Nel 2017 il miliardario Elon Musk sempre impegnatissimo contro ogni genere di trasporto collettivo da sostituire con le sue auto private magari dentro a qualche futuristica galleria riusciva però a cogliere il punto a sfavore del mezzo pubblico: «Credo che i trasporti pubblici siano una sofferenza … Perché si dovrebbe aver voglia di salire su un mezzo insieme a tanta altra gente che non sta andando in realtà dove noi vorremmo andare, né nel momento in cui vorremmo farlo noi, né partire da dove ci fa più comodo e arrivare quando ci piace? E peraltro a volte non arrivarci affatto. Ecco perché non piacciono a nessuno. Per non parlare del fatto di starsene in mezzo a perfetti sconosciuti tra cui per qual che ne sappiamo potrebbe nascondersi anche un serial killer, proprio fantastico eh? Ed ecco perché la gente preferisce i trasporti individuali, che ti portano dove vuoi quando vuoi».
Se ci lamentiamo perché un mezzo di trasporto non parte là dove vorremmo che partisse, non va dove vorremmo che andasse, e non funziona di continuo, stiamo definendo un trasporto inadeguato, come spesso è quello pubblico. Che quando ha finanziamenti adeguati e si appoggia su un contesto urbano adeguatamente programmato riesce invece a fare tutte queste cose per tantissime persone, anche se certamente non proprio per tutti e ancora più certamente non per Elon Musk. Ma è ancora più fondamentale l’altro aspetto toccato da Musk. Usare il trasporto pubblico ci mette in balia di qualunque perfetto sconosciuto è quello è davvero un super-potere. Nei casi migliori avviene che persone diverse con scopi e destinazioni diverse trovino utile il medesimo mezzo nello stesso momento. E anche che l’utenza di una rete di mezzi pubblici sia diversificata tanto quanto la città o quartiere che serve. Tanti tipi di persone che compiono tanti tipi di spostamento, e sempre tutti una massa di perfetti sconosciuti per gli altri.
La domanda di specializzazione
Gli esseri umani apprezzano trascorrere del tempo coi propri simili, quindi non sorprende affatto che chiedano servizi di trasporto pubblico, ma meglio ancora sarebbe dire per un pubblico che gli assomiglia. Agli enti responsabili del servizio costantemente si ricordano le esigenze di specifici gruppi. Servizi per anziani, per studenti, per turisti, per pendolari, per lavoratori nelle mansioni urbane chiave. E ciascuno di questi gruppi necessita o preferirebbe cose lievemente diverse, sempre con un proprio rappresentante che le rivendica in esclusiva. Con questo genere di stimolo pare naturale iniziare a pensare che ciascun gruppo meriti una programmazione di servizio personalizzata, che ruota attorno a bisogni specifici individuati. Ne deriverebbero diverse linee che percorrono la medesima strada collegando le stesse destinazioni. Magari veicoli un po’ diversi, con tariffe lievemente diverse, o addirittura un gestione diversa. Anche le tecnologie sarebbero diverse, per esempio un treno che scorre parallelamente a degli autobus.
In questa situazione vengono proposti servizi che di fatto non si rivolgono in particolare a nessuno. E se due autobus scorrono paralleli, o un treno con un autobus, si tratta di due servizi che fanno quella e solo quella cosa. Ovvero raggiungere una meta che nessun altro raggiunge, o offrire corse più frequenti, o magari effettuare corse fino a più tardi. Mettere insieme tutte quelle alternative allargherebbe di molto i bisogni a cui risponde il servizio e l’utenza potenziale, in un modo impossibile quando esistono diversi servizi paralleli. Nessun ente gestore di trasporti pubblici possiede risorse infinite, e quindi la programmazione dei servizi deve contare su bilanci limitati. Quindi bisogna resistere alle spinte per considerare individualmente ciascun gruppo e i suoi specifici bisogni. Occorre invece ragionare su chi complessivamente può trovare utile una certa offerta, così che tanti diversi utenti possano condividere il medesimo veicolo e il costo piuttosto oneroso del suo conducente. In pratica invitiamo una massa di perfetti estranei sul medesimo treno o autobus, e quanto più sono diversi l’uno dall’altro tanto più avremo azzeccato l’offerta.
Spesso quando col mio gruppo di lavoro inizio il programma di una rete di trasporti, ho a che fare con gruppi di interesse che si presentano con un preciso progetto di rete dei percorsi e servizi di cui hanno bisogno. L’ente turismo che vuole le navette per le sue destinazioni. La comunità degli affari che ha già una sua carta dei percorsi di pendolari e clienti dei negozi per il centro città. Una associazione che fa riferimento ad una certa zona pensa solo a un autobus che la percorre avanti e indietro. Chiunque, col suo pennarello o magari qualche consulenza di specialista, può costruirsi la propria rete ideale su misura. Che però non può mai assomigliare alla rete ideale per quella città. Che deve invece riuscire ad offrire il medesimo servizio a persone diverse. Un servizi abbastanza buono per tutti anche se magari non tutti lo ritengono ideale.
Il contratto sociale del trasporto pubblico
In alcuni casi pare perfettamente ingenuo poter solo immaginare gruppi diversi di persone che condividono tranquillamente un veicolo. La pandemia COVID-19 ha reso tutti timorosi della compagnia altrui per parecchio tempo. Specie in Stati Uniti e Canada, all’inizio degli anni ’20 si è assistito a un impennarsi di problemi psicologici che spesso si traducevano in comportamenti antisociali in pubblico. Questioni ampiamente riportate dai media, e che certamente hanno contribuito alla riluttanza a condividere piccoli spazi con estranei. Aspetto importante della lentezza con cui gli utenti hanno ricominciato a usare il trasporto e delle difficoltà degli Enti di gestione ad assumere conducenti. Ciò che definisco educazione – la sensazione di essere benvenuti e rispettati sui mezzi — viene messa in discussione quando un cattivo comportamento finisce per imporsi nell’esperienza di viaggio.
Anche in condizioni normali alcuni gruppi faticano ad essere in armonia. Ho frequentato una scuola superiore che stava vicino a un ospedale, e spesso viaggiavo su autobus carichi insieme di ragazzini e di anziani diretti alle terapie mediche. Questi ultimi gradivano poco la nostra compagnia rumorosa. Adesso che anch’io sono più anziano, reagisco allo stesso modo davanti a quei comportamenti. L’Ente di gestione dei trasporti provò addirittura dopo tante proteste a istituire due autobus diversi, uno per noi studenti e uno per gli utenti dell’ospedale. Ma non si riusciva a rientrare nel bilancio risicato dell’area, con tante zone che di autobus non ne avevano affatto. Su un solo mezzo c’era posto per entrambi i gruppi e la soluzione migliore è che provassimo a convivere.
Noi ragazzini ricevemmo diverse lavate di capo da qualche conducente, e col tempo imparammo a comportarci in un modo che magari non ci piaceva ma riuscivamo a sopportare. Miglioravamo noi e anche gli anziani diventavano un po’ più tolleranti. E forse l’autobus sarebbe stato anche migliore con un po’ più di diversificazione. Noi studenti dal punto di vista numerico eravamo predominanti, e ci conoscevamo tutti tra di noi. Ciò faceva si che agissimo come se fossimo da soli. Mentre se ci sono parecchie persone diverse sullo stesso mezzo, nessuno ha quella sensazione e tutti si comportano meglio.
Il trasporto pubblico si basa su una sorta di contratto sociale implicito, in cui le persone accettano di comportarsi secondo criteri contenuti così da accettare e farsi accettare. Si sentono spesso stigmatizzare brutti comportamenti sull’autobus anche sui social media, ma si tratta comunque di parte di quel contratto sociale. Ci sarà sempre qualcuno che tende a comportarsi oltre i limiti, specie nelle società dove mancano reti condivise e ci sono certi problemi psicologici che meriterebbero aiuto. Ma se tutti poi considerano quei comportamenti inadeguati, ciò significa di fatto che il contratto sociale tiene, quel mezzo pubblico funziona.
Per chi abita in una città ciò può apparire ovvio. La convenzione del mezzo pubblico è la stessa dello spazio pubblico, del parco, della piazza, del banale marciapiede. La maggior parte delle persone percepisce i segnali di comportamento accettabile e i suoi limiti, dentro quell’ambito e interazioni. Aspetto importante è che spesso l’equilibrio smette di esistere, qualcuno si allontana troppo dai limiti accettati e respinge gli altri. Diventa necessario intervenire d’autorità. Se viene meno il contratto sociale, o diventano troppi coloro che fanno sentire minacciati o a disagio, il trasporto pubblico ne soffre, come accaduto dopo il COVID-19. M ane soffrono anche il marciapiede, la piazza, il parco, ovvero l’intera città. Non a caso dopo la pandemia si parlato sia del mezzo di trasporto pubblico che della città: entrambi condividono il medesimo destino.
Se si sta in una zona suburbana o rurale abituati a circolare in macchina, non si sta a proprio agio in compagnia di persone diverse estranee, perché è una cosa che non accade nella vita quotidiana. Se si va in macchina da casa al centro commerciale o al lavoro in un palazzo per uffici in mezzo a un parcheggio, non si passa tanto tempo nello spazio pubblico dove chiunque ha diritto di stare. Così, l’implicita diversità dei frequentatori di un autobus, o di una via, appare una minaccia.
Sono cresciuto a Portland, Oregon, in un’epoca in cui quella città non era tanto diversificata, e molto prima che si imponesse quell’immagine di sicurezza pur nella libertà di vari comportamenti personali. Avevo quattordici anni quando per la prima volta andai in una grande città complessa come San Francisco. Uscendo in superficie alla stazione Powell del BART (Bay Area Rapid Transit) su un marciapiede del centro, fui preso dal terrore. Tante persone estranee e diversissime, da me e tra di loro, alcune che si comportavano in modi che non avevo visto mai. Poi nel giro di pochi mesi imparai a non considerare più la diversità come sinonimo di pericolo, sviluppando una sensibilità più sottile sui limiti di quello che era davvero una minaccia. Bisogna impararlo, se si sta in una grande città e si usano i mezzi pubblici: come ogni cosa, richiede un po’ di pratica.
I paragrafi sono un estratto dal libro Human Transit: How Clearer Thinking about Public Transit Can Enrich Our Communities and Our Lives, nella edizione rivista dall’autore Jarrett Walker per la Island Press. Li propone la rivista Next American City, 9 febbraio 2024 col titolo: Individualism Is Making Public Transit Worse – Traduzione di Fabrizio Bottini