In genere si resta disorientati e basiti davanti a chi sostiene le proprie posizioni sulla base del possesso di «dati» nella forma di indiscutibili cifre tabelle elaborazioni analisi e sintesi. Scordandosi nel proprio scorato disorientamento di andare a vedere l’immancabile bluff, vale a dire prima di tutto ciò che quei dati non danno affatto (in genere la soverchiante maggioranza delle informazioni davvero utili) e last but not least metodo e obiettivo della scelta di cosa inserire o escludere dai conti inoppugnabili. Come l’inclusione delle risorse territoriali non rinnovabili e del loro costo, anche monetizzabile volendo proprio, nei bilanci di sviluppo urbano, che mette subito in crisi la narrazione della crescita isotropa e infinita perché così ineluttabilmente vuole il genere umano tanto ben rappresentato dal mercato delle abitazioni. Ecco: quando si includono davvero questi costi, ecco che improvvisamente la suburbanizzazione appare assai meno ineluttabile, conveniente, carina, adatta alle famiglie e via dicendo. E qualcuno in più si unisce alla schiera di chi da decenni vorrebbe porre fine al disastro consumista chiamato sprawl, e iniziare sul serio a ragionare in termini di urbanizzazione sostenibile. Che a volte significa quella «densificazione» tanto cara a certi architetti progettisti, a volte riflettere sulla composizione funzionale meno segregata di quartieri e settori, altre ancora cancellare il monopolio dell’auto e dei suoi derivati da mobilità e stili di vita, oppure un po’ di tutte queste cose insieme.
Sostenibilità
Perché non possiamo più permetterci anche economicamente, di buttare via così risorse i cui costi vengono occultati da metodi di calcolo faziosi elaborati quando mancavano le conoscenze ambientali disponibili oggi, o quelle sugli effetti di medio o lungo periodo di certe scelte, per esempio infrastrutturali o urbanistiche. Il fine dell’insediamento umano sul territorio è forse un teorico equilibrio finanziario, immobiliare, economico-politico? Anche, diciamo pure, ma se dobbiamo utilizzare un indice di valutazione affidabile forse (anche in termini di «mercato» inteso come domanda-offerta) forse quello della abitabilità di medio lungo periodo pare più serio di tante tabelline truccate. Osservato nel suo insieme anche in prospettiva storica il modello suburbano disperso non offre alcuna garanzia, e quindi da un lato occorre tornare alla città interna in senso fisico, traslocando lì persone aspirazioni attività, e modificandone dove possibile difetti; d’altro canto procedere sia alla trasformazione del suburbio, sia al ripensamento delle nuove eventuali espansioni. Non sono certo diffidenze intellettuali nei confronti del modello suburbano, a ispirare utopici ritorni alla città storica del passato né al modello industriale-razionalista di elevate densità classico. È un oggettivo bilancio energetico, economico, sociale, ambientale e climatico, fallimentare, a dirci che bisogna voltare pagina, e iniziare ispirandosi a quel che già conosciamo, studiando nuove soluzioni più avanzate.
Piano-programma
Al solito la questione, se in qualche misura si vogliono indurre cambiamenti radicali (e il non pensare più alle risorse naturali come infinite lo è senza alcun dubbio) negli stili di vita e aspirazioni umane, è quella di fissare obiettivi di massima condivisi, articolarli per settori i cui sviluppi siano scientificamente monitorabili, ed eventualmente puntare su uno strumento-simbolo chiave. Quello delle forme dell’urbanizzazione appare senza dubbio adeguato, visto che funge sia da contenitore che da immagine tangibile di questo mutamento, anche se forse presentarlo come «passaggio da un immaginario suburbano a uno metropolitano» può apparire fuorviante e foriero di equivoci. Un piano programma in questa direzione, da attuare poi per progetti pubblico-privati, parte da una fotografia dello stato attuale sociale, politico, di aspirazioni individuali e collettive, e dei relativi problemi indotti: la qualità della vita, le aspettative delle famiglie, ricchezza e fonti della ricchezza, informazione e partecipazione, conoscenze tecnico-scientifiche e culture. Una volta stabiliti gli obiettivi di massima (per esempio il contenimento o blocco nel consumo di risorse non rinnovabili) se ne fissano i comparti di riferimento dentro la forma insediativa urbana e territoriale: la rete delle infrastrutture e dei trasporti connessa al sistema socioeconomico, i nodi di interesse e correlazioni tra attività e risorse, le eventuali invarianti geografiche, climatiche, o politico-amministrative se esistono limiti del genere all’azione. Ed ecco che, entro una cornice forse complessa ma certo trasparente e verificabile di questo tipo, anche progetti controversi discussi e forieri di conflitti (per esempio il passaggio dal monopolio automobilistico-individuale a una mobilità più articolata e sostenibile) trovano sbocco e ricomposizione. Tutto per aver «monetizzato» le risorse ambientali e trasformato quella monetizzazione in strumento anziché fine!
Riferimenti:
Australian Infrastructure Audit 2019