Il Consorzio Intercomunale Milanese per l’Edilizia Popolare, CIMEP (1969) Parte seconda

Due fenomeni hanno contraddistinto e condizionato lo sviluppo dell’Hinterland milanese: il massiccio flusso immigratorio; il disordinato sviluppo edilizio a «macchia d’olio». Prendiamo ad esempio la popolazione residente nei comuni aderenti al PIM (Piano Intercomunale Milanese): nel 1951 essa rappresentava il 74,3 per cento della popolazione dell’intera provincia, con 1.862.000 unità; nel 1961 saliva al 77,8 per cento con 2.459.000; nel 1964 raggiungeva il 78,6 per cento con 2.714.000 abitanti. Le conseguenze di questo fenomeno sono evidenti: un imponente movimento di lavoratori pendolari e una corrente di traffico verso le zone in cui sono concentrati certi servizi essenziali. Ne derivano direttamente gravi squilibri anche negli insediamenti residenziali. Era quindi necessario provvedere a pianificare lo sviluppo edilizio, allo scopo di evitare che l’espansione irrazionale compromettesse in modo definitivo e irreversibile l’intera area metropolitana. Assumeva, perciò, un’importanza decisiva il problema delle scelte sulla quantità, qualità, ubicazione degli insediamenti. Bisognava prevedere quale doveva essere in futuro il volto della città, ma soprattutto della sua area metropolitana.

Il primo studio in tal senso lo elaborava il PIM (Piano Intercomunale Milanese). Occorreva però un organismo che, sulla base delle indicazioni del PIM, potesse concretamente realizzare gli interventi nel campo dell’edilizia economica e popolare, a livello comprensoriale. Fu costituito così il 16 marzo 1965 il Consorzio Intercomunale Milanese per l’Edilizia Popolare (CIMEP), che ha concretamente iniziato la sua attività nel secondo semestre del 1967, sotto la presidenza dell’assessore Cannarella. Il Consorzio, che può largamente utilizzare la legge 167 sull’acquisizione di aree, vuole essere l’espressione della pubblica iniziativa nell’intero territorio del comprensorio per uno sviluppo armonico degli insediamenti urbani e dei relativi servizi (strade, fognature, scuole). C’è una stretta collaborazione – non soltanto di sigle o di uomini – fra il CIMEP e il PIM. Le scelte dell’uno non sono contrastanti con quelle dell’altro. Entrambi intendono assicurare non soltanto l’individuazione dei problemi e il loro ordine di grandezza, ma soprattutto la loro soluzione attraverso efficaci interventi operativi.

Vediamo alcuni dati di raffronto fra i due organismi. È pur vero che soltanto il 66,33 per cento dei Comuni del PIM hanno fino ad oggi aderito al CIMEP; ma, considerando l’estensione territoriale, questa percentuale muta: infatti l’area di azione del Consorzio, coi suoi 62.443 ettari copre il 74,60 per cento della superficie totale del PIM. Ancora più si accentua questa percentuale se si guarda alla popolazione: quella dei Comuni aderenti al CIMEPè pari al 94 per cento della popolazione del comprensorio del PIM. I dati da esaminare sono questi ultimi due, contrapposti: il rapporto territoriale da una parte, quello demografico dall’altra. Si deve premettere che negli ultimi venticinque anni la popolazione del Comune di Milano e quella della fascia dei Comuni compresi fra i 20 e i 40 chilometri da Milano è aumentata uniformemente del 30 per cento; invece la popolazione dei Comuni compresi entro 20 chilometri dai confini di Milano è aumentata del 65 per cento. È necessario, quindi, un riequilibrio all’interno del territorio, con un preciso obiettivo: un alleggerimento delle aree congestionate. E questo è lo scopo ed è l’impegno del CIMEP, in collaborazione con il PIM e con il Comitato Regionale per la programmazione economica.

Chiudiamo queste note sull’edilizia popolare a Milano, appunto, con questa indicazione. Milano, distrutta nel suo cuore urbanistico venticinque anni fa, allarga ora le proprie vedute ben al di là del suo territorio comunale. Vuole essere quello che la sua popolazione (originaria e immigrata) chiede che sia: una grande città europea, che dà a tutti i suoi abitanti condizioni di vita e di lavoro degne di un vivere umano: una città-metropoli fatta a misura dell’uomo.

RELAZIONE: ADOZIONE DEL PIANO CONSORTILE

Mantenendo fede agli impegni programmatici a suo tempo assunti viene proposto all’adozione il Piano consortile per l’acquisizione delle aree desinate all’edilizia economica e popolare ai sensi della legge 18 aprile 1962 n. 167. Come è ormai ampiamente noto il piano si presenta come assemblaggio critico dei piani comunali preesistenti, formula nella quale sono essenzialmente contenuti 3 principi:

  1. conglobamento dei piani zonali preesistenti;
  2. eliminazione delle aree che risultavano urbanisticamente non felici, nei limiti in cui tale giudizio era condiviso dalle Amministrazioni comunali interessate;
  3. individuazione di altre aree e revisioni parziali, in zonizzazione o in normativa realizzabili con l’accordo delle Amministrazioni comunali.

Questa impostazione discende da una precisa scelta. Teoricamente, sulla base delle elaborazioni effettuate nel corso di un anno, si sarebbe potuto predisporre un progetto di piano consortile del tutto indipendente dai piani comunali esistenti, salvo le confluenze di aree verificabili a posteriori, ma sarebbe stato un modo di procedere astratto, una vera e propria rottura di continuità non giustificata sul piano urbanistico e metodologico.

Si è invece preferito affermare con molta chiarezza, già in fase di elaborazione del Piano, che esso deve corrispondere compiutamente alle esigenze e alla volontà delle amministrazioni comunali, interpreti non solo più legittime, ma soprattutto più valide della complessità dei problemi che, ponendosi esclusivamente su scala diversa, potrebbero venire assunti in modo troppo semplificato. La corrispondenza del Piano consortile alle scelte sostanziali delle singole Amministrazioni costituisce la prima e maggior garanzia di rispetto della volontà dei Comuni. Un’ulteriore garanzia è ora fornita dalla procedura di adozione del Piano. Dopo che l’Assemblea avrà deliberato, ogni Consiglio comunale sarà chiamato a deliberare a sua volta il progetto ai sensi dell’art. 15 dello statuto. Il Piano non sarà sottoposto al riesame dell’Assemblea per le «deduzioni» sulle opposizioni e osservazioni, e quindi non sarà inviato agli organi governativi per la superiore approvazione prima che i Comuni si siano pronunciati. Questo naturalmente garantisce le singole Amministrazioni comunali ma impegna anche il loro senso di responsabilità.

Tutti i rilievi che i Comuni effettueranno saranno considerati in sede di nuova deliberazione dell’Assemblea consortile prevista dalla legge per le c.d. «deduzioni». Saranno conseguentemente introdotte tutte le necessarie variazioni al progetto attuale, anche se esse comporteranno una più o meno ampia ripetizione della procedura per la parte del progetto modificata. Il Piano consortile ha come supporto l’insieme degli strumenti urbanistici dei Comuni consorziati. Poiché esso introduce delle varianti, specialmente per Milano, rispetto alle previsioni urbanistiche di tali strumenti l’approvazione definitiva del Piano compete a norma al Ministero dei LL.PP. Fino a che non sarà intervenuta l’approvazione ministeriale continueranno a rimanere in vigore a tutti gli effetti i Piani di edilizia economica e popolare dei Comuni consorziati.

Le caratteristiche tecniche del Piano consortile sono illustrate nella relazione e nelle allegate tabelle.Va ricordato che, pur partendo dall’assemblaggio critico dei piani esistenti, il 25% delle aree recepite nel Piano consortile, e in particolare quelle di Milano, costituiscono proposte nuove, sempre di iniziativa comunale o concordate con il Comune interessato. Per il restante 75% si deve considerare come fatto innovativo l’introduzione di norme tecniche di attuazione unificate, che peraltro rispettano le volumetrie indicate dai Comuni, e in qualche caso la modificazione della rappresentazione grafica dell’azzonamento per renderla omogenea. Infatti una caratteristica del Piano consortile è di avere sostituito nei pochi casi in cui si presentavano, le indicazioni di tipo planivolumetrico con il semplice azzonamento. Logicamente le indicazioni planivolumetriche saranno tuttavia recuperate, qualora i Comuni lo ritenessero necessario, nei piani esecutivi previsti dalle norme tecniche.

Queste innovazioni contribuiscono a conferire al Piano consortile un buon grado di organicità, non contraddetto dal criterio base di assemblaggio. Ciò perché il livello qualitativo dei preesistenti piani comunali era particolarmente elevato, in quanto i progettisti avevano di regola curato il loro inserimento in un discorso di riorganizzazione complessiva del territorio. Il calcolo del fabbisogno di aree per determinare la dimensione del Piano consortile è stato effettuato in conformità ai criteri suggeriti nelle circolari ministeriali. Per l’incremento demografico si è tenuto conto dell’incremento demografico obiettivo P.I.M. (500.000 nuovi abitanti) confermato dall’incremento demografico medio nei Comuni del C.I.M.E.P. per gli anni 1966/68 (48.393 annui). Va peraltro annotato che i dati statistici disponibili sugli incrementi migratori più recenti rivelano un aumento del 6% dell’immigrazione e una flessione del 18% dell’emigrazione. Tali variazioni sono riconducibili all’andamento favorevole dell’economia, che sta creando una situazione di piena occupazione. Attribuendo al Piano consortile una capacità insediativa pari al50% (minimo proposto dal Ministero) si avrebbe una prima previsione di 240-250.000 vani per le sole esigenze connesse all’incremento demografico dell’area.

Ad esse debbono aggiungersi quelle connesse alla necessità di abbassare l’indice di affollamento e di tener conto dei processi di rinnovamento edilizio. I dati statistici che si possiedono a questo riguardo sono piuttosto scarsi ma sufficientemente indicativi. Privo di significato è invece, specie per Milano, l’indice generico di affollamento, che prende in considerazione come residenziali tutti gli edifici denunciati come tali in sede di collaudo, e quindi ignora completamente il fenomeno massiccio e crescente della trasformazione d’uso degli edifici medesimi. Inoltre la correlazione fra indice di affollamento e condizioni socioeconomiche delle famiglie, determinante per una valutazione specifica del fabbisogno arretrato di edilizia economica e popolare, evidenzia situazioni estremamente gravi: così per es. uno studio recente dello studio statistico del Comune di Milano ha dimostrato che il raggiungimento effettivo di un abitante per locale comporterebbe nella sola Milano il soddisfacimento di una domanda arretrata di oltre 220.000 stanze da parte di nuclei famigliari a basso reddito; quindi non in grado di accedere al libero mercato. Il dato trova conferma in un’indagine del CRESME che indica in 1,90 l’indice medio di affollamento per le famiglie operaie, 1,21 per gli impiegati, 1,32 per i pensionati.

Anche il processo di rinnovamento edilizio legato a caratteristiche obiettive di vetustà e degrado del patrimonio edilizio sta subendo una brusca impennata, sia pure legata a cause congiunturali. Le demolizioni liberano notoriamente una domanda di alloggi a basso costo che non può incontrarsi con l’offerta del nuovo costruito sulle medesime aree, e quindi incrementano il problema di espulsione di questo tipo di popolazione, quando non intervenga tempestivamente l’iniziativa pubblica. Queste considerazioni portano a concludere che la capacità insediativa globale proposta dal Piano consortile, che risulta al di sotto dei 300.000 nuovi locali, lo caratterizza indubbiamente come un Piano di minima, che potrà subire delle integrazioni aggiuntive allorché sarà possibile definire in termini più analitici e compiuti le situazioni e i processi a cui si è fatto cenno.

Le indicazioni di carattere urbanistico emergenti dal Piano consortile vanno viste nel quadro della pianificazione urbanistica generale del P.I.M. Noi sappiamo che si è assistito fino ad oggi ad una progressiva espulsione della residenza dal centro dell’area metropolitana e questo fenomeno ha colpito in particolare i ceti a basso reddito. Esso ha provocato inoltre, in concomitanza con il forte incremento demografico degli anni passati, un disordinato sviluppo residenziale nelle fasce periferiche urbane e suburbane. Contestualmente si è verificata una concentrazione di funzioni terziarie e direzionali nell’area centrale, che ha aumentato la congestione soprattutto nei settori della viabilità e dei trasporti. È chiaro che la residenza ha avuto in tutto questo una posizione subalterna, cioè ha subito anziché orientare il processo generale di sviluppo dell’area.

Ora il Piano consortile può e deve dare un contributo determinante per la correzione della tendenza, puntando anzitutto sulla creazione di un sistema infrastrutturale minore su tutto il territorio, nel senso che ogni intervento residenziale non solo dovrà prevedere al suo interno il soddisfacimento dei propri fabbisogni di attrezzature di servizio, ma dovrà anche rappresentare un parziale recupero di fabbisogni arretrati. Un dato significativo a questo riguardo è lo standard per abitante delle aree destinate ad attrezzature pubbliche. Esso è di mq. 24,3 mentre quello indicato dal Ministero è di mq. 18. Un secondo tipo di intervento correttivo riguarda in modo specifico la revisione del Piano di 167 del Comune di Milano. L’idea informatrice del vecchio piano milanese, di creare gradi quartieri autosufficienti alla periferia, è radicalmente abbandonata. I lotti di questo tipo non ancora utilizzati vengono quasi tutti soppressi e sostituiti da piccoli lotti che consentono la costruzione di un numero equivalente di vani, ma che appaiono il più possibile inseriti nel tessuto edilizio urbano fino ad attingere aree subcentrali di alto pregio.

La realizzazione di questi lotti servirà egregiamente a verificare, anche in termini di costi, le possibilità reali di usare la legge n. 167 per opporsi al processo di terziarizzazione e di espulsione della residenza non privilegiata dal centro dell’area metropolitana. Inoltre questi piccoli lotti hanno di regola un’alta dotazione di servizi, come per esempio il verde, di cui è sentita più acutamente la carenza in queste zone, che pertanto verrebbero riqualificate. La revisione del Piano di 167 di Milano affronta solo marginalmente in questa prima fase il tema della ristrutturazione. È però già previsto che in una seconda fase, sulla scorta dei necessari piani particolareggiati, saranno investite dal Piano consortile anche vaste aree di rinnovamento urbano oggi degradate o occupate da attività produttive il cui insediamento non costituisce il più vantaggioso uso del suolo.

Una terza indicazione è fornita dalla previsione di di cospicui insediamenti residenziali ad alto livello di attrezzatura in aree esterne oggi ancora poco strutturate, ma caratterizzate da alti gradi di accessibilità. Sono di questo tipo gli insediamenti proposti a Cernusco sul Naviglio, Bussero e Vimodrone, tutti in prossimità delle stazioni celeri dell’Adda, e ancora quelli in San Giuliano, sull’asta dell’Emilia, in Gaggiano sulla Vigevanese e in Senago in adiacenza al previsto parco delle Groane. Tali interventi si pongono come esemplificazione concreta di un futuro assetto dell’area, in funzione di un riequilibrio urbanistico che deve considerarsi soltanto avviato. N ultimo aspetto che deve essere considerato come caratteristica peculiare del Piano è la gestione consortile. La gestione consortile unitaria del Piano significa:

  • capacità finanziaria di intervento su scala del tutto sconosciuta alle singole amministrazioni comunali dell’hinterland;
  • capacità di impostare una strategia di attuazione mediante piani esecutivi annuali, tenendo conto della dinamica urbanistica dell’intera area metropolitana;
  • capacità di interloquire alla pari con tutti gli operatori pubblici e privati in rappresentanza degli interessi comunali, per il coordinamento degli interventi;
  • capacità di adeguare progressivamente il piano al mutare della situazione di fatto e della pianificazione generale di quadro. La flessibilità è, in altre parole, una caratteristica programmata del Piano consortile, che già postula momenti di variazione parziale e di aggiustamento in sede attuativa, con particolare riguardo alle scadenze che saranno costituite dalla definizione del nuovo P.R.G. di Milano e dalle specificazioni del Piano urbanistico comprensoriale ad opera del P.I.M.

Le previsioni di spesa per l’attuazione in un decennio del Piano possono essere riassunte in queste tre cifre:

  • Lire 70.000.000.000 circa, costo delle aree
  • Lire 21.000.000.000 circa, costo delle opere di urbanizzazione primaria
  • Lire 50.000.000.000 circa, costo delle opere di urbanizzazione secondaria

Per quanto riguarda i problemi di finanziamento , si dovrà puntare su riforme legislative, già richieste da altri Enti, che determinino una diminuzione sostanziale e generalizzata del costo del denaro per questo tipo di imprese. Per quanto riguarda il reperimento delle risorse economiche, l’attuazione del piano consortile costituirà fin dal principio l’occasione per una verifica della disponibilità di tutte le amministrazioni locali e centrali interessate a un discorso di programmazione effettivamente operante e quindi impegnativo. Affidamenti precisi e tangibili già si sono avuti dal Comune di Milano: un impegno corrispondente sarà richiesto all’Amministrazione Provinciale; le possibilità dei Comuni saranno verificate utilizzando le analisi elaborate nell’ambito del P.I.M. A livello ministeriale sono in corso iniziative sia per quanto riguarda una razionalizzazione e integrazione degli interventi statali riferiti ai vari tipi di opere pubbliche. A livello ministeriale sono già in corso iniziative sia per quanto riguarda la possibilità di disporre di fondi GESCAL, sia per quanto riguarda una razionalizzazione e integrazione degli interventi statali riferiti ai vari tipi di opere pubbliche. Infine non deve essere sottovalutata la parte che potrà avere la così detta «edilizia convenzionata», cioè la partecipazione dell’operatore privato nella realizzazione del Piano, come prevista dalla legge n. 167.

Da tutto quanto detto emerge ancora una volta con forza il grande significato sperimentale che l’iniziativa del C.I.M.E.P. assume a livello nazionale. E non si tratta solo di sperimentare genericamente le possibilità di successo di un Piano consortile di edilizia economica e popolare, ma di verificare il funzionamento di uno strumento operativo di settore che interviene all’interno di una pianificazione urbanistica avente come ambito di azione una vera e propria area metropolitana. È significativo a questo riguardo che il C.I.M.E.P. costituisca il primo e per ora unico Consorzio nel milanese che comprende anche il Comune di Milano. Perciò il Piano consortile rappresenta il banco di prova della vocazione democraticamente comprensoriale dell’Amministrazione Comunale milanese e, d’altro canto, esso darà la misura della capacità effettiva dei Comuni dell’hinterland di non lasciar cadere questa proposta, superando cioè ogni visione angustamente localistica e assumendo un atteggiamento che bandisca incertezze e chiusure e dia invece credito alle grandi possibilità di questo rapporto societario e solidaristico che il Piano consortile istituisce ormai nei fatti.

da: Città di Milano n. 12/1969 (vedi qui la Prima Parte del medesimo estratto)

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