Fino agli anni del dopoguerra, il disperdersi della popolazione verso le aree suburbane sembrava interessare principalmente i sociologi, gli ambientalisti, gli urbanisti. Poi il boom edilizio, i redditi più alti, l’uso crescente delle automobili, hanno accelerato la realizzazione di servizi commerciali nel suburbio, concentrando l’attenzione di un numero crescente di operatori. Ne sono nate forti polemiche, tutt’ora in corso.
La divergenza
Le opinioni divergenti si dividono sostanzialmente in due campi: (a) quelli che potremmo chiamare i «decentratori» e (b) quelli che potremmo chiamare i «centralisti».
I decentratori considerano l’insediamento commerciale suburbano come la cura a quanto lo scomparso Henry Ford chiamava la «pestilenziale crescita» della città [1]. Costruiamo nuove strutture commerciali nel suburbio, dicono, e dimentichiamoci della metropoli. Un punto di vista non privo di attrattive, se si considera le serie di dati statistici che mostrano la dispersione suburbana, e le accuse che giustamente si possono levare contro il modello di shopping nelle zone centrali. Ma anche fuorviante. Non appare chiaro ai decentratori come il medesimo insegnamento appreso nel suburbio si possa applicare, insieme alle migliori innovazioni tecniche, anche ai grandi problemi di riqualificazione commerciale entro la cornice dell’insediamento di tipo urbano.
D’altra parte i centralisti considerano le tendenze di sviluppo regionale uno strumento satanico escogitato solo per rovinarli. Pura illusione, perché il centralista in crisi ha di fronte i medesimi dati del decentratore, e sa che non c’è alternativa all’accettare l’insediamento dei centri commerciali esterni. Come sottolinea uno studio dell’Urban Land Institute, la crescita di questi centri si deve alla crescita di popolazione nelle aree che vanno a servire, all’incremento del potere d’acquisto in quelle zone, non alla fuga degli esercizi verso il suburbio [2]. Credere che le cose siano diverse vuol dire solo confondere la causa con l’effetto.
I centralisti sembrano basarsi sulla fantasia secondo la quale si dovrebbe, in qualche modo, smettere di costruire nel suburbio. Quando l’ansia si fa davvero grave, si lanciano anche in gigantesche promozioni e saldi, offendo addirittura il biglietto gratis dell’autobus, servizio ristorazione, giornate speciali per lo shopping, sfilate. Ma cosa succede, se la «trovata» poi non funziona? Una frequentatrice del centro nota «Le promozioni con sconti non tirano più come una volta …» e aggiunge, «Le catene si fanno letteralmente concorrenza da sole coi negozi decentrati» [3].
Prima di tutto, bisogno dimenticarsi la convinzione che si tratti solo di un problema esclusivo di posizione del negozio. L’ostilità fra decentratori e centralisti è una guerra fasulla. Un allontanarsi del vero problema: dal fatto che è la buona salute del nostro intero sistema di distribuzione commerciale ad essere in gioco. Inoltre, se acquistare prodotti diventa una maledizione anziché un piacere, se lo shopping è un fastidio che si rinvia il più possibile, alla fine ne risentirà anche la produzione. Accettare questa situazione significa spingere verso una economica statica, non a una situazione dinamica. Quindi si tratta di una questione importante non solo per chi si occupa di commercio, ma alle imprese in genere e all’intera comunità: e richiede una soluzione organica.
Il guaio in centro
Il problema, è che di solito la media dei quartieri centrali delle nostre città è stata concepita prima dell’avvento dell’automobile, non il fatto di stare nel mezzo della città (e pensandoci, quale migliore posizione si potrebbe pensare?). La diffusione delle automobili è stata incontrollata, e di conseguenza la città ne sta soffrendo, si irrigidiscono le arterie, si ammala il cuore. Ciò propone una importante sfida alle imprese, agli urbanisti, agli architetti, e a tutti gli altri soggetti interessati. José Louis Sert, decano della Harvard School of Design, che ha lamentato la tendenza degli architetti a «diventare suburbani» ha ragione quando dice «È nel cuore delle nostre città, che l’architettura può esprimersi al livello più alto»[4]
Alcuni architetti hanno accettato la sfida. Ma talvolta si sono stesi ottimi progetti solo per vederli compromettere in modo tale da costruttori e immobiliaristi, da distruggere o drasticamente modificare le intenzioni originarie. Certo non è necessario ricordare, che è molto più facile trasformare distese di campi o pascoli in un centro di tipo suburbano, anziché confrontarsi coi complessi fattori della riqualificazione centrale, ma occorre comunque farlo, se non vogliamo che lo shopping diventi sempre più un compito ingrato (parlerò più oltre degli shopping center pensati specificamente per i centri urbani e di uno in particolare). É necessario solo riflettere su alcuni fatti relativi alla situazione, per capire la patologia dei quartieri centrali nell’era dell’ automobile, e per valutare cosa fare al fine di riqualificarli.
New York. Secondo uno studio del Citizen Traffic Safety Board, Inc., la congestione da traffico a New York City costa alle imprese oltre 100 milioni di dollari l’anno; dato che su poco meno di ottomila chilometri complessivi di strade circolano 1,4 milioni di veicoli, e con la quantità di nuove immatricolazioni pare debbano raddoppiare nei prossimi dieci anni [5] Un tipo di situazione non particolare di New York. La tirannia dell’automobile nelle aree urbane va considerata il principale (anche se naturalmente non l’unico) elemento che crea sempre più difficoltà. Progettate per servirci, le automobile sono arrivate invece a terrorizzarci, a intasare le aree centrali in modo tale che il mescolarsi del traffico pedonale e veicolare forma un gigantesco rompicapo urbanistico. Non possiamo permetterci di rinviarne la ricomposizione ordinata di tutti i pezzi. Una convinzione rafforzata dall’esame di un altro caso metropolitano.
Boston. Uno studio comparato delle abitudini di shopping intervistando 4.688 donne su tre fasce metropolitane di Boston mostra come il motivo citato più spesso per andare meno a far compere in centro sia i «trasporti» (41% nella fascia dei primi venti chilometri attorno al centro di Boston, il 55% in quella fino a cinquanta). Si aggiunga al fatto che solo il 5% delle donne va in centro a Boston a far shopping in macchina, che il 46% di chi abita nel suburbio e possiede un’auto vorrebbe andarci più di frequente se si trovasse più posto da parcheggiare, ed emerge evidente la necessità di far qualcosa per riqualificare la zona centrale di Boston. [6] Cosa piuttosto significativa, gli abitanti del suburbio preferiscono i negozi della zona per le cose normali o le offerte speciali che ci si trovano di solito, ma continuano a orientarsi a quelli del centro per le cose di moda, di lusso, la possibilità di maggior scelta di qualità e prezzi. In altre parole, c’è una solidità essenziale dell’area centrale che il degrado fa di tutto per soffocare ma non ci riesce. Pensiamo a cosa potrebbe accadere se si potesse rendere più comodo e piacevole lo shopping in centro, se si potesse invertire la tendenza secondo la quale « far compere nei quartieri centrali non è più lo sport nazionale delle signore, ma un fastidioso dovere periodico che si adempie dopo che le necessità familiari si sono accumulate al punto in cui non è più possibile rinviarlo» [7]
Il guaio nei sobborghi
Se l’obsolescenza dei quartieri commerciali centrali deriva dal fatto che sono stati progettati prima dell’avvento delle automobili, quella dei complessi suburbani nasce dal fatto che in genere non sono stati affatto progettati. Quelli che funzionano abbastanza bene – ne esiste soltanto una manciata di effettivamente pianificati, e si distinguono per la proprietà unica degli immobili, l’organizzazione commerciale preventiva, il coordinamento spaziale – sono soltanto oasi nel deserto di un’esperienza di shopping infelice. Anche gli insediamenti commerciali suburbani tendono a ripetere gli errori del centro, e perché? Perché gli abitanti devono trovarsi avvolti da chiassose fasce di negozi che duplicano, triplicano ciò che già esiste, senza offrire molto di più in termini di comodità e sicurezza? Perché le strade devono soffocare del sovrapporsi di traffico locale e di attraversamento? Perché la pubblica via deve trasformarsi in una corsia di servizio, i marciapiedi di aree carico-scarico? Perché le nostre città, nel tentativo di ridotarsi in qualche modo di indispensabili arterie di traffico, devono realizzare nuove strade di attraversamento a costi spropositati?
La risposta arriva in parte dai un importante esponente del settore: «Contrariamente alla convinzione di alcuni, il solo fatto di avere a disposizione cinque ettari non giustifica da solo uno shopping center.»[8]La miriade di fasce commerciali nell’area densamente popolata di Long Island ne è un ottimo esempio. Tempo fa, si parlava delle difficoltà di Manhasset a mantenere la clientela locale a causa della concorrenza crescente degli «shopping center» di Hempstead e Garden City. Si tratta del problema del parcheggio, che ha obbligato il 22% degli abitanti di Manhasset a rivolgersi altrove.
Anche nei casi in cui si pensa a un complesso coordinato, spesso il costruttore non si sofferma sul problema fondamentale: «Ma è necessario, questo intervento?» La risposta deve derivare da analisi esaustive su traffico, economia, su studi urbanistici condotti da specialisti, e svolti prima di decidere la realizzazione e predisporre i progetti architettonici. Alla base di qualunque intervento ci deve essere programmazione, se si vuole investire bene. Si devono usare criteri qualitativi, non quantitativi. Oggi nel suburbio invece la tendenza è quella di realizzare sempre più negozi, non negozi sempre migliori. Alla base di tutto oggi, nella maggior parte dei casi, c’è la pura avidità, e il quadro generale è di spietata concorrenza.
La soluzione suburbana
Quale risposta dunque, per una città malata e un suburbio che mostra tutti i segnali di aver contratto il morbo? Vediamo prima cosa si può fare nel suburbio, dato che è il problema minore e la risposta è più immediata; e poi potremo proseguire e verificare se il medesimo approccio non possa in qualche modo applicato al centro. Obiettivo principale di un programma di intervento dovrebbe essere il districare traffico pedonale, automobilistico e dei mezzi pesanti. Quello delle automobile deve essere trasferito lungo il perimetro dell’area dedicata allo shopping, così da lasciare ai pedoni uno spazio piacevole. E qui che alcuni dei cosiddetti complessi coordinato hanno fatto un grosso errore. Come al Shoppers’ World di Framingham, Massachusetts, dove non peggio che in tanti altri casi i veicoli della clientela e quelli di servizio non sono per nulla separati, e ne risulta un flusso di traffico eccessivo e una perdita di efficacia del parcheggio.
Come specifico esempio di intervento suburbano riuscito, lasciatemi citare quello inaugurato da del Northland Shopping Center (proprietà e realizzazione della catena di grandi magazzini J.L. Hudson Company), progettato dal mio studio nel quadro di una serie di grandi complessi nel suburbio di Detroit, e che è stato descritto come «l’unico spazio per loshopping completamente dedicato al pedone.» [9]Di seguito alcuni particolari.
Northland Shopping Center (Detroit). Il problema dell’accessibilità e smistamento interno del traffico viene affrontato scientificamente, perché lo spazio dei pedoni sia tutelato in modo duplice: sia dalle auto che dal tempo atmosferico, dato che si possono raggiungere i negozi attraverso percorsi coperti. D’altro canto anche l’automobilista non deve affrontare il tipo di parcheggio lungo i lati dei tradizionali insediamenti commerciali, ma può entrare in un’ampia area con posto per 7.500 auto, e c’è spazio di riserva per altre 4.000. Contemporaneamente, ben capendo che quello dei parcheggi è un elemento chiave della proposta commerciale, il progetto è stato accuratamente studiato in modo che in nessun caso un punto di sosta sia più lontano di circa 150 metri dagli edifici.
Il sistema delle gallerie sotterranee di Northland per i camion risparmia al pedone una vista fastidiosa, rumori e puzze che invece esistono nei complessi commerciali tradizionali, dove i traffici della clientela e di servizio non sono separati. Non si può sottolineare a sufficienza l’importanza di questo elemento, perché insieme a congestione e atmosfera generalmente poco piacevole, determinati dai vari traffici di passaggio, gli insediamenti spontanei inevitabilmente generano degrado delle zone circostanti. Northland, allontanando il traffico dalle zone residenziali e realizzando fasce a verde di interposizione, tutela la principale fonte della propria ricchezza.
A Northland i negozi sono raggruppati armoniosamente, così da favorire la massima articolazione. Fa parte integrante del progetto di un centro commerciale moderno, programmare la composizione dei negozi. Un principio che comprende anche l’attenta scelta degli esercenti, dimensioni, settori, posizioni, in modo da costruire un sistema equilibrato ed evitare le sovrapposizioni, caratteristiche dell’insediamento spontaneo.
Un frequentatore, commentando la diversificazione dell’offerta a Northland, ha dichiarato: «Ci sono negozi per tutte le borse, proposti per la comodità del cliente, e coi più economici tutti vicini. Ma con una tale straordinaria eleganza di composizione e sistemazione, che nulla appare economico».
Lo stesso osservatore aggiunge, «Lo spirito è sia di cooperazione che di concorrenza. Sembra che tutti vogliano riuscire» [10] Più concretamente, questo vuol dire che a Northland il rapporto degli altri negozi con la principale «calamita di traffico» il grande magazzino della J.L. Hudson Company, è tale che Hudson attira clientela verso i negozi che si è scelto di raccogliergli attorno; per arrivare sino a Hudson il cliente deve superare gli altri esercizi. Da questo punto di vista si noti come a Northland si dimostra la disponibilità della gente a camminare per i 150 metri dalle aree a parcheggio, e la voglia di camminare ancor di più tra i negozi, dove zone verdi, sculture, spazi di sosta offrono costantemente stimoli visivi.
L’immagine di Northland è quella di un centro commerciale, e non di un gruppo amorfo di negozi ammucchiati lungo una via trafficata. E si tratta di un centro coordinato, non solo perché a composizione commerciale programmata e proprietà immobiliare unica, ma perché nel progetto si è cercato di prevenire le cause di rapido degrado e obsolescenza – congestione, poca cura nei rapporti con l’intorno, e via dicendo – e perché la J.L. Hudson Company ha valutato con cura gli studi economici preliminari, riconosciuto l’importanza delle analisi urbanistiche, sul traffico, sull’omogeneità architettonica, prima di realizzare il complesso.
Bellezza e comodità
Il presidente della Hudson, Oscar Webber, ha dichiarato recentemente, «La migliore pubblicità per Northland è la sua bellezza: il fatto che la gente lo trovi tranquillo e rilassante». Un’osservazione, davanti a un gruppo di operatori commerciali di Detroit, di particolare significato, perché l’inaugurazione non è stata accompagnata da alcuna pubblicità, e nonostante questo oggi Northland opera a un livello di fatturato del 30% superiore alle aspettative. Un stridente contrasto con le lamentele degli esercenti centrali sul fallimento delle ultime promozioni, di cui si è già parlato. Indica come fare pubblicità sia soltanto un elemento aggiuntivo e inutile se non si accompagna sulla concretezza di programmi e progetti su base scientifica, per un’offerta di servizi in un’atmosfera libera di tensioni.
Arte ed economia non sono del tutto estranee. Northland, con le sue aree a parcheggio e spazi di riposo, le sue sculture, l’auditorium a disposizione delle associazioni cittadine, viene di solito considerato un approccio nuovo, rivoluzionario, all’ambiente commerciale. Lo è, ma sostanzialmente non è nuovo, piuttosto una ri-creazione di contesti molto più antichi. Ha I suoi precedenti storici nell’agora Greco, o nelle cittadine dell’Europa medievale, o dell’America di epoca coloniale, quando le funzioni mercantili si mescolavano al tessuto sociale e culturale del tempo, quando la città aveva un vero nucleo centrale, tale da affermare la primazia dell’individuo sotto forma di spazi riservati alla pedonalità.
Un motivo ricorrente nelle varie epoche: il diritto del singolo cittadino al centro della vita della comunità. Le città di un tempo, quelle appena citate, offrivano uno stile di vita orientato alla tranquillità, al tempo a disposizione, alla tranquillità. Oggi questi importanti aspetti della vita non hanno più spazio, e si deve ricrearlo. Northland rappresenta il tentativo non solo di costruire uno shopping center riuscito, ma anche di «ritorno alla dimensione umana, all’affermazione del diritto dell’uomo sulla tirannia dello strumento meccanico»[11]. É concepito nella speranza che possa essere un centro sociale e culturale: e indica cosa si possa realizzare sia nel suburbio che (lo vedremo) nel cuore della città.
Altri progetti
Ci sono altri complessi di shopping center suburbani di notevoli dimensioni in corso di progettazione o realizzazione: Welton Reckett Associates lavorano in California e Texas; John Graham a Portland, Oregon, e Milwaukee; Abbot Merkt in New Jersey; Jeoh Ming Pei a Long Island; Lathop Douglas ancora a Long Island; Morris Ketchum a Princeton, New Jersey, e Cincinnati, Ohio. Il mio studio sta lavorando al progetto Southdale a Minneapolis, che introduce due nuovi concetti: (a) il mall coperto ad aria condizionata e (b) la costruzione su 190 ettari di zona circostante di uffici, appartamenti, con aree verdi e integrati al complesso commerciale. Stiamo anche lavorando ai progetti Valley Fair e Bayfair, due complessi della Capital Company-R. H. Macy nell’area della Baia di San Francisco; al Glendale a Indianapolis; al Woodmar di Hammond, Indiana (intervento della Landau and Pearlman-Carson Pirie Scott & Company); al Woodlawn di Wichita e al centro Waialae di Honolulu. Tutti questi progetti hanno in comune il principio del coordinamento scientifico, e l’idea delle aree interamente dedicate al traffico pedonale.
La soluzione per il centro
L’eminente Frank Lloyd Wright, con la sua visione dell’insediamento suburbano, un acro per ogni famiglia, dichiara a un periodico specializzato che i grandi magazzini del centro urbano sono finiti, così come la grande città che gli sta attorno. [12] Wright fa tanto di cappello allo shopping center suburbano integrato, ma poi conclude, «Decentrare danneggia alcuni interessi costituiti, ma ne avvantaggia altri, quelli della gente». In realtà ci sono in corso di progettazione molti più complessi commerciali suburbani di quanti ne possa sostenere il volume delle attività attuali. Inoltre, questa idea di Wright della «gente» che sarebbe contro gli interessi costituiti, pare viziata dal suo abbandono della città.
La città di oggi, con la sua concentrazione di commercio, finanza, industria, non può fare a meno di svolgere il proprio ruolo di centro sociale e culturale. E poi ci sono sicuramente anche abitati congeniti della città, fra quella «gente» per la quale Wright tanto si cruccia. L’ha notato anche Sidney Baer, vicepresidente del consiglio di amministrazione alla Stx, Baer & Fuller Company grandi magazzini: « La trasformazione delle aree suburbane appare logica e salutare, nelle città dove cresce la popolazione, ma … si tratta di un processo evolutivo che non deve e non può avvenire a spese del nucleo centrale: non deve trattarsi di una di quelle situazioni in cui è la coda ad agitare il cane, anziché viceversa» [13]
Ci sono alcuni degli insegnamenti della progettazione di shopping center suburbani che possono senza dubbio essere applicati alle aree centrali. É possibile riorganizzare i centri città secondo varie composizioni funzionali articolate nello spazio, ciascuna dotata di una propria area a parcheggio, zona verde, e relative arterie di traffico tutto attorno. Ciascuno di questi nuclei verrà dimensionato per renderlo adatto e gradevole ai pedoni. Dato che questi interventi nei centri urbani avverranno su terreni dai valori elevati, è probabile che ci si orienterà soprattutto verso parcheggi sotterranei e multipiano, e anche verso la costruzione di grattacieli (come nell’intervento Radio City) per fare il miglior uso delle superfici disponibili. Si presterà grande attenzione a un sistema dedicato di strade sotterranee di servizio. L’obiettivo generale, sia nel caso di costruzione di nuovi centri urbani che di nuova forma per quelli esistenti, è il medesimo dei migliori progetti di insediamento suburbano: districare il traffico pedonale da quello automobilistico e di servizio.
Nuovi progetti
José Luis Sert, già citato, lo considera un problema di «ricentralizzazione»: invertire la tendenza al decentramento spontaneo. Immagina di creare nuovi nuclei centrali urbani, con usi dello spazio programmati, e traffici pedonali e veicolari separati, a sostituire i vecchi quartieri spontanei che si sono degradati. Vorrebbe «reintegrare» – il termine è significativo – alberi, verde, acqua, sole, ombra. [14] Ci sono diversi progetti urbani in corso degni di attenzione:
Back BayCenter (Boston). Un progetto Architects Collaborative, che dovrebbe arrivare al completamento nel 1959, e un passo nella direzione giusta. I documenti descrivono un edificio da 40 piani per uffici, un albergo-motel da 750 stanze, una zona commerciale fruibile con qualunque tempo atmosferico, un nuovo spazio congressi distinto dall’area commerciale propriamente detta.
Attraverso una analisi scientifica del traffico, i progettisti cercano di evitare la congestione delle arterie principali, di integrare e i trasporti pubblici, di isolare gli spazi rispetto ai flussi di solo attraversamento. Fra gli obiettivi anche la realizzazione di spazi verdi all’interno. Progressive Architecture scrive, «Una delle cose più condivisibili dell’intero complesso è che, nell’insieme, i pedoni hanno un ambito proprio. E le loro automobili, 6.000 per essere precisi, trovano posto nei parcheggi sotterranei» [15]
Penn Center (Filadelfia). Un esempio di ottimo piano concordato tra vari investitori privati che poi costruiscono in modo indipendente. I cinque edifici sono realizzati da quattro proprietari, su disegno di quattro architetti. Il coordinatore del programma è Robert Dowling della City Investment Company, che rappresenta la Pennsylvania Railroad proprietaria dei terreni. Come si spiega in un opuscolo, «Il piano di Dowling è una novità più dal punto di vista finanziario che architettonico (anche tenendo conto degli spazi aperti) per il modo in cui riesce a dividere in parti proporzionali ai singoli investimenti una enorme superficie di riqualificazione urbana»[16]
Dowling fa bene a considerare molto importante la programmazione economica. Pecca però di eccesso di semplificazione, di una prospettiva troppo meccanicistica, quando ne conclude che dato un buon piano economico, ne debba poi scaturire automaticamente un ottimo progetto architettonico innovativo e integrato. Il Gateway Center, complesso per uffici a dir poco eterogeneo realizzato a Pittsburgh, mostra cosa possa succedere quando manca la funzione coordinatrice dell’architetto sin dall’inizio, e lo si coinvolge solo come tecnico che dovrebbe produrre spazi di qualità brillante resi più o meno inevitabili dal programma economico ideato da altri.
La riqualificazione programmata
Sinora abbiamo concentrato l’attenzione su complessi coordinati a proprietà unica sia a localizzazione suburbana che centrale. Ma il medesimo principio che ha consentito di realizzare Northland si applica al medesimo modo alla riqualificazione di quartieri centrali esistenti divisi fra molte proprietà. Come sottolinea uno studio recente, non è affatto necessario buttar via questi vecchi quartieri, anche se «Certo è necessaria più cura per rimodellare e conservare qualcosa, che per demolire e ricostruire …»[17]
Nella riprogettazione dei quartieri commerciali e terziari esistenti nei nostri centri città, il problema essenziale resta quello di separare il traffico pedonale da quello veicolare. IlPerimeter Plan ipotizzato dalla Chicago Plan Commission, che è stato esaminato con attenzione da circa venti quartieri terziari centrali della città, cerca di misurarsi col problema. Non ci si limita a predisporre parcheggi, o ad eliminare il traffico di attraversamento dal cuore delle zone principali attraverso arterie perimetrali, ma si ricompongono anche le zone all’interno dei perimetri. Vengono separati i flussi dei visitatori e quelli di servizio, eliminando tutte le superfici «non conformi» (es. residenziali) a strade e parcheggi. Poi, dato che gli spazi retrostanti degli edifici commerciali dopo questo intervento si trovano esposti alla vista, sia dal percorso perimetrale che dai parcheggi, li si riprogetta in modo da realizzare sia affacci gradevoli verso i piazzali di sosta, sia una maggiore efficienza di servizio.
Anche per l’area comemrciale centrale di Rye, a New York, è stato proposto un progetto simile al Perimeter Plan, redatto da Morris Ketchum. Chiede una deviazione del traffico, trasformando l’arteria principale in mall pedonale, e distribuendo spazi a parcheggio e servizio lungo la periferia dell’area destinata allo shopping. Riflettendo sul riuso delle nostre aree centrali, è difficile pensare a n programma di applicabilità generale. I problemi di una città sono ampiamente diversi da quelli di tutte le altre, e per ogni caso occorre procedere con una serie di azioni specifiche. Ma vediamo un esempio particolare di riqualificazione di un’area, che forse può indicare la strada ad altre città. Si tratta di un progetto a cui ha lavorato il mio studio su incarico di un gruppo di commercianti di un centro città del Midwest.
Appleton, Wisconsin. Nonostante si tratti di una città di dimensioni relativamente piccole (l’intero bacino socioeconomico conta 94.000 abitanti, la popolazione della città propriamente detta è di soli 34.000 abitanti), anche qui esistono tutti i caratteristici problemi di traffico che soffre qualunque centro urbano. Per capire meglio natura e dimensioni del problema di Appleton, per rima cosa abbiamo raccolto dati sulla popolazione e la rete commerciale nel bacino esistente. Poi attraverso alcune proiezioni abbiamo capito che nel 1960 la popolazione poteva aumentare da 94.000 a 111.590 abitanti. Su questa base, si è calcolata la necessità di nuove superfici commerciali.
Poi, abbiamo rilevato i parcheggi disponibili nell’area centrale, calcolando 1.002 posti a parchimetro e 888 liberi in spazi dedicati; complessivamente, posti per 1.890 auto in sosta. Per un ragionevole equilibrio tra domanda e offerta, sono necessari 1.210 nuovi posti subito, e altri 3.200 entro dieci anni. Oltre a una necessità di parcheggi per funzioni varie, la città avrà un deficit di 5.000 posti probabile nel 1960, se non si fa nulla per migliorare la situazione; e la congestione da traffico nel quartiere dell’arteria principale aumenterà nella stessa data del 66% , solo per motivi commerciali. Abbiamo anche svolto un’indagine su tutti gli edifici. Circa il 60% di quelli lungo la via principale hanno più 35 anni, o comunque necessità di riparazioni e ammodernamenti, e si tratta di una quota che cresce almeno dell’1% l’anno se non si fa nessun intervento.
Riassumendo il quadro: nel 1960, il quartiere commerciale centrale dovrà essere adeguato. Si dovrà raddoppiare la superficie dei negozi; si dovranno aggiungere 3.200 posti a parcheggio; sarà necessario riorganizzare il traffico; si dovranno intraprendere iniziative di contrasto dell’obsolescenza. Per rispondere a queste necessità si sono formulate i seguenti principi di progettazione:
1. Realizzare un’arteria perimetrale di traffico a senso unico attorno al quartiere commerciale, utilizzando per quanto possibile vie esistenti.
2. Demolire tutti gli edifici non adeguati (come quelli residenziali) e obsoleti che si collocano all’interno del perimetro.
3. Creare una serie di super-blocchi chiudendo le vie interne, salvo due o tre.
4. Utilizzare gli spazi delle demolizioni per realizzare parcheggi sia su piazzali interni che di margine, per la sosta prolungata.
5. Creare un percorso pedonale allestito a verde utilizzando le vie chiuse, e offrire così un ambiente e un’atmosfera piacevole allo shopping.
6. Individuare spazi di crescita interna.
Tenendo presenti questi principi, abbiamo sviluppato un piano di massima per Appleton. Ci sono tre super-blocchi (due con possibilità di ampliamento) e spazi a parcheggio sul retro degli edifici commerciali dove sono stati demoliti i fabbricati non-conformi. All’interno dei superblocchi il traffico è solo pedonale. Per realizzare la quantità di posti a parcheggio necessaria, in alcune delle zone si sono progettate strutture a due livelli. Le alternative a questo piano sono l’assorbimento delle nuove attività commerciali: (a) per negozi singoli nelle zone residenziali circostanti; (b) vari complessi commerciali suburbani; (c) un grande shopping center. Se un grande shopping center si realizzasse abbastanza vicino alla città, attirerebbe la gente non solo da quest’area, ma anche da tutti i centri minori circostanti, prosciugando così l‘intero bacino socioeconomico e prima o poi trasformando il centro in una zona fantasma.
Come attuare la riqualificazione
Ma quali azioni bisogna intraprendere per attuare un programma di riqualificazione? Naturalmente ci vuole qualcuno che prenda l’iniziativa. Può venire dall’associazione degli operatori economici del centro città, oppure dall’amministrazione locale. In qualunque caso, sarà auspicabile che tutti gli interessati si organizzino in una commissione per il recupero del centro. All’interno, varie sottocommissioni dedicate agli aspetti legali, la ricerca, la progettazione ecc. Questa commissione per il centro città dovrà avvalersi dei servizi di uno studio qualificato per la pianificazione generale e il coordinamento degli aspetti specialistici nei vari campi necessari: urbanistica, economia, ingegneri civile e del traffico, oltre che assumersi la responsabilità della progettazione architettonica.
Dopo aver portato a termine una indagine dettagliata sulla situazione attuale, per stabilire la capacità di spesa esistente, futura, e valutare il valore degli immobili, si deve redigere un master plan per la riqualificazione. Un piano che deve riguardare l’eliminazione delle strutture obsolete, il rifacimento degli edifici di cattivo aspetto, una ridefinizione delle destinazioni d’uso e demolizione degli edifici non-conformi, la realizzazione di un nuovo sistema di traffico, l’introduzione di percorsi integralmente pedonali, gallerie, percorsi, «fasce di interposizione» a verde, tutela dei quartieri circostanti.
Conclusioni
É evidente, la necessità di shopping center suburbani ben organizzati. Ma si tratta di un bisogno oggi ben riconosciuto da gran parte degli operatori commerciali e degli urbanisti. Esiste anche l’urgente necessità di rivitalizzare le attuali zone commerciali centrali. É in questo aspetto che al momento sta la vera sfida per le amministrazioni locali, il mondo degli affari, il settore commerciale e l’urbanistica. Se si vuole replicare in qualche modo il tipo di unitarietà che si verifica coi centri a una sola proprietà, anche nella riqualificazione dei quartieri esistenti, è necessario che vari interessi si alleino per un’azione cooperativa (si tratta dell’altro lato della medaglia dell’analisi scientifica della situazione). In altro modo non è possibile arrivare a un efficace piano per i parcheggi, qualche genere di coordinamento di insegne e segnaletica, all’eliminazione degli eccessi vistosi, alla realizzazione di un ambiente piacevole.
Nello stesso modo in cui la fattibilità di un complesso commerciale di scala regionale può essere determinata da attente analisi sul traffico, urbanistiche, e i suoi caratteri architettonici da uno specifico progetto, così esistono strumenti analitici che si possono usare per stabilire se in un certo caso si giustifica l’intervento di riqualificazione, e quale tipo particolare di intervento è il più adeguato. Non possono esistere formule rigide, dato che le condizioni locali sono molto diversificate, con propri specifici problemi.
Rispetto alle questioni urbanistiche, val la pena spendere qualche parola sul tema dello zoning. La cui natura attuale fa parte di quanto risulta superato, sia per il centro città che per il suburbio. L’uso delle tecniche di zoning nelle aree centrali ha condotto a un potpourri di residenza, attività produttive e terziario. [18]Sono esempi di eccessi di concentrazioni funzionali suburbane le fasce commerciali continue lungo le principali arterie. Ovunque compaia una strada importante, si destinano le aree a commercio e terziario senza pensare a quante attività davvero siano sostenibili. Esiste evidentemente il bisogno di un’attività coordinata di pressione in questo senso, per evitare che si continui così a generare traffico.
Prospettive future
É possibile fare tutto questo? Si può rivitalizzare il nostro comparto commerciale? Si possono riqualificare le nostre disastrate città? Non ho alcuna intenzione di assumere né il ruolo di Cassandra né quello di Pollyanna, ma una cosa è chiara: tutti gli sforzi fatti sinora non hanno avuto la necessaria convinzione, hanno esitato, hanno operato su dimensioni troppo limitate per avere veri risultati. Facile profezia, che il centro sarà salvato: nonostante il vero boomdegli interventi di riqualificazione in tutto il paese.
Complessivamente si calcolano 81 città dotate di piani del genere alla fase finale, e altre 28 con progetti in corso, fra cui San Francisco, Baltimora, Detroit, Filadelfia, Indianapolis, e Norfolk. [19] Però concluderne che si tratta di un processo inevitabile, o credere che la riqualificazione coordinata dei centri città sia ormai stata «venduta» agli operatori economici, ai gruppi di interesse, alla società, significa eccesso di ottimismo.
Esistono, certo, gruppi come a Pittsburgh la pioniera Allengheny Conference, o la nuova Civic Progress, Inc., a St. Louis, che cercano appunto di «vendere» la trasformazione urbanistica. Ma come ha scritto un osservatore, « Non esiste alcun clamore popolare che si leva per l’intervento nelle nostre città» [20]. In direzione contraria alle incoraggianti tendenze che abbiamo citato, basta ricordare ad esempi ola forte opposizione agli interventi di Cleveland o Los Angeles da parte del mondo delle costruzioni e degli operatori immobiliari. Leggiamo che il vertice della National Parking Association è convinto che la mancanza di strutture a parcheggio non sia un elemento importante nel condizionare il commercio, e che dovrebbero essere eventualmente i privati, e non le pubbliche amministrazioni, a realizzarle se necessarie. [21]E ancora, ci sono innumerevoli casi in cui la cura per l’obsolescenza viene individuata nel rifacimento periodico degli interni e delle facciate, in qualche allargamento stradale, o in altri trucchetti.
Nel campo della riqualificazione urbana, ci sono parecchi problemi che non si possono risolvere da un giorno all’altro. Alcuni, che possono apparire solo interni al rilancio del sistema commerciale, sul lungo periodo appaiono piuttosto rilevanti. Ad esempio si è prestata poca attenzione al problema della ricollocazione degli esercizi nei casi in cui si intraprendano programmi di demolizione dei quartieri degradati nel quadro generale della riqualificazione multifunzionale di un’area. Dato che l’edilizia sovvenzionata è in una fase decrescente, e i finanziamenti privati non appaiono in grado di rispondere alle necessità, si tratta di un problema piuttosto grave.
Ci sono quelli che ripetono «lasciate fare al privato» e altri che rispondono «è un lavoro per la pubblica amministrazione». C’è l’apatia municipale, e della società. Ma esiste evidentemente una responsabilità democratica per lo stato dei nostri contesti urbani, oggi ridotti a «una parodia del genio produttivo e dell’energia creativa d’America» [22] É giunto il tempo di agire su ampia scala: risanamento dei quartieri degradati, creazione di aree verdi nei quartieri centrali, realizzazione di spazi a parcheggio, miglioramento delle arterie di traffico, arricchimento della vita sociale, culturale, civile. Le imprese devono accettare le proprie responsabilità, perché in un pericoloso equilibrio stanno oggi la salute e ricchezza delle città, e la salute della nostra economia.
Estratto dalla Harvard Business Review, novembre-dicembre 1954 – Titolo originale: Dynamic Planning for Retail Areas – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
Per il processo di suburbanizzazione accennato all’inizio da Gruen si veda su questo sito anche ad esempio Walter T. Martin, Problemi della crescita suburbana (1953) che ne affronta praticamente “in diretta” temi sia sociologici che territoriali
NOTE BIBLIOGRAFICHE
[1] Vedi Athur B. Gallion, The Urban Pattern: City Planning and Design (New York, D. Van Nostrand Co., Inc., 1950). p. 185
[2] Vedi J. Ross McKeever, Shopping Centers: Principles and Policies, Technical Bulletin n. 20 (Washington, Urban Land Institute, Inc., 1953), p. 7
[3]Women’s Wear Daily, 15 ottobre 1952
[4] Citato nella cronaca di una Conferenza Regionale dell’American Institute of Architects Regional Conference dell’ottobre 1953, Architectural Forum, novembre 1953, p. 58
[5]Women’s Wear Daily, 21 settembre 1953,
[6] John P. Alevizos e Allen E. Beckwith, Downtown & Suburban Shopping Study of Greater Boston (Boston University College of Business Administration, 1953), p. 20
[7] John P. Alevizos e Allen E. Beckwith, «Downtown Dilemma» Harvard Business Review, gennaio-febbraio 1954, p. 118
[8] Joel Goldblatt, della Goldblatt Brothers di Chicago, citato da Women’s Wear Daily, 20 aprile 1953
[9] «Northland: A New Yardstick for Shopping Center Planning», Architectural Forum, giugno 1954, p. 104
[10] Dorothy Thompson, «Commercialism Takes and Wears a New Look,» Ladies Home Journal, giugno1954, p. 11
[11] Siegfried Gideon, «The Humanization of Urban Life,»Architectural Record, aprile 1952, p. 123
[12] Women’s Wear Daily, 28 maggio 1953
[13] «Central City Planning: the Next Step,» Stores, aprile 1954, p. 15
[14] Vedi The Heart of the City: Towards the Humanization of Urban Life, a cura di J. Tyrwhit, J.L. Sert, e E.N. Rogers (New York, Pellagrini and Cudahy, 1952).
[15] «Proposed Back Bay Center Development,», Progressive Architecture, gennaio 1954, p. 73
[16] «PennCenter,» Architectural Forum, aprile 1953, p. 148
[17] Richard Lawrence Nelson e Frederick Aschman, Conservation and Rehabilitation of Major Shopping Districts, Techical Bulletin n. 22 (Washington, Urban Land Institute, Inc., febbraio 1954), pp. 8-9
[18] Per un panorama sull’azzonamento industriale, si veda Dorothy A. Muncy, «Land for Industry – A Neglected Problem,» Harvard Business Review, marzo-aprile 1954, p. 51
[19] «Full Circle or Decentralization,» Architectural Record, maggio 1954, p. 170
[20] Frank Fisher, «Where City Planning Stands Today,»Commentary, gennaio 1954, p. 81
[21] Women’s Wear Daily, ottobre 8, 1952
[22] Arthur B. Gallion, op. cit., p. 165