La vera battaglia si combatte sempre di più, lo sappiamo tutti, sul fronte della comunicazione. Un momento: ma lo sappiamo o non lo sappiamo? Dovremmo saperlo, però a volte dal dire al fare c’è di mezzo parecchio. Lo dimostra la quantità di titoli, sia della stampa che delle pubblicazioni scientifiche, dove i termini assumono significati cangianti al limite dell’evaporazione. Cosa micidiale se si pensa alla fatica con cui spesso si arriva, finalmente, a definire qualcosa, a fotografarne l’essenza, poi spunta l’idiota, in buona o mala fede, e distrugge tutto in una battuta. Sorte particolarmente delicata e ingrata tocca alle parole della città, che composte da tante variabili, e per propria natura già sfaccettate in partenza, risultano fragilissime di fronte a questa sfida mediatica. Perché una patata è una patata, al massimo gialla o rossa, dolce o no, fritta o in insalata, ma ad esempio lo sprawl, cos’è lo sprawl? All’inizio una definizione straordinariamente efficace, ma appunto fragile perché composta da tante cose diverse, e giusto in questi giorni gira sul web un articolo di una seriosissima rivista scientifica che titola più o meno «I parassiti dei ratti passano più facilmente all’uomo nello sprawl urbano». Un brivido di terrore percorre la schiena del lettore, davanti a scenari di pestilenze tra villette e centri commerciali, ma poi leggendo anche solo l’abstract del pezzo, si scopre che con “sprawl” si intendeva in pratica il suo contrario, ovvero le grandi concentrazioni urbane: la convivenza di tante specie in un unico ambiente gomito a gomito favorisce il passaggio dei parassiti dall’una all’altra. Certo che questi scienziati, con tutta la loro precisione e sistematicità quando si tratta del proprio campo, potevano anche stare un pochino attenti a usare i termini altrui. Come se un urbanista intitolasse: «Un fegato sano fa male al quartiere».
Camera con svista
Quello degli studiosi di parassiti è un errore tra l’altro abbastanza comune, pur se in contesti meno vistosi. Chiamare sprawl qualsivoglia espansione urbana pare un vero e proprio vizio, ormai, ma la medesima abitudine imperversa anche con altri termini che si vorrebbero considerare qualificanti. In testa a tutti di recente la gentrification, che da strisciante sostituzione sociale e autosegregazione di borghesi in un ex quartiere popolare, senza alcuna radicale modifica edilizia, è andata a connotare di tutto e di più: demolizioni e ricostruzioni di tessuti misti operai-produttivi, terziarizzazione e negozi dove un tempo c’erano case, riqualificazioni di vario tipo, insomma in pratica anche qui, qualunque trasformazione urbana diventa gentrification. Ci manca per fortuna (ma non si sa mai in futuro) il gentrysprawl ma attendiamo con fede che qualche rivista di moda usi il neologismo a sfondo della campagna per una nuova linea di occhiali da sole, o di espadrillas con zeppa ad acquario e pesciolini vivi. Aspettando l’era del gentrysprawl dobbiamo comunque sorbirci l’ennesima confusione su una parola apparentemente difficile da equivocare, come suburbio.
Cosa sognano i parassiti delle pecore elettriche nel suburbio?
A volte sovrapposta al peggiorativo sprawl, a volte con l’aggiunta di aggettivi qualificativi geografici come storico (di prima espansione), esterno (legato all’era automobilistica), tranviario (spesso nelle forme della città giardino) la parola suburbio in effetti potrebbe apparire abbastanza generica. Suburbio è tutto ciò che non si considera urbano in senso stretto. Se però come ci insegnano certi economisti attenti giusto alla differenza tra valori immobiliari, redditi e poco altro, anche la parola “urbano” si applica senza andare troppo per il sottile, anche questa distinzione salta, e irrompe l’ideologia in malafede di chi vorrebbe giusto tirare l’acqua al proprio mulino. Come quelli che tempo fa discettavano di suburbi ad alta densità, o di suburbi a destinazioni propriamente mixed-use, o suburbi transit-oriented-development. Cosa c’è di suburbano, in un posto che ha tutto ma proprio tutto di urbano, almeno in quelle ipotesi di densificazione, nodi di trasporto, multifunzionalità? Nulla, salvo l’origine storica, o magari più spesso un confine amministrativo che in sé ha poco senso. Così, nella confusione magna che ne segue, hanno buon gioco immobiliaristi o altri operatori economici di beni di consumo, durevole e non, a giocherellare sugli “orientamenti dei giovani al suburbio”: la generazione Millennial abita in città ma sogna il suburbio; il suburbio si, ma con le comodità della metropoli. Ci sarebbe da sorridere, insomma, se non si giocasse con la pelle delle persone, e se non li si prendesse in giro offrendo loro un modello di vita artificioso e fatto solo di parole a vuoto pneumatico.
Riferimenti:
Urban sprawl promotes worm exchange across species, PhysOrg 27 gennaio 2015