Il Problema Metropolitano Milanese (1991) Parte III: Il decentramento dei grandi poli funzionali

Decentramento e innovazione tra potenzialità e contraddizioni nel bacino milanese

«Gli anni ’80 hanno visto l’esplodere di Milano terziaria, il suo divenire città regione. Questo salto è stato affrontato con idee di fondo non chiare e con una grande ubriacatura: facciamo questo, facciamo quest’altro, spostiamo qui, spostiamo là. Il tutto senza individuare gli strumenti per realizzare certi obiettivi.Così se, dopo dieci anni, si tirano le reti, ci si ritrova con qualche sardina»i. Inutile probabilmente sottolineare l’ovvia assonanza tra le resti da pescatore citate da Chicco Testa, Ministro del governo ombra PDS, in un dibattito su un quotidiano locale, e quelle materiali o immateriali a cui il dibattito sulla transizione all’era postindustriali assegna ruoli taumaturgici definiti da varia terminologia, alternativi all’infrastruttura tradizionale. Quelli definiti «sardine» potrebbero anche essere i pochi risultati concreti ottenuti dal riuso di spazi industriali dismessi, nella prospettiva di una transustanziazione dell’area milanese, dal modello tradizionale e nuovi equilibri, attraverso un risanamento ambientale e miglioramento della qualità generale della vita, per occupare delle «nicchie» dentro una ampia rete di funzioni metropolitaneii.

La riorganizzazione delle funzioni sinora caratteristiche del core metropolitano sembra dunque diventata la cartina di tornasole per verificare l’effettiva disponibilità del variegato establishment milanese rispetto al salto nel buio verso nuovi equilibri della città metropolitana. Vale quindi la pena di riesaminare in questa prospettiva alcune componenti di questa riorganizzazione, come il decentramento della Fiera o quello del Politecnico, definiti a suo tempo «necessari» nel quadro sia di una equilibrata concorrenza tra Comuni che al rapporto «particolaristico» di questi col territorio metropolitanoiii.

Il decentramento del Politecnico

L’area Bovisa rappresenta all’interno del settore nord-occidentale di Milano una vera e propria enclave. Zona industriale di antica formazione, viene interessata dalla rapida dismissione o trasformazione del tessuto produttivo, con emergenze di grande rilievo soprattutto nell’area dell’ex Gasometro. L’arretrata ed inevasa domanda di servizi, sia di carattere locale che alla residenza e alle attività produttive, sia i poli di interesse urbano e metropolitano, hanno contribuito a determinare un diffuso degrado. Già a metà anni ’80 si qualificava l’area come sistema destinato prioritariamente ad intervento di trasformazione, considerando come obiettivi di fondo l’integrazione spaziale e funzionale tra le due stazioni ferroviarie (FNM e FFSS) e l’integrazione dell’area del Gasometro dentro la ridefinizione dei rapporti tra Bovisa sia col centro urbano che con l’area metropolitanaiv.

Nell’area del Gasometro, all’estremità occidentale rispetto al centro cittadino, si colloca il progetto che più di ogni altro sta a rappresentare il rilancio, non solo in termini puramente urbanistici, ma anche e soprattutto culturali e di immagine del quartiere: l’insediamento della seconda sede del Politecnico,in grado di accogliere 15.000 studenti, a conclusione di un dibattito durato oltre trent’anni sulla necessità di ampliare e decentrare l’istituto. Si intende insediare una parte del Politecnico su un’area di 432.000 mq, destinata per metà a verde, a realizzare obiettivi di interrelazione col quartiere, col resto della città e con la regione. La riqualificazione del settore urbano va di pari passo con l’instaurazione di rapporti con altri poli, urbani metropolitani e regionali: dunque il progetto Bovisa si si propone come nodo delle comunicazioni intermodali, tra quartieri e con l’esternov.

foto F. Bottini

Del resto proprio la questione dell’accessibilità a scala regionale era stata, indipendentemente dalle necessità di riqualificazione dell’area, alla base dell’individuazione di Bovisa come luogo privilegiato per il secondo polo urbano del Politecnico, che oltre ad alcune controindicazioni – peraltro comparabili con quelle di altri potenziali poli candidati – presentava un mix di caratteristiche positive indicate a presupposto: «disponibilità di aree, e in particolare di aree pubbliche, accessibilità, qualità ambientale, tessuto produttivo indirizzato all’innovazione tecnologica, buona disponibilità di servizi, buona disponibilità imprenditoriale, presenza di programmi pubblici»vi. Occorre però, come nel caso del decentramento di altre funzioni di alta qualità, distinguere tra la risposta a problemi accumulatisi nel tempo (sovraffollamento, obsolescenza) e la predisposizione di strategie per il futuro. Da questo punto di vista la costituzione del polo di Bovisa, intesa in sé, non risponde certo alla necessità di integrazione tra università e tessuto socioeconomico territoriale.

È solo alla scala metropolitana e regionale che è possibile affrontare questioni non più rinviabili quali il rapporto tra domanda e offerta di formazione universitaria, la collaborazione tra imprese innovative e ricerca accademica, infine il ruolo dell’università nella riqualificazione qualitativa in senso multipolare dell’area metropolitana e regionale. Un approccio questo che unisce alle strategie di decentramento un modello nuovo di world university orientata in tempo reale al dialogo col mondo internazionalevii e nello stesso tempo strettamente integrata al tessuto territoriale produttivo, sociale e dell’innovazione a cui fa riferimento, ampliando il senso del ruolo di «scuola nella città» del Politecnico. Per diversi motivi, dal punto di vista localizzativo di alcune funzioni, corrisponderebbero a questa logica molte delle ipotesi di decentramento, che dagli anni ’60 in poi gli studi del Pim hanno messo a punto, ed insieme alcune opportunità offerte dalla realizzazione di tecno-poli nell’area milanese.

L’opzione di Gorgonzola, considerata preferenziale fino alla fine degli anni ’70, ed ora apparentemente abbandonata, si colloca all’interno di una logica di riqualificazione del sistema universitario, così come di quello a scala territoriale metropolitana. Situata sull’asse nord-est, servita dalla linea della metropolitana e caratterizzata da una consolidata presenza di imprese innovative, l’area di Gorgonzola veniva indicata come principale polo per realizzare a scala comprensoriale, attraverso la costituzione di una «Città della Scienza», gli obiettivi di decongestionamento di alcune funzioni urbane di alto livello, ed insieme di riqualificazione di poli esterni. Più vicina al nocciolo urbano centrale, l’area Falck Vulcano ai confini settentrionali di Sesto San Giovanni, pure indicata come momento di riqualificazione urbanistica e funzionale di «Polo Ecologico», si candida a possibile sede di funzioni universitarie, eventualmente connesse alle imprese insediate.

Secondo gli studi del Pim, le università milanesi stanno agendo soprattutto in termini di adeguamento infrastrutturale alla domanda attuale di spazi d parte degli studenti, colmando il fabbisogno arretrato. La pianificazione delle strutture universitarie, oltre a far riferimento a un bacino padano, dovrebbe però puntare nell’area milanese ad uno sviluppo teso a soddisfare la vastissima domanda proveniente dal bacino metropolitano,articolando qualitativamente e territorialmente la propria offerta formativa ed allargando a scala europea il proprio ambito di influenzaviii. Dunque il decentramento multipolare si inserirebbe in una strategia di riqualificazione universitaria e territoriale insieme, inserita in piano nel processo di concorrenza internazionale tra sistemi territoriali di cui l’area milanese è partecipe.

Molte delle considerazioni in termini di accessibilità e di risposta ad una particolare domanda dell’utenza, alla base del focalizzarsi della progettualità su Bovisa, sono svolte considerando la realtà attuale, e dunque ancora nella logica antica dell’insediamento urbano, del bacino di utenza consolidatamente locale, senza calcolare la concorrenzialità tra sistemi. Se si considera che la scelta di Bovisa in base all’accessibilità discende in linea diretta dell’obiettivo del Passante, di valorizzare le aree centrali e semicentrali di Milano, se osservazioni esposte sopra acquistano maggiore incisività, confermate anche da alcuni orientamenti della pianificazione urbanistica comunale in ordine all’area: «La previsione relativa alle strutture universitarie, motivata dall’elevata accessibilità della città e della intera regione, deve essere rapportata sia alle esigenze di decongestionamento delle attuali sedi milanesi, sia alla necessità di promuovere comunque la realizzazione di un nuovo polo universitario completo nel nord-ovest regionale»ix.

Il decentramento della Fiera

Se si accetta il fatto che un circolo vizioso possa divenire luogo privilegiato per il confronto tra attori sociali, e quindi laboratorio del mutamento e dell’innovazionex, il dibattito recente e meno recente sulla questione del ruolo urbano della Fiera potrebbe essere indicato come sintomatico, ed emblematico della estrema vitalità socioeconomica milanese. Oltre queste considerazioni sui modi, vale però la pena soffermarsi sull’oggetto del contendere. Pur rappresentano, come l’università, una funzione pregiata, laFiera ha un ruolo direttamente economico di sicuro più incisivo nel contesto cittadino, con un giro d’affari annuo di circa 3.500 miliardi di lire che irrora l’indotto, costituito da alberghi, ristoranti, commercio di lusso, e imprese legate alla manutenzione dell’attuale sede e all’allestimento delle esposizionixi.

La questione del progetto Portello-Fiera (riordino della sede attuale ed espansione nell’area dismessa ex Alfa Romeo del Portello, e/o decentramento in altra sede da individuare nell’area metropolitana) non rappresenta quindi solo un evento importante di dimensione cittadina, grande progetto su un’area piuttosto prossima al centro, ma anche e soprattutto un fatto a scala metropolitana: direttamente e indirettamente costituendosi come possibile modello per altri interventi assimilabili alla medesima tipologia. L’insediamento fieristico si inserisce, a livello di settore urbano, in un’area che a partire dall’ex Gasometro della Bovisa, passando per la zona Garibaldi, è abitata da oltre 400.000 persone, e complessivamente interessata da tre grandi progetti del tipo aree dismesse, oltre che da altre micro-trasformazioni terziarie. La Fiera è un impianto per molti versi obsoleto, cresciuto per parti separate in epoche diverse, poco rispondenti alle esigenze attuali del mercato. La ristrutturazione radicale degli spazi espositivi e l’aggiunta di nuove strutture in loco si porrebbe quindi, dal punto di vista dell’Ente, non tanto un obiettivo di sviluppo ma di sola sopravvivenza. In questa prospettiva si individua l’area Portello confinante a nord con l’attuale recinto, e viene redatto un progetto di insediamento culminante in un grattacielo di trentacinque piani, nelle parole del progettista Pierluigi Spadolini «dovrebbe diventare l’emblema del cosmopolitismo economico e dell’internazionalità di Milano e della sua Fiera»xii.

Le variegate opposizioni ambientaliste osservano però come le proposte di intervento, precisandosi nel corso del tempo e delle fasi di stesura, si stiano gradatamente allontanando dall’obiettivo dichiarato di risolvere in modo ottimale la questione della Fiera, acuendone l’impatto negativo sul quartiere, e traducendosi in ulteriore e discutibile spinta alla terziarizzazione dell’area, indipendentemente dalle esigenze espositive e dalla presa in considerazione di soluzioni diverse,tra cui l’ipotesi del polo esternoxiii. Le citate soluzioni diverse, lungi da rappresentare una ennesima versione della «sindrome da comitato» che per altri versi sembra caratterizzare tanta interazione sociale nell’area milanese, sarebbero invece in linea sia con alcune esigenze e disponibilità espresse dall’Ente Fiera, sia con le prospettive di una possibile riorganizzazione in senso meno centripeto dell’area metropolitana, rese più concrete dalle legge 142/90. Nella realtà organizzativa che si verrebbe così a determinare, infatti, le funzioni strategiche svolte dal core metropolitano in funzione dell’intera area, si troverebbero ad occupare una funzione fisicamente centrale, giustificata ormai soltanto in termini storici ma anche storicamente generatrice di congestione e diseconomiexiv.

La scelta di mantenere il polo espositivo all’interno della città è stata fino ad anni recenti sostenuta dall’amministrazione comunale, identificando il sistema Portello Sud-Fiera come «centro della comunicazione di affari; polo espositivo, centro congressi, centro di affari e della comunicazione, con funzioni complementari»xv. Anche l’ipotesi di decentramento ha una storia di proposte concrete al suo attivo, sostenute principalmente dal costruttore Giuseppe Cabassi e da Silvio Berlusconi, interessati a valorizzare i propri investimenti nell’area metropolitana meridionale, alternativa al progetto municipale milanese di mantenere la Fiera come polo d’affari strettamente legato all’immagine della città. E c’è anche un’idea di decentramento della Fiera a Rozzano con cui il principale partito della sinistra intenderebbe esprimere insieme alla propensione metropolitana una «alta cultura di governo»xvi.

In effetti le candidature di Lacchiarella e Rozzano, nel settore metropolitano meridionale già interessato da una logica di grandi poli funzionali – Milano Tre, il Girasole, Milanofiori – sembrano incontrare diffuso consenso tra le parti politiche, ed ovvio entusiasmo da parte di Berlusconi e Cabassi, interessati a gestire un ulteriore progresso nell’assimilazione anche della fascia agricola irrigua al modello dell’insediamento compattoxvii. Ma c’è l’ovvia contraddizione del Parco Sud, a tutte queste ipotesi di decentramento del polo espositivo nella fascia meridionale: l’idea cintura verde per interrompere il tendenziale sviluppo a macchia d’olio su cui concorda tutta la pianificazione territoriale dal dopoguerra in poi, e che si somma con le altre ipotesi di parchi regionali come il Ticino le Groane e l’Addaxviii.

La recenti proposte di insediamento della Fiera a Lacchiarella o Rozzano si inserirebbero peraltro in una situazione già intaccata dall’inadeguatezza della pianificazione locale a rapportarsi a strategie di ampio respiro territoriale. In insieme di insediamenti a varia destinazione funzionale, configurato sistematicamente secondo uno o più sistemi lineari dae per il centro di Milano, che rafforzato dall’insediamento fieristico e relative infrastrutture di servizio, oltre che dalla crescita di altri progetti minori, introdurrebbe discontinuità nel sistema Parco. E per giunta nessuna delle ipotesi di decentramento citate non potrebbe realizzarsi entro i tempi indicati dall’Ente Fiera per il proprio rilancio europeo, determinando tendenzialmente e inutilmente una situazione di grande impatto ambientalexix.

A ben vedere, anche se fisicamente traslato di qualche chilometro, un ipotetico insediamento fieristico tra le risaie del Sud Milano, più che alle legittime domande di decentramento, sembra corrispondere ad una modalità di approccio alle questioni metropolitane al tempo stesso limitata e radicata, riassumibile in: «se la mancata sovrapposizione dell’immagine del capoluogo lombardo alla sua identità territoriale produce uno scompenso, che si traduce nel fatto che il pomerio è più importante di ciò che è contenuto nelle mura, lo sfasamento tra Milano e il suo ideale hinterland continentale le sta sottraendo quella storica apertura al nuovo che l’ha sempre sostenuta, costituendone quasi il carattere originario, disponibilità della quale è anticipazione e figura la sua stessa pervietà geografica»xx.

foto F. Bottini

All’interno di un dibattito caratterizzato dalle numerose – spesso fantasiose – ipotesi di rilocalizzazione di un fattore certamente strategico nell’assetto metropolitano, appare giustificato anche lo scetticismo della stampa di informazione locale, che osserva come lo spazio espositivo, simbolo del solido e costruttivo spirito imprenditoriale lombardo, «doveva andare a Lacchiarella, Assago, Lambrate, salire a nord fra Pero e Rho, o addirittura spingersi fino a Gorgonzola. In realtà ci sono buone possibilità che non si sposti affatto dalla sua tanto contestata sede attuale»xxi. In una situazione di dibattito scientifico e istituzionale ancora estremamente dinamica nel momento in cui si scrivono queste note, vale comunque la pena di elencare tre scenari di massima:

  • opzione urbana – nel recito fieristico dell’insediamento tradizionale più la zona Portello, che si scontra con alcune istanze espresse dagli abitanti, relative a bisogni arretrati di qualità residenziale dell’area tendenzialmente e negativamente (rispetto al bisogno della Fiera) legate alle opportunità strategiche delle aree industriali dismesse nel settore urbano nord-ovest.
  • opzione metropolitana – in Parco Sud, ideale in termini dimensionali ma carente dal punto di vista infrastrutturale, che si scontra con l’opposizione tradizionale a qualunque grande progetto di insediamento, soprattutto con l’idea della continuità della fascia agricola verde metropolitana di interposizione, interrotta da un sistema compatto lineare, sia dell’insediamento fieristico che di altre dinamiche indotte sull’asse Milano-Lacchiarella.
  • opzione metropolitana allargata – valutata sia in base alle opportunità centrali (esposizioni leggere nell’area tradizionale ristrutturata senza espansione a Portello) che decentrate (sia a sud che a nord, senza escludere nessuna opzione anche parziale, da Gorgonzola a Pero), e tenendo conto sia delle necessità della Fiera che delle potenzialità e doveri della pianificazione strategica della Città Metropolitana, cercando di porre in secondo piano l’approccio di «progetto locale» di solito fonte di opposizioni ambientaliste in grado di procrastinare indefinitamente qualunque decisione.

Un documento discusso in una riunione del Dipartimento di Scienze del Territorio, dedicata ai problemi di rilocalizzazione della Fiera, sottolinea come «dai tempi del trionfo dell’ideologia le scienze urbane e territoriali hanno fatto molti passi in avanti. La credibilità dei piani e dei progetti urbani, la loro stessa legittimità, si fondano ora su metodi e tecniche di valutazione anche molto sofisticati, sicché non ci si può più accontentare dei bei disegni, quattro dati numerici, e alcune dichiarazioni fideistiche»xxii. Un genere di argomentazioni che non paiono neppure sfiorare la stampa locale quando rilancia l’arma finale del «Grattacielo più alto d’Europa» nel bel mezzo del parco agricolo dove dovrebbe sorgere addirittura «una terna di colossi di cristallo degradanti» col più piccolo comunque di altezza superiore al grattacielo Pirelli. Così che senza apparente motivo salvo un bel disegno «Assago entra di diritto nella corsa in atto per accaparrarsi il polo esterno della Fiera»xxiii. Ma in realtà si tratta dell’ennesima sparata ad effetto che si aggiunge alle «tonnellate di progetti invecchiati che intasano la mente dei politici e paralizzano la possibilità di pensare il nuovo»xxiv.

Ricapitolando: il problema di un nuovo soggetto metropolitano

La nuova dimensione delle questioni connesse alle prospettive introdotte dalla legge 142/90, impone l’abbandono di una idea di città relativamente consolidata in termini culturali, così come in quelli relativi agli strumenti di intervento e alle modalità di coinvolgimento degli attori, e questo appare con particolare evidenza nella disamina di un singolo problema: i «vuoti urbani» determinati dalla dismissione industriale. Se la rete tecnologica territoriale e di rapporti sociali che si intende costituire vuole essere effettivamente rispondente alle funzioni di un sistema locale, inserito nella competizione internazionale, appare evidente come tale obiettivo non possa essere perseguito proseguendo nella negazione dello stesso sistema a rete, caratteristico di chi accentra risorse come succede con le attuali strategie di riuso e recupero di spazi.

Val la pena ricordare come in anni certo non sospetti di massimalismo, il Sindaco Carlo Tognoli osservasse: «È fuor di dubbio che Milano e la sua area metropolitana stanno dando da vari anni allo sviluppo economico, culturale e sociale del paese, un contributo che punta in misura sempre più consistente nella direzione del cosiddetto terziario avanzato. Una simile constatazione, per quanto corretta, non è tale tuttavia da legittimare quell’atteggiamento riduttivo e pericolosamente censorio che ci induce tropo spesso a mettere fra parentesi tutti gli aspetti, gli episodi urbanistici, i luoghi che non rientrano nell’immagine unitaria che, per inerzia, ci portiamo dentro della nostra città»xxv. Dal punto di vista propositivo, anche se la questione sembra porsi ancora in termini culturali prima che operativi, gli spunti che emergono dal dibattito attuale sembrano suggerire che, innanzitutto, occorrerebbe individuare un nuovo sistema di nodi a scala metropolitana, e valorizzarne le vocazioni puntuali insieme alle complementarità.

Scelta non facile, quella dell’abbandono di un certo modo di intendere la centralità, a favore di un sistema meno gerarchizzato, ma nello stesso tempo si vedrebbero con ogni probabilità avviate a soluzione tutte le questioni riassumibili nel termine «decentramento» e vissute dalle comunità del bacino metropolitano in termini di tributi, a cui non corrisponde alcun innalzamento di qualità urbana, se si esclude la vicinanza del nucleo centrale. Del resto gli scenari che, fuori di retorica, costituiscono lo sfondo più o meno consapevole della vita quotidiana dei milanesi, sono già da tempo determinati dal fatto che «la stessa città che sino a poco tempo fa, forse ancora oggi, poteva essere concettualizzata come insieme di pareti e di spazi, rispettivamente privati dietro le pareti, e pubblici davanti, oggi e soprattutto domani, può essere concettualizzata come insieme di tubi e terminali»xxvi. Aggiungiamoci il fatto che nella auspicabile logica policentrica e meno gerarchizzata in termini spaziali, unita alla moltiplicazione e trasparenza dei rapporti sociali ed istituzionali (a cui risponderebbe simbolicamente una ripresa idea di architettura double face), si riuscirebbe a superare una politica di semplice risarcimento dei danni del monocentrismo, per i comuni del bacino metropolitano, inducendo meccanismi di effettiva valorizzazione delle vocazioni locali, e interazioni meno soggette alla gerarchia urbana tradizionale.

Per il capoluogo ciò potrebbe tradursi certo in una perdita di monopolio localizzativo e – di fatto se non di diritto – decisionale. Comunque ripagato con la realizzazione del decentramento nei termini auspicati più o meno da tutti: solo per fare un esempio con l’attenuazione della conflittualità sui grandi progetti insediativi, percepiti meno come imposizione dall’esterno e più in termini di scambio. Come sottolineato dai recenti contrasti fra strategie urbanistiche e militari-poliziesche, nello stabilire un primato eventuale sui modi di uso del territorio nelel periferie urbane, «è sufficiente al riguardo pensare che un quartiere periferico milanese ha da solo una popolazione che lo collocherebbe tra le grandi città lombarde. Ma il quartiere periferico non ha una rappresentanza politica, né il governo della città centrale può in effetti seriamente rappresentarlo, in quanto è noto che, per il rilievo che nell’amministrazione della cosa pubblica (e non solo pubblica) assumono i simboli, il governo comunale è di fatto più attento ai problemi del centro cittadino o ai problemi che sono collegati ai grandi interessi della città, piuttosto che a quelli periferici»xxvii.

La definizione di una strategia metropolitana può dunque, in definitiva, essere affrontata pur all’interno di un quadro di coerenze, con differenti prospettive? Si possono ad esempio individuare come centrali alcune funzioni di carattere produttivo, oppure stabilire a priori la centralità del fattore immagine, e tutto questo tenderà a porre in promo piano alcuni interventi – o centralità territoriali-tematiche – rispetto ad altri. Ed è a ben vedere proprio l’individuare queste centralità strategiche a definire, indipendentemente dal superficiale meccanismo delle alleanze tattiche tra soggetti, l’indirizzo e la stessa esistenza di politiche territoriali. Basta accennare alla questione ambientale (in queste note solo indirettamente sfiorata) per evocare fantasmi troppo spesso rimossi, del rapporto tra democrazia reale, ambiente e sviluppo socioeconomico: fantasmi che la stampa nazionale e locale ben riassume nelle immagini di agenti di polizia schierati a difesa di qualche grande discarica di rifiuti.

Piaccia o meno «la conversione socioeconomica di aree industriali che hanno consumato la base materiale della propria sopravvivenza presenta un passaggio obbligato: la riqualificazione ambientale. Investimenti giganteschi e di lungo periodo devono affrontare i bisogni strategici di qualità ambientale e di identificazione per poter porre le basi di un nuovo sviluppo. Senza questa mobilitazione di riserve economiche e culturali, queste aree sono destinate a un progressivo declino e marginalizzazione rispetto a modelli culturali innovativi che altrove propongono risposte ai bisogni strategici di riqualificazione socio-territoriale»xxviii. È comunque certo che i vuoti urbani – intesi sia in senso fisico che in termini di consenso e identità, determinati dalla ristrutturazione del sistema produttivo interno al comune di Milano così come in quelli del bacino metropolitano, debbano in qualche modo essere riempiti. Resta da chiedersi quali forme dovrebbe assumere la progettazione territoriale della nuova entità, per potersi davvero connotare come strategica in un alogica metropolitana che si impone, ora, non più solo come vago ed elastico orizzonte problematico, ma leva in grado di determinare, agendo sui fulcri delle tensioni locali, un diverso soggetto in grado di assumersi scelte non più ristrette al dialogo tra centro e periferia, ma tendenzialmente impostate sullo scambio tra soggetti complementari, compartecipi di uno sistema integrato.

Dal punto di vista della cultura urbanistica, resta da auspicare come e quanto agli intricati processi in atto, pur se inevitabilmente su nuove basi, si possa innestare il lungo e fruttuoso processo del Piano Intercomunale Milanesexxix. Sul ponderoso storico numero di Urbanistica dedicato al Pim si collocava la figura del cosiddetto Urbanista Condotto «nella prospettiva politica di una progressiva articolazione degli Enti Locali, di una democrazia di base, che rappresentava allora una delle istanze di fondo della sinistra italiana»xxx. Non occorre alcuno sforzo particolare per riconoscere nel graffito che conclude questa escursione tra alcuni temi sollevati nell’area milanese dalla 142/90, il senso della processualità, che oltre le semplificazioni pretestuosamente abborracciate da chi pare sognare solo ubique curtain walls riesca ad esprimere una vitalità di grande organismo, fortunatamente sproporzionato rispetto a certe abbastanza miserabili pretese di cui si è comunque cercato di dare oggettivo conto.

da: Archivio di Studi Urbani e Regionali, n. 41, 1991 – Qui la Seconda Parte

NOTE

iG. Vergani, «La città futura? Va costruita ora», la Repubblica ed.Milano, 23 maggio 1991

iiCfr. G. Dematteis, «La scomposizione metropolitana», in L. Mazza (a cura di), Le città del mondo e il futuro delle metropoli – Partecipazioni internazionali, Catalogo della XVII Triennale, Electa, Milano 1988

iiiCfr. G. Marcotti, «Il processo di terziarizzazione a Milano e il recupero industriale», in S. Graziosi (a cura di), Atti del Convegno: le Aree dismesse di Milano, una risorsa per migliorare la qualità della vita, Acli, Milano 1988

ivCfr. Comune di Milano, Progetto Passante, Documento Direttore, febbraio 1984

vCfr. C. Macchii Cassia, «Progetto Bovisa, molti significati per una esperienza», Dst, n.6, settembre 1990

viA. Moretti, P. Demaestri, «L’analisi delle reti di trasporto per la definizione del criterio di accessibilità di localizzazioni alternative: il caso del Politecnico di Milano», Dst, n. 1, dicembre 1988

viiCfr. G. Longhi, «Criteri di progetto per gli interventi nel sistema metropolitano lombardo, in Irer, Città metropolitana (capo IV della legge 142/90), Milano 1991

viii Cfr. Centro Studi Pim, «Area metropolitana milanese», in IreR, Città Metropolitana … 1991, Cit.

ixComune di Milano, Linee programmatiche per il Documento Direttore sulle aree dismesse o sottoutilizzate. Orientamenti di progettazione urbana, Relazione illustrativa, prima stesura, luglio 1988

x Cfr. P. Crosta, «Anomalia e innovazione, come si coniugano nelle politiche pubbliche e private di produzione del territorio», Archivio di Studi Urbani e Regionali n. 17, ora in P. Crosta, La politica del piano, F. Angeli, Milano 1983

xi Cfr. L. Mazza, «L’Ente Fiera di Milano e l’ingegneria finanziaria. Trecento miliardi cercansi …», Dedalo, n. 3, 1989

xii L. Mazza, «Un grattacielo simbolo di internazionalità», Dedalo, n. 1, 1989

xiii Cfr. Verdi Ambiente e Società, Speciale Portello. Le critiche dei cittadini al progetto Portello Fiera e le proposte alternative all’utilizzo dell’area, opuscolo a cura dei gruppi consiliari Verdi Sole che Ride, zone di decentramento 6-9-12, Milano 1991

xiv Cfr. R. Camagni, M.C. Gibelli, «L’area metropolitana milanese e la 142: un approccio economico economico e territoriale in termini di organizzazione a rete dei centri urbani», in in Irer, Città metropolitana … 1991, Cit.

xv Comune di Milano, Linee programmatiche per il Documento Direttore sulle aree dismesse … 1991, Cit. p. 40

xvi Partito Democratico della Sinistra, Il Pds nell’area metropolitana milanese, note di discussione, documento per l’assemblea dei delegati, Milano 8-10 marzo 1991

xvii Cfr. E. Lucchesi, «Polo esterno per la Grande Fiera», Dedalo, n. 3, 1991

xviii Cfr. A. Boatti et.al, Sud Milano: una grande area di riequilibrio territoriale ed ambientale per la metropoli, Clup, Milano 1987

xix Cfr. Verdi Ambiente e Società, Speciale Portello … 1991, Cit.

xx F. Purini, «Fiera di Milano», Domus, giugno 1991

xxi «Fiera: è un mistero buffo», la Repubblica ed. Milano, 26 settembre 1991, p. III

xxii Per una valutazione delle scelte possibili sul futuro insediativo della Fiera di Milano, documento del Dipartimento di Scienze del Territorio del Politecnico di Milano, discusso nella riunione 11 giugno 1991

xxiii S. Marziali, «Tris di grattacieli per la Fiera», Corriere della Sera, 20 settembre 1991, p. 47

xxiv G. Rossi Barilli, «Portello Fiera: un caso emblematico», il manifesto ed. Milano, 28 luglio 1991

xxv C. Tognoli, Prefazione a G. Basilico, Milano ritratti di fabbriche, Sugarco, Milano 1982

xxvi B. Secchi, Nuove tecnologie e territorio, in A. Ruberti (a cura di) Tecnologia domani, Laterza, Bari 1986

xxvii Associazione interessi metropolitani, «Analisi e proposte per la periferia di Milano, il caso di Affori e della Martesana», Studi e proposte per Milano e la Lombardia, Quaderno n. 11, 1991

xxviii A. Magnaghi (a cura di), Valle d’acque – Linee di programma per un progetto integrato di bonifica e valorizzazione territoriale e ambientale dell’area ad alto rischio ambientale dei fiumi Lambro, Seveso, Olona, documento del Comitato promotore Coordinamento Lambro Seveso Olona, Milano 1991

xxix Cfr. G. Beltrame, La vicenda del Piano Intercomunale Milanese e le difficoltà della pianificazione comunale, Pim. Milano 1990

xxx M. Romano, «L’esperienza del Piano Intercomunale Milanese», Urbanistica, n. 50-51, ottobre 1967

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