Il parcheggio non è un diritto umano

Foto M. B. Style

Alzi la mano chi non ha mai ascoltato (o pronunciato di persona) la frase «vogliono impedirmi di andare a casa mia», quando in realtà il divieto riguardava semplicemente la sosta dei veicoli in un certo tratto di strada. Il fatto è, che per un lunghissimo periodo di tempo, calcolabile ormai su parecchie generazioni, consuetudini e leggi che da esse derivano tendono a considerare gli spazi urbani, e non solo urbani ovviamente, fruiti da esseri umani, come inscindibili da quella loro rinunciabile protesi che è il veicolo individuale. Nessuno qui, ovviamente, si sogna neppure di iniziare ragionamenti sul tessuto urbano tradizionale pre-veicolare, quello per intenderci che fu oggetto degli sventramenti ottocenteschi, e che oggi rimane testimoniale nei classici centro storici medievali, o (caso pressoché unico e per motivi particolarissimi) a Venezia. Proviamo invece, a riflettere accettando una ragionevole e anche capillare accessibilità meccanica di massa, ma senza per questo assumerne i caratteri, davvero patologici, secondo cui ad ogni singolo veicolo teoricamente pertinente uno spazio o funzione, debbano corrispondere superfici attrezzate fisse atte ad accoglierlo. Il territorio è una risorsa scarsa e non riproducibile, troppo vitale e preziosa per essere buttata nella pattumiera di un luogo comune tanto sciocco e meccanico.

La vulgata dello standard

Esistono dei criteri apparentemente scientifici di calcolo, che permettono di stabilire quanta, di questa preziosa risorsa-territorio, sia da sacrificare alla sacra categoria dell’accessibilità automobilistica (ovvero, meglio, di esseri umani trasportati su automobili). Ma, secondo moltissimi osservatori critici, si tratta di criteri che di fatto mettono più al centro il mezzo meccanico che non la sua funzione di trasportare efficientemente persone, e quasi sempre non corrispondono neppure a un verificato bisogno reale, come dimostrano se necessario quelle grandi superfici a parcheggio costantemente vuote, ma realizzate con forti impatti ambientali a partire da quei criteri «scientifici». Ci sono poi esigenze diverse di accessibilità, e relativa discrezionalità nei calcoli delle unità a parcheggio corrispondenti: dalle superfici sui lati delle strade a quelle dei piazzali nelle zone residenziali e miste, ai piazzali e silos per le funzioni produttive, terziarie, commerciali, e infine quel genere particolarissimo di sosta delle auto rappresentato dai poli di interscambio, ovvero là dove si parcheggia per salire su un mezzo pubblico. In questi ultimi casi in particolare, le superfici rappresentano anche un bene economico prezioso (per farci eventualmente altre cose), e le decisioni relative non dovrebbero dipendere da una applicazione meccanica di criteri che, oggi, paiono sempre più discutibili. Per ogni passeggero del mezzo si tratterebbe di calcolare una quota di spazi di sosta, ma: quanti? Troppo pochi sarebbero forse disincentivanti, ma troppi penalizzerebbero la qualità urbana.

Criteri

Di particolare interesse, i risultati di un recente studio comparato sull’effettivo sfruttamento dei parcheggi in cinque complessi di interscambio americani del tipo TOD-Transit Oriented Development, ovvero dove alla pura classica stazione con strutture di sosta (dove per esempio convergono gli automobilisti suburbani dai quartieri entro un certo raggio per usare le linee dirette verso i posti di lavoro), si aggiunge un esperimento di polo urbano a densità variabili, comprendente residenze, e/o commercio, servizi, attività economiche di solito terziarie, combinati a seconda del contesto e dell’estro degli imprenditori innovativi e delle amministrazioni locali che hanno accettato quella sfida. Trattandosi appunto di progetti innovativi anche nel rapporto fra insediamento e mobilità, i criteri di calcolo delle superfici a parcheggio necessarie sono stati ripensati, rispetto a quelli meccanici in uso nella quasi generalità dei casi, con taglia notevoli rispetto alle «linee guida tipo» usate di solito e recepite dalle norme municipali. Ed è davvero impressionante confrontare poi nelle tabelle su tre colonne di ciascuno di questi TOD, le quote di parcheggi (ergo di territorio sottratto per l’eternità alla natura, o temporaneamente a più intelligenti funzioni urbane) di queste linee guida, quelle effettivamente adottate, e quelle davvero sfruttate dagli automobilisti locali. Mediamente, sotto la metà. Con buona pace di chi ha nei confronti dello standard una specie di venerazione religiosa, per il solo fatto di essere norma sancita e vincolante. Magari un po’ di pensiero, a volte, non guasta.

Riferimenti
Smart Growth America, University of Utah, Department of City and Metropolitan Planning, Empty Spaces – Real parking needs at five TODs, gennaio 2017 (studio liberamente scaricabile registrandosi con l’email)

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