Hipster Diabolicum

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Foto M. B. Style

C’è anche quel famoso racconto di Stevenson, Il Diavolo nella Bottiglia, che riprendendo in forma moderna il classico tema della lampada di Aladino ci ricorda in un lampo quanto sia rischioso evocare gli inferi. Il vero problema però, come quasi sempre trattando di modernità, o anche di post-modernità se è per questo, è capire cosa diavolo siano esattamente, gli inferi del caso. E come si trovino eventuali anticorpi, perché di solito non abbiamo a portata di mano un letterato, che con mano lesta di scrittura alla fine del racconto fa rientrare il mostro nella sua bottiglia, lasciando lì pietrificati gli scemi che l’avevano sconsideratamente evocato. Gli inferi da manuale della città moderna, quelli che tutti sanno riconoscere e a volte pure provare a combattere, si chiamano bassifondi, degrado, abbandono. Esistono da sempre, in fondo basta trovarli, circoscriverli, cercare il famoso antidoto adeguato. Certo c’è anche un giudizio di merito sul valore dialettico degli inferi: in quanto espressione esplicita dei rapporti di potere, il lumpenproletariat dei bassifondi è anche l’esercito di riserva da attivare per la lotta progressista, e quindi magari il giudizio non è così assoluto. Comunque il XIX secolo perfeziona il suo antidoto con la metafora di chirurgica urbanistica detta sventramento, o più tardi diradamento, risanamento, oggi riqualificazione.

Io sono più infero di te!

Già dalle prime operazioni in grande stile del prefetto parigino George-Eugène Haussmann, emergono le contraddizioni di questo genere di cura sbrigativa di alcuni sintomi della malattia, senza considerarne a sufficienza altri aspetti. Insomma mettere lì un passeggio elegante al posto di un dedalo di vicoli, spesso crea più guai urbani di quanti non ne risolva, come spiegheranno una generazione dopo critici quali Camillo Sitte, Charles Buls o Gustavo Giovannoni. I quali critici sfiorano però (senza davvero entrarci, e del resto non è il loro mestiere di esteti) anche la questione sociale, o meglio socioeconomica e tecnologica dell’antidoto: tutti gli ingredienti vanno dosati in modo equilibrato. Per esempio in alcune pagine dei loro scritti emerge una grande speranza nel trionfo di innovazioni tecnologiche in campi dall’idraulica alla telefonia e simili, tali da eliminare del tutto l’esigenza delle trasformazioni spaziali per adeguare i tessuti urbani a nuove domande culturali e produttive. Insomma, con classica intuizione da artista, i critici degli sventramenti hanno capito benissimo che con l’idea di esorcizzare i demoni dei bassifondi, si finiscano per evocare altri demoni peggiori, per esempio in forma di colonizzazione monoculturale portatrice di altro degrado, mentre quello vecchio altro non fa che depositarsi a poca distanza.

Esorcisti socio-spaziali e apprendimento progressivo

Una intuizione originaria che ha poi avuto modo di svilupparsi, almeno nelle teorie, lungo tutto l’arco del ‘900 e a fronte dei vari epigoni degli sventratori, vuoi sotto forma di totalitarismi europei tra le due guerre mondiali, vuoi incarnati nei modernizzatori autoritari, autostradali e razionalisti-industrialisti, nella seconda metà del secolo. Sia Ruth Glass con la sua teoria della gentrification, sia Jane Jacobs con la sistematica critica a certe interpretazioni dell’urbanistica modernista, pongono l’accento proprio sugli intrecci perversi fra idee di società, sviluppo, e trasformazioni più o meno striscianti delle città, che a volte come nel caso della gentrification primigenia, sono esclusivamente sociali. Ne coglie in qualche modo l’eredità a cavallo del nuovo millennio il sociologo Richard Florida con la sua teoria dello sviluppo locale innescato dalla cosiddetta creative class, che con le domande di nuovi consumi, stili di vita, uso di temi e spazi urbani sarebbe il motore immobile della rigenerazione, una specie di adattabile gomma che cancella il degrado, esorcizza gli inferi, addomestica il diavolo senza neppure doverlo ricacciare dentro la bottiglia. Tutto questo accumulo di riflessioni non ha però fatto appieno i conti con la natura davvero infernale (si capisce bene solo ora) degli stessi produttori e venditori di anticorpi, i quali naturalmente non vogliono affatto debellare la malattia, ma anzi prolungarla in qualche modo all’infinito per lucrarci. Nascono così tutte le trasformazioni urbane e sociali, dalle zone speciali dell’epoca thatcheriana che obliterano i vecchi quartieri operai, all’invasione di hipsters e locali di tendenza di oggi. Sta succedendo anche a Mosca, e si può prevedere che i cosiddetti sviluppatori stiano preparando grandi piani per convincere altri amministratori, gonzi o in malafede, delle metropoli mondiali. Tutto quel che possiamo fare noialtri, è informare, informarci, stare all’erta insomma.

Riferimenti:

Maryam Omidi, Moscow embraces ‘hipster Stalinism’, The Guardian, 12 dicembre 2014

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