Il concetto di bacino alimentare locale

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Foto J. B. Gatherer

Dovrebbe essere piuttosto chiaro e evidente a tutti, quanto la definizione dei confini amministrativi origini anche in gran parte da questioni alimentari e produttive agricole. In positivo, diciamo così, perché c’è una massa critica di territorio tale da garantire prima il sostentamento e poi il decollo di qualche genere di sviluppo locale. E per contro in negativo perché in tempi più recenti con il modello di crescita urbano-industriale spesso gli stessi confini amministrativi coincidono con decisioni di uso del suolo diverse e specializzate, schematicamente più o meno orientate alla diretta produzione di alimenti. L’affermarsi del modello industrialista fa sì che vocazione quasi naturale di chiunque può permetterselo sia stata per un lungo periodo la rapida crescita dell’urbanizzazione, del consumo di suolo a usi produttivi e infrastrutture, cancellazione di superfici produttive agricole e naturali, scarsa cura nel risparmio di risorse, sino all’ultima emergenza del cambiamento climatico. Solo di fronte alla evidente crisi del modello, si è iniziato a riflettere sulle possibilità ldi tornare verso sistemi più equilibrati anche dal punto di vista alimentare, delle risorse naturali, e naturalmente della qualità insediativa-abitativa.

I confini del tavolo da pranzo

Il continuo quanto piuttosto superficiale interesse della stampa di informazione generale sui temi dell’alimentazione, dell’agricoltura più o meno urbana, del km0 interpretato a dir poco variamente, fa spesso pensare che i bacini di riferimento di un sistema integrato siano molto più piccoli di quanto in realtà non accada, storicamente e ancora oggi. Si pensa cioè a una «autosufficienza» che non è proprio tale, oppure che sarebbe raggiungibile solo in minima parte e solo a condizione di ribaltare consolidate regole di convivenza. Se per esempio guardiamo a tante attività peraltro fiorenti di produzione in ambiente cittadino, sul modello vertical farm, o orti di quartiere, o idroponia eccetera, scopriamo di fatto che si tratta quasi sempre di prodotti ad alto valore aggiunto ma basso impatto alimentare rispetto alla dieta, come erbe aromatiche, o verdure da contorno. Assicurare una quantomeno corposa copertura delle necessità alimentari, in un passaggio relativamente breve ma credibile dal campo al piatto, come si suol dire, richiede di ragionare a scala di regione urbana, ovvero su una massa territoriale che nei paesi occidentali corrisponde a un grosso capoluogo, a centri minori separati di una certa entità (con masse demografiche di qualche milione) e a superfici e ambienti vari, a comprendere pianure, corsi d’acqua, eventualmente un affaccio sul mare, alture, montagne. Pur senza arrivare alla nozione geografica di megalopoli, o sistema urbano-territoriale, sono perlomeno queste le dimensioni di riferimento.

Le spighe sgranocchiate così non sono buonissime

Oltre le quantità del territorio, l’equazione del bacino autosufficiente locale deve comprendere le qualità, urbane, sociali, storiche dell’area, integrandole al sistema. L’obiettivo, è di evitare una improbabile marcia indietro delle lancette dell’orologio verso epoche di felicità rurale improbabili, garantendo invece innovazione scientifico-tecnica e organizzativa per ri-orientare saperi e attività cresciute in era industriale. Perché esiste pur sempre una divisione di massima tra estrazione di materie prime, varie fasi di lavorazione intermedia, distribuzione e consumo finale. Se nella città industriale (e nella indifferenza relativa alle distanze) trionfa la specializzazione, nel bacino alimentare integrato appare più evidente l’interdipendenza: il campo di grano, il mulino, il fornaio e il suo garzone; e poco distante il pascolo, le stalle, il laboratorio dove si produce il formaggio, il chiosco sulla piazza del mercato. Tutto, giusto per avere un paio di crostini da spuntino, figuriamoci il resto indispensabile a tenerci in piedi, in buona salute, e magari anche orgogliosi di invitare a cena ospiti venuti da lontano. Dovrebbero bastare questi pochissimi cenni, almeno a introdurre il tema di come tutelare, sviluppare, definire e promuovere una regione alimentare urbana integrata nel terzo millennio, grazie alla pianificazione territoriale e alla programmazione economico-ambientale.

Riferimenti:
Ontario Federation of Agriculture, Environmental Defence, Farmland at risk, rapporto novembre 2015

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