Tra i tetti di tegole rosse di Catalina Foothills, sobborgo ricco a nord di Tucson, Arizona, sta un manto di vegetazione del deserto: cactus spinosi, foglie di yucca a forma di sciabola, e i rami un po’ scheletrici di palo verde e mesquite. Più a sud della città la vegetazione si dirada. Gli alberi scarseggiano nella parte più meridionale dove negozi e scuole e complessi residenziali si appoggiano su una crosta di cemento e asfalto. Nelle bollenti giornate estive la differenza non solo si vede ma si avverte a pelle. Quei quartieri senza ombra di Tucson, prevalentemente abitati da latini a basso reddito, il calore lo assorbono e lo accumulano. Si gonfiano di temperature ben oltre 13° la media cittadina e 11° rispetto a quella di Catalina Foothills. Una differenza micidiale dove l’anno scorso si sono verificate per quaranta giorni temperature superiori ai 38° e dove le cose sono ovviamente destinate a peggiorare col cambiamento climatico.
Ma c’è anche una buona notizia: esiste un modo abbastanza semplice di rinfrescarsi: piantare alberi. «Si abbassa la temperatura facilmente di 12° solo andando sotto l’ombra di una pianta» spiega Brad Lancaster, agronomo di Tucson. «Drasticamente più fresco». E stanno iniziando decise azioni per trasformare angoli cittadini e lotti non edificati con ciuffi di alberi. L’amministrazione di Tucson, impegnata per un milione di piante entro il 2030, ha ottenuto 5 milioni id dollari dall’amministrazione Biden a sostegno delle proprie politiche: nel quadro dell’investimento da un miliardo che lo U.S. Forest Service ha destinato lo scorso autunno a piccoli progetti di forestazione urbana in tutto il paese, con l’obiettivo di incrementare la resilienza al cambiamento climatico e all’alzarsi delle temperature. Ma qui a Tucson, come in tante altre città, con gli alberi si vorrebbero affrontare anche altri problemi oltre questo calore estremo. Si può fare di più che rinfrescare un marciapiede, per esempio coltivandoci qualcosa da mangiare.
È ciò che spera Brandon Merchant per quel quartiere senza ombra a sud di Tucson, una città dove almeno un quinto della popolazione abita a un paio di chilometri da un negozio alimentare. Merchant lavora a un progetto per piantare alberi di mesquite, caratteristici del deserto di Sonora, e che vengono usati da secoli come fonte di alimenti. Dai baccelli si estrae una farina dolce ricca di proteine usata per cucinare pane, biscotti, frittelle. Merchant, impegnato con la Community Food Bank of Southern Arizona, considera la coltivazione del mesquite nell’area della città e circostante un’occasione per contrastare sia il caldo che la cattiva alimentazione. Con un sistema di «boschi alimentari» di quartiere dove volontari gestiscono alberi da frutto e altre colture da cui attingere liberamente.
«Riflettere sulle radici del problema alimentare e di quello sociosanitario, è anche ragionare insieme su altre questioni come l’assenza di spazi verdi o la carenza di biodiversità» spiega Merchant (la banca alimentare ha ottenuto dall’amministrazione Biden un milione di dollari attraverso lo Inflation Reduction Act). L’iniziativa si colloca all’interno della tendenza nazionale a unire la riforestazione – e relativi finanziamenti federali – a progetti di sostegno alimentare. Volontari, insegnanti, agricoltori urbani di tutto il paese piantano alberi da frutto e cespugli di more e nocciole negli spazi pubblici così da far ombra, migliorare lo spazio pubblico, e offrire insieme ai quartieri cibo sano e gratuito. Boschi alimentari, orti, parchi da mangiare, spuntano ovunque attorno a chiese, scuole, zone non edificate di tante città, da Boston, a Filadelfia, Atlanta, Seattle, Miami. «Iniziative sempre più popolari» commenta Cara Rockwell, ricercatrice agro-forestale dei sistemi alimentari sostenibili alla Florida International University: «Che danno enormi vantaggi».
E non mancano i vantaggi ambientali: gli alberi migliorano la qualità dell’aria, assorbono anidride carbonica dall’atmosfera, creano habitat per varie specie animali, ci ricorda Mikaela Schmitt-Harsh, esperta di forestazione urbana alla James Madison University in Virginia. «Credo che i boschi alimentari possano diffondersi sempre di più insieme ad altri progetti di verde urbano come gli orti di quartiere o o tetti verdi. Tutto si orienta in una direzione positiva». Secondo gli studiosi non si riesce così certo a produrre cibo a sufficienza per tutti coloro che ne avrebbero bisogno. Ma si può di sicuro integrare una dieta, specie in quei quartieri dove mancano negozi alimentari di prodotti freschi. «C’è molto da riflettere sulla collocazione di questi boschi alimentari e sulla raccolta dei frutti, oltre che sulla loro equa distribuzione».
Un caso di successo è quello del Philadelphia Orchard Project. Una associazione senza scopo di lucro che collabora con scuole, chiese, centri sociali per il tempo libero e coltivazioni urbane, nella gestione di ben 68 frutteti in città. Una rete in grado di produrre complessivamente 5-6 tonnellate di alimenti freschi lo scorso anno, secondo i calcoli del suo vicedirettore Phil Forsyth. In alcuni casi si tratta semplicemente di tre o quattro piante, in altri di un centinaio, spiega un altro direttore esecutivo dell’associazione, Kim Jordan. «Usiamo una quantità di specie, frutti, nocciole, bacche, arbusti rivolti agli insetti impollinatori, alla copertura del terreno, piante perenni, molta varietà». La banca alimentare di Tucson ha iniziato l’attività nel 2021, con sei capanni a tettoia a deposito di alberelli da piantare. Ciascun capanno contiene decine di piantine sistemate in sacchetti irrigati finché l’albero diventa grande a sufficienza per il trapianto in terra. Negli ultimi tre anni, Merchant collabora con una scuola superiore, un orto di quartiere, e la tribù indiana Tohono O’odham per la cura trapianto e mantenimento degli alberi. Sinora sono poche decine gli esemplari sistemati definitivamente, ma i programmi ne prevedono centinaia e centinaia per il prossimo anno. L’obiettivo teorico che Merchant definisce «alto e ambizioso» è di arrivare a 20.000 piante nel 2030.
La banca alimentare organizza laboratori sulle tecniche di piantumazione, cura, potatura e raccolta oltre che cucina con farina di mesquite. Oltre ad eventi locali dove gli abitanti portano i semi da macinare, dove si usa un attrezzo molto pesante difficile da maneggiare da dilettanti, spiega Merchant, e si assaggiano le frittelle di mesquite. Il modello operativo per gli alberi è quello di forestazione urbana elaborato dal tecnico Lancaster per trent’anni nel quartiere centrale di Dunbar Spring. Un’area spoglia tanto quanto quelle meridionali di Tucson, dove il gruppo di volontari guidato da Lancaster ha cominciato a piantare specie native nel 1996 arrivando oggi ad una copertura davvero notevole. Si sono trasformati i marciapiedi di Dunbar Spring in strisce di bosco ricco di piante commestibili.
«Oltre 400 specie diverse native del deserto di Sonora» racconta Lancaster. «Ci siamo concentrati su quell’aspetto». Il bosco alimentare oggi viene definito una «dispensa vivente», e Lancarster ci dice che un quarto del cibo di cui si nutre, e la metà di ciò che mangiano le sue capre nane nigeriane, viene proprio da quel bosco. «Percentuali che potrebbero anche essere molto maggiori se raccogliessimo dedicandoci più tempo». Gli oltre 1.700 alberi piantati hanno assorbito e immagazzinato una tonnellata d’acqua — cosa preziosissima nel deserto di Sonora — bevendo acqua piovana che altrimenti sarebbe finita dentro qualche tombino dalle superfici asfaltate.
Un’altra iniziativa di bosco alimentare ben lanciata è quella della Old West Church a Boston, dove i volontari per dieci anni hanno trasformato un prato pubblico in un frutteto di meli, peri, ciliegi, che crescono sopra arbusti di fiori e orti di verdure. Che producono pomodori, melanzane, meloni invernali, donati al Women’s Lunch Place, rifugio per donne senza casa fissa, come ci racconta Karen Spiller, docente di sistemi alimentari sostenibili all’Università del New Hampshire e membro della Old West Church che partecipa al progetto. «Si può raccogliere quando si desidera. Il modello non è paga un dollaro e prendi una mela: la raccogli e te la mangi». Si tratta del modello etico che Merchant applicare a Tucson: baccelli di mesquite che tutti possono raccogliere liberamente, e poi magari assaggiare le frittelle al fresco all’ombra in un giorno di caldo.
da: Grist, 29 gennaio 2024: Titolo originale: Hot? Hungry? Step inside these food forests – Traduzione di Fabrizio Bottini