Il fatto che gran parte dell’urbanistica moderna, sin dal suo primo apparire nel XIX secolo, poggi salda sulle discipline medico sanitarie che ne fissano chiaramente obiettivi e strumenti, forse sfugge alla gran parte degli osservatori. Il pubblico non addentro a questioni storico-critiche o metodologiche, molto probabilmente sa, certo, come le regole di costruzione della città, delle infrastrutture, dei servizi, degli spazi aperti, addirittura dei tempi e ritmi delle attività che vi si svolgono, abbiano anche contenuti chiaramente ispirati alla salute e al benessere. Da cose come l’aerazione e illuminazione naturale dei locali, alle superfici minime e distanze massime del verde per il relax e il tempo libero, alle caratteristiche standard – reali o comunque auspicabili – di una scuola o di un ufficio pubblico, questa origine per quanto remota e un po’ viziata salta abbastanza agli occhi, riflettendoci un solo istante. Ciò che salta molto meno, agli occhi, è il ruolo attivo e centrale giocato dalle discipline medico-sanitarie e dalla loro vera e propria «idea di città» per tutto il periodo fondativo dei vari aspetti dell’urbanistica moderna, dalle intuizioni di John Snow sul rapporto tra forma urbana e patologie infettive in poi. Poi una volta fissati alcuni punti fermi, quel ruolo da attivo è diventato quasi invisibile, e soprattutto molto poco consapevole.
Spazio e salute oggi
Un esempio probabilmente molto in negativo, dello scarsissimo interesse diretto delle discipline medico-sanitarie nella forma urbana contemporanea, ce lo offre il modello dell’ospedale fortezza inespugnabile. I cui caratteri architettonici, urbanistici, organizzativi, risultano del tutto funzionali ad un modello di medicina curativa anziché preventiva, ed estranea a tutto ciò che non sia taglia, cuci, analizza, somministra terapie farmacologiche controllate. E cosa assurda, la fortezza ospedale finisce in un certo senso per danneggiare la stessa salute di cui vorrebbe essere il tempio: pratica interventi di urgenza alle vittime del traffico provocato dalla sua stessa organizzazione automobilistica, cura le malattie da scarsezza di verde e spazi aperti, occupando indebitamente proprio quegli spazi. Questo per fare solo un paio di esempi a caso. E le basi medico-scientifiche su cui continuano ad appoggiarsi le norme e gli standard urbanistici, del verde, dei servizi, dei trasporti, da un lato sono forse un po’ antiquate, non soggette a continua innovazione e aggiustamento di obiettivi; dall’altro sono ormai molti anni che il rapporto della forma urbana con la medicina viene filtrato dagli architetti-urbanisti, che quasi monopolizzano le scelte e le strategie (incluse quelle di ricerca). Viene da chiedersi perché mai, proprio in un’epoca in cui l’ambiente, il benessere, la salute, in una parola ciò che spesso chiamiamo in altra prospettiva «sostenibilità», l’antico ruolo delle discipline medico-sanitarie appaia così offuscato nei processi di urbanizzazione.
Un corso di laurea in medicina urbanistica
C’è però un dettaglio apparentemente secondario e invece essenziale forse sottovalutato o del tutto trascurato, e riguarda la formazione storica del concetto di urbanistica moderna a cui pure ci si riferiva sottolineando il ruolo della medicina. Le cui conquiste scientifiche si applicano consapevolmente e attivamente alla costruzione dello spazio fisico certamente in un lungo periodo di sviluppo urbano e industriale, ma di sicuro molto prima che quella cosa oggi istituzionalmente e collettivamente chiamata urbanistica si definisse nell’accezione condivisa. Per intenderci e ricordare ai distratti: il «Town Planning» pur essendo esistito e praticato da decenni dentro le pubbliche amministrazioni, e anche accademie, scuole, università, di fatto nasce col ‘900, e si formalizza nelle varie facoltà, uffici, ministeri, leggi dedicate, più o meno a cavallo della prima guerra mondiale. Ovvero, tutto nasce dalla intuizione originaria degli ingegneri-architetti, che con pochissime ed effimere eccezioni ne rappresentano il nucleo essenziale e trainante anche nelle articolazioni successive, per esempio con la nascita delle specifiche facoltà e corsi dedicati, o la seconda generazione delle leggi urbanistiche verso la metà del XX secolo. Quindi ci può essere qualcosa di molto, molto innovativo, in questo progetto di un medico del pronto soccorso, di sperimentare una Laurea-Laboratorio «Major in Medicine and Minor in Design».
Riferimenti:
Bill Bradley, These Future Doctors Are Learning How to Influence Urban Design, The Next City, 22 gennaio 2018
Immagine di copertina: Augustin Rey, Justin Pidoux, Charles Barde, La science des plans de ville. Ses applications à la construction, à l‘extension, à l‘hygiène et à la beauté des villes; orientation solaire des habitations, Paris, Dunod 1928 (dettaglio)