pensiero dominante della cultura urbana occidentale, dell’equazione di massima città/densa/male e campagna/dispersa/bene da combinare in un mix qualsivoglia.
Oltre la città giardino, sul serio
A furia di cercare il giardino per metterci sopra la città, si è finito per obliterarlo, potremmo anche dire. Ora di cambiare strada, e magari invece semplicemente di invertire la rotta come pensano tanti irrealistici nostalgici (la campagna che irrompe nella città, l’enfasi assoluta sul «verde», il rampicante simbolo di sgretolamento delle pareti, e via dicendo), provare a fare un discorso tutto urbano, comparativo, scientifico-sperimentale e sostenibile con dati affidabili. In altre parole, mescolare anziché contrapporre le risultanze di tanti, tantissimi, studi i sul medesimo tema, ma che sinora andavano ciascuno dalla propria parte, ignorando aspetti del tutto ovvi per un altro approccio, e che poi invece si facevano sentire eccome prima o poi, come «variabili esterne» di quell’equazione che non tornava mai. Chi sta male nella città densa di edifici e cerca minore densità fisica, credendo che il problema sia quello e solo quello, sta davvero andando nella direzione giusta? E chi disturbato da una certa composizione funzionale o sociale o comportamentale o economica a dir poco imperfetta e discutibile, va a cercarsi grandi o piccole segregazioni, non sta invece costruendosi gli insolubili problemi del domani? Solo una verifica sperimentale e sistematica, comparata, su cos’è oggi la città nel mondo, può iniziare a dirlo, senza pregiudizi e senza balzi pindarici nel nulla. Le apparentemente schematiche e un pochino ingenue comparazioni del breve saggio allegato, con tutti i limiti evidenziati e riconosciuti delle imperfette fonti documentali, qualcosa ci indicano.
Riferimenti:
Josef Filipowicz, Room to Grow: Comparing Urban Density in Canada and Abroad, Fraser Institute, Centre for Municipal Studies, 9 gennaio 2018