Nel luglio 1907 alla vigilia del prestito di 70 milioni del comune di Milano, esponevo nel Sole un’idea che in due anni ebbe modo di maturare e perfezionarsi. Era la proposta, su cui ritorno, di un Corso, solo degno di un tal nome a Milano, nella direzione esatta dell’asse del Duomo, da aprirsi partendo dalla piazza e lungo una decina di kilometri. Scopi di un’opera così ardita e quasi rivoluzionaria per tanti interessi, sono specialmente l’allargamento del centro di Milano, e la creazione di una grande arteria, diremo l’arteria aorta, per la comunicazione colla periferia e con aree senza limiti da offrirsi al rapido e continuo sviluppo della città. Il rettifilo, possibile ed anzi facile in quella direzione rispetto ad ogni altra, combinato ad una conveniente larghezza, oltre a rendere più regolari ed economici tutti i servizi pubblici, risolve specialmente e nel miglior modo il problema di trasportare a distanza considerevole in pochi minuti migliaia di persone con spesa tanto piccola che tale servizio potrebbe essere prestato gratuitamente mercé il solo sacrificio iniziale o naturale aumento di 8 o 9 lire sul prezzo unitario delle aree servite.
Da soli 12 anni cominciò a Milano l’esercizio municipale dei tram ed al suo buon ordinamento deve in gran parte la città l’attuale grandezza. Ma il mondo cammina e se si pensa quanto ha profittato, trasformando idee e abitudini, in una piccola frazione di secolo questo portato dell’elettrotecnica e quanto potrà profittare in avvenire, migliorandosene le condizioni in ragione della sua utilità, le gialle vettura di 40 posti appaiono misere rispetto alle nuove della Ferrovia e a quelle di Monza, insufficienti in certe ore per capacità e frequenza, lente per le via anguste e contorte, sgradite ai passeggeri ed agli abitanti per lo strepito degli ingranaggi, i sibili del trolley e dei cerchioni sulle curve ed il pesante martellamento agli scambi ed ai giunti delle rotaie che scuote i fabbricati. E pure sono il meglio che si possa ottenere in una città che conserva in gran parte la struttura del tempo antico voluta a studiata con criteri opposti all’odierno bisogno, quasi smania, di espansione e di movimento.
Un artista col quale ebbi occasione di discorrere della mia idea, mi voleva convincere che la bellezza delle vie è costituita appunto dalla tortuosità che offre a chi cammina un continuo cambiamento di prospetto e lo ripara da sol leone almeno ad intervalli. Osservai che la testa dell’uomo è mobile sul tronco per sua natura, e che la lunghezza della nuova via sarebbe riuscita tale che il viandante avrebbe veduto il tramonto del sole prima d’arrivare in vetta; essendo poi una sola a Milano avrebbe per ciò stesso costituito una varietà. Altri obiettava che le sue dimensioni avrebbero fatto scomparire tutti gli altri accessi alla Piazza e quasi lo stesso Duomo. Per questo è facile dimostrare che il gran monumento ha tutto da guadagnare dall’ampiezza del contorno che oltre a dargli risalto, estende, socializza la vista della madonnina permettendo al massimo numero di cittadini di goderne ad ogni istante. Il danno alle altre arterie che arrivano al centro è una illusione, trovandosi già oggi stracariche del movimento di transito che per nulla giova ad esse e rende anzi difficile e svia quello utile.
L’esempio classico è il tram di Monza sul corso Vittorio Emanuele; ma più o meno tutti i tram si trovano a disagio nelle vie centrali i cui abitanti hanno da essi più noie che profitto. Certo lo stato attuale è possibile di miglioramento con sacrifici gravi specialmente per la zona orientale e attuabili in lungo periodo d’anni. Ma se anche la grande arteria fosse una sola, come nel corpo umano e come in altre città, ad es. Pietroburgo, rispetto al non possederne alcuna si sarebbe già fatto un passo da gigante, una tappa decisiva verso un avvenire di sviluppo tranquillo e regolare. A chi si lamenta che la vita è divenuta una febbre continua, che tutto il movimento d’oggi è un’esagerazione, che si stava meglio al tempo del Coperto dei Figini, si può rispondere che si doveva allora averla lasciata Milano com’era e conservata tutta un monumento; ma fatta la Piazza del Duomo e preparata la china alla corrente delle tendenze moderne, a cui la popolazione non sembra disadatta, non conviene né è ormai possibile contrariarle.
Solo nell’estensione dei confini potrà ogni carattere, ogni modo di pensare e di vivere trovare l’angolo di suo gusto dove annidarsi. E la nuova Milano avrà almeno un quartiere moderno, mezzo città e mezzo campagna, il solo rimedio all’urbanismo, spazioso tanto che la speculazione smodata sulle aree sia resa possibile e pure intimamente collegata al suo Duomo, che renderà più facile la vita, diradandoli, agli abitanti degli altri quartieri, come concludeva presentandolo quale unico rimedio all’attuale scarsità di alloggi fin l’Associazione dei proprietari di case. Chi per poco tempo ebbe occasione di girare il mondo, resta meravigliato e accorato, se Milanese, di non vedere ancora a Milano neppure una Avenue, un Ring, una Nevski adeguata indispensabile alla sua vita ed al suo sviluppo.
L’asse del Duomo, che diverge leggermente dalla direzione est-ovest, prolungato, a 5 km sfiora i boschi della Chiappa di superficie pari a quella racchiusa dal Naviglio, tocca Corbetta a 21 km e Magenta a 24, coincide colla strada campestre che si stacca da Magenta per Boffalora dove un piccolo monumento rifatto in questi giorni ricorda il generale Espinasse ivi caduto il 4 giugno 1859, e passa 2 km a sud di Novara. Sulla lunghezza del nuovo Corso si deciderà dai nostri figli e forse prima man mano che lo richiederà il bisogno. Certo sorride l’idea e conviene prepararsi ad arrivare fino al Ticino, 31 km con larghezza ridotta dalla piazza d’Armi in là. Il gran viale, i boschi, l’acqua corrente e limpida nell’ampia valle, la caccia, la pesca, il nuoto le corse, saranno per Milano lo sfogo in un giardino naturale e sconfinato. Le battaglie del Risorgimento immortalarono i nomi di Magenta e Boffalora e il pellegrinaggio dei Milanesi a quei campi sarà la passeggiata di tutte le domeniche, se si vorrà rendere veramente memorabile il cinquantesimo anniversario colla prima pietra o colla prima breccia del Corso d’Italia, sorpassando alle cento difficoltà, di forma e di preconcetti con un voto spontaneo e universale della cittadinanza invitata al referendum.
La pendenza di 0,7 per mille quasi uniforme, da 122 a 142 metri su 28 km è impercettibile a chi cammina ed ai veicoli, e favorisce una condotta d’acqua presa dal Naviglio Grande per servizi di fognatura e innaffiamento. Si traversano o si toccano i territori di 11 comuni, Baggio, Settimo, Cusago, Cornaredo, Bareggio, Sdriano, Vittuone, Corbetta, Magenta, Boffalora, Bernate, con una popolazione poco densa e piena di buona volontà di lavorare e di progredire come lo dimostrò la distribuzione di energia delle officine elettriche della società Conti. I kilometri sono ridotti al decimo coi mezzi odierni più rapidi e comodi di trasporto in sede adatta. Un tram omnibus con grandi vetture silenziose e senza sussulti, non avendo ingranaggi e colle rotaie saldate o continue e la presa sotterranea, può portare ogni minuto 100 persone fino alla nuova Piazza d’Armi in 17 minuti con fermate fisse ogni 300 o 400 metri. Un diretto in sede abbassata e sottopassante agli sbocchi delle vie laterali, ogni 3 minuti parte come una saetta compiendo il medesimo percorso in 5 minuti, e in mezz’ora con 7 o 8 fermate arriva alla sponda del Ticino, puntuale come un orologio perché il rettifilo toglie ogni preoccupazione sia per guasti organici che per capricci del conduttore; il meccanismo è tanto semplice che potrebbe agire da solo.
Entrambi i servizi al mattino, mezzogiorno e sera e nelle domeniche quando è disponibile la energia elettrica non utilizzata dall’industria, possono triplicarsi di frequenza arrivando a trasportare 25 mila persone in un’ora in ciascun senso, mentre altrettante e più possono arrivare cogli altri veicoli. Senza contare la bicicletta che filerà diecine di kilometri quasi a volo e senza stanchezza, anche il piccolo automobile elettrico su orizzontale di asfalto liscio, non richiedendo pneumatici e meno di ½ cavallo di forza per correre quanto il tram a 18 km l’ora con 4 persone, può riuscire altrettanto economico e realizzare il sogno di ogni modesta famiglia, lavorare in città e vivere in campagna in una casetta propria con un po’ di giardino. Nel sottosuolo aperto ai due lato della ferrovia centrale sono disposte le tubazioni e condutture per la posta pneumatica, telefono, telegrafo e orologi, acqua e gas, elettricità, calore e freddo, aspirazione della polvere, e altro che oggi appena s’immagina, rendendo oltremodo agevoli la sorveglianza, la manutenzione e i nuovi impianti.
La larghezza, specialmente per la parte in città è naturalmente l’elemento più difficile a determinarsi. Dai primitivi 100 metri si passò a 40 e poi a 60 e si terminò a 80, pari a quella dei corso Indipendenza fuori Porta Monforte. In favore di questo limite sta la larghezza del fronte del duomo, 68 metri, e i pochi metri in più permettono la vista delle due ali laterali che corregge l’impressione della facciata. L’ampiezza della nuova arteria, che al suo inizio deve piuttosto considerarsi come allargamento della Piazza del Duomo e con tale criterio giustificare i sacrifici che richiede, non si può paragonare o commisurare a quella delle vie attuali, come via dante, lunga solo 360 metri e chiusa dal Castello, ma secondo le esigenze di uno sterminato quartiere, sede ambita di ogni sorta di istituzioni, dai grandi palazzi alle case popolari, dalle case di ricovero agli stabilimenti industriali, che tutte si riversano in essa. E se non oggi, certo fra 20 anni gli 80 metri saranno piuttosto pochi che superflui. Dalla sezione sulla tavola allegata si vede che pur riducendo al minimo le larghezze dei marciapiedi, del trottatoio per il servizio locale, della sede del trame della ferrovia centrale, rimangono soli 11 metri per ciascuna delle due correnti contrarie di veicoli liberi a velocità tanto diverse.
Per la grande arteria, unica comunicazione diretta colla periferia, si arriva al centro prima, anche compiendo un quarto di giro sulla Peripolitana, o seconda circonvallazione celere in sede propria, che venendo per le vie attuali. Colla larghezza di 80 metri, a sinistra si passa a 5 m dall’angolo dell’Ambrosiana presso il monumento a Cavallotti; a destra si taglierebbe via tutta la Loggia degli Osii in Piazza Mercanti. E questo, che per molti sarebbe un sacrificio inaccettabile, non si domanda alla nostra generazione. Anzi la Loggia viene completata dalla parte del Corso nel medesimo stile, trasportandola dove ha sede la Camera di Commercio, e liberato il pianterreno delle botteghe, offre col loggiato del vicino palazzo della Ragione un riparo decoroso per mercanti, la cui mancanza è oggi una inciviltà e un ingombro alla circolazione, e la continuazione dei portici della Galleria, ritrovo classico della vita milanese ormai fatto ristretto. Dalle Logge si arriva sotto i portici fino alla Posta e si ha pure uno spigolo sporgente 9 metri dalla linea progettata; questa facciata però non è gran cosa e cogli anni e forse anche subito nell’occasione del prossimo ampliamento può rettificarsi con poco.
Di notevole altro non s’incontra poi che la caserma Garibaldi in piazza S. Ambrogio la quale viene tagliata per metà e i due corpi restanti possono adibirsi con adatte fronti sul Corso a sedi, ben convenienti per la vastità e la posizione, della Pretura, Questura, Tribunale e Corte di Appello, evitando il lungo giro di questi e parecchi altri uffici ora progettato, col conseguente disordine per molti anni e senza una soluzione definita e sufficiente. In prossimità dei palazzi di Giustizia sbocca sul Corso l’attuale via Brisa, che opportunamente allargata è il principio di un’altra grande arteria già esistente, per Foro Bonaparte, via Legnano e Farini, comunicazione diretta col nuovo quartiere Nord. Il resto dei fabbricati importanti che s’incontrano è un computo di milioni, una ventina, senza compenso diretto, e riguarda specialmente il palazzo di fronte al Duomo (la gran muraglia), il palazzo Feltrinelli fra le vie Cesare Cantù e Vittor Ugo, quello d’imminente costruzione per la Banca d’Italia, e l’assieme di nuovi fabbricati per il Luogo Pio Triulzio alla Maddalena. Alla Banca d’Italia basterebbe l’arretramento fino a via del Bollo per risparmiare qualche milione e guadagnare una magnifica fronte di 130 metri sul Corso, proprio dirimpetto alla Posta. Il ritardo di un paio d’anni sarebbe davvero inavvertito al pubblico che da un anno solo fruisce e non ebbe neppure il tempo di apprezzare le spese non indifferenti fatte nell’attuale sede di via Manzoni.
A differenza di tutti gli altri progetti di trasversali e di allargamenti per i quali la spesa non è compensata che in piccola parte dal valore delle nuove fronti ottenute, questo ha in sé solo gli elementi di vita e di riuscita potendosi contare su circa 6 milioni di mq, 2 strisce di 100 metri ai due lati della strada, che vengono subito decuplicati di valore. Ogni giorno che passa però rende sempre più difficile quest’opera che la generazione ventura sarebbe costretta a compiere con sacrifici ben maggiori, benedicendo alla memoria del nostro tempo. Una amministrazione comunale che con energia e con sentimento vero dell’interesse generale e del progresso di Milano vi si accingesse oggi, troverebbe il momento opportuno; il denaro abbondante, la manodopera minacciata dalla disoccupazione, la industria e il commercio il crisi per deficienza di oggetto o di campo d’azione; fin le ferrovie e i tram vedono sparire l’aumento costante del traffico su cui si contava.
Le istituzioni meglio fondate si trovano perciò costrette ad una serrata di freni che ha per conseguenza immediata la riduzione del lavoro e del guadagno individuale, e, relativamente, la miseria. Un’opera che può interessare e muovere utilmente 400 o 500 milioni è oggi la soluzione più naturale e più adatta al carattere lombardo che non aspetta guerre o lotterie o prebende per vivere e progredire, ma ha piena fiducia nelle sue forze e nel lavoro. La sola tassa sulle aree fabbricabili darebbe 1.200.000 lire annue. Rinunciando al grande incentivo da me proposto sotto forma del tram gratuito che farebbe raddoppiare la cifra precedente, si hanno da due servizi, tram e ferrovia, 3 milioni all’anno di utile netto, anche con tariffa ridotta al mattino, mezzogiorno e sera, e i giorni festivi, e si risparmiano due linee passive, quella di S. Vittore e quella nuova di Baggio. La fognatura, l’acqua potabile e gli altri servizi pubblici renderebbero con le tariffe attuali quasi il doppio per merito dell’impianto e della manutenzione assai meno costosi.
da: Le Case Popolari e le Città Giardino, anno 1, fasc. 4, 1910 [all’articolo originale è allegato studio di fattibilità economica, qui espunto per motivi di spazio e leggibilità]
Vedi anche per analogia – abbastanza sorprendente – di temi e tecnico-sociale, la contemporanea americana città lineare Roadtown di Edgar Chambless