Quando qualcuno ci vuol vendere qualcosa, convincerci che ci serve assolutamente, e che in fondo val la pena rinunciare a qualcos’altro in cambio del suo indispensabile articolo, ci propone un’immagine: insieme l’oggetto in sé, e il nostro luminoso futuro quando ce lo saremo accaparrato. La questione in fondo è abbastanza alla portata di tutti, noialtri abitanti del terzo millennio con qualche sedimentato callo nei confronti del «libero mercato», quando si tratta di una odorosa fetta di formaggio sottovuoto, o di un mirabile trabiccolo elettrotecnico lampeggiante di lucine colorate. Si fa assai più sfumata e contraddittoria quando dai beni si passa ai servizi, e peggio che mai quando beni e servizi si mescolano in una specie di grande e comprensiva Categoria dello Spirito che dovrebbe farne sintesi. Come diavolo si valuta, l’offerta commerciale o politica di una Categoria dello Spirito? Un bel problema, assai più attuale di quanto non sembri a prima vista. La salute, ad esempio, che già non è concetto di così immediata focalizzazione (star bene, ok, ma in che prospettiva, esattamente?), diventa ancor più misteriosa e difficile, da cucirsi addosso su misura, se accoppiata apparentemente in modo logico con gli strumenti specifici per garantircela. Peggio che mai quando il prodotto-servizio che ci viene offerto a pagamento è più complesso, molto più complesso, di un cerotto, di una visita medica, di una supposta per la febbre.
La Città della Salute (1)
Alzi la mano chi, sentendo nominare una cosiddetta città o cittadella della salute, non pensa a qualche variante sul tema dell’ospedale o del centro di ricerca medica, o a un misto di entrambe le cose. Ci pare del tutto normale, che sia così, e non riflettiamo mai se non molto marginalmente e casualmente, sull’abbaglio mediatico-pubblicitario che ci rivende in modo efficace, molto meglio di uno spot di formaggini, qualcosa che paghiamo a carissimo prezzo, sia come contribuenti che come cittadini-abitanti. Perché normali non sono affatto, soffermandosi un istante, sia l’idea di salute che quella di città implicite in quel concetto. Prima di tutto c’è questa a ben vedere stravagante prospettiva di benessere, secondo cui dovremmo sognare non tanto di star bene, ma di essere «curati», da amorevoli medici, studiosi, strutture, pillole, sale operatorie, know-how sofisticatissimo. Ma c’è di più, perché la città della salute deve per forza stare dentro l’altra città che della salute non è, e che di conseguenza si classifica come «malsana» quasi per antonomasia, giustificando in pratica ogni forma di carenza ambientale: nella città normale ti ammali, ma poi c’è la città della salute che ti cura, no?
La Città della Salute (2)
Per quanto un po’ estremizzato a chiarire meglio i termini della faccenda, l’esempio di distorsione ideologica non si discosta moltissimo dal nostro modo di pensare corrente e automatico. Per fortuna non solo c’è chi prova a riflettere in termini diversi, ma anche chi è arrivato addirittura a «provare a venderci» un prodotto-servizio del tutto alternativo a questa città della salute tutta ospedali, medici e medicine. Il concetto di base è che esista invece una «città sana», ovvero concepita per coltivarla e promuoverla dalle fondamenta, questa salute, e farlo a partire dall’abitabilità, dal benessere, da ciò che respiriamo, beviamo, mangiamo, lo stile di vita e movimento, i ritmi, la serenità e via dicendo. Nessuno è perfetto, e nemmeno la mescolanza di spazi, funzioni, servizi, ambienti, concepita per essere sana, garantirà davvero la salute, ma è sicuro che il metodo sia assai migliore ed efficace, anche quando adottato da un’impresa privata che opera sul mercato delle trasformazioni urbane, puntando pubblicitariamente proprio su quell’immagine. Pedonalità e ciclabilità, garantiti sia dalle forme urbane che dalla disposizione di residenza e spazi del lavoro, non sono così solo un modo gradevole e comodo per spostarsi, senza usare la solita automobile, e senza sacrificare al mezzo meccanico tanto spazio inutile, ma strumento di esercizio fisico quotidiano che promuove benessere. Gli spazi risparmiati ai parcheggi e alle carreggiate delle arterie di scorrimento, poi si sommano al verde standard sia a costruire ambiti per il tempo libero e lo sport, sia per le colture locali, che garantiscono prodotti freschi e a km0, di nuovo genuini e sani. Insomma, ancora una volta tutto si tiene.
Riferimenti:
Urban Ventures-Regis University, Cultivate Health (brochure scaricabile dalla pagina)