Nella seconda metà degli anni ottanta André Corboz coniò la fortunata metafora del “palinsesto” per definire la natura del territorio. Secondo questa metafora il territorio costituisce allo stesso tempo sia l’esito che la forza propulsiva di processi stratificati e intrecciati, fatti di cancellazioni, sostituzioni, sovrapposizione di interventi, nuovi usi e reificazioni. Difficilmente si trovano luoghi come il sottosuolo della Città di Napoli che rendono la potenza di questo concetto così evidente, con immagini veementi e significative.
In particolare l’area sottostante il Monte Echia nella zona di Pizzofalcone nel quartiere San Ferdinando, dove si sviluppa Il tunnel borbonico tra le attuali via Morelli e Piazza del Plebiscito; realizzato tra il 1853 e il 1855 su incarico dello stesso Ferdinando II di Borbone e progetto dell’architetto Errico Alvino, uno dei più celebrati architetti napoletani dell’epoca. Dal punto di vista delle finalità, l’opera non si distingue per originalità rispetto ad infrastrutture analoghe in quanto a servizio di obiettivi i di tipo militare e strategico, per poter muovere velocemente truppe e artiglieria e/o assicurare una rapida via di fuga in caso di tumulti.
Ciò che invece la rende straordinaria è il luogo attraverso il quale si sviluppa questa galleria sotterranea scavata nel tradizionale tufo giallo che, date le particolari condizioni del contesto geologico e idrogeologico, si posiziona ad un livello immediatamente inferiore rispetto al complesso di strutture idrauliche, gallerie, pozzi, cisterne che costituivano il seicentesco acquedotto del Carmignano e del Bolla e che consentivano l’approvvigionamento di acqua di falda per gli edifici della zona. È anche straordinario l’approccio progettuale che, nonostante i limiti delle tecnologie costruttive dell’epoca, ha fatto in modo che il complesso sistema idraulico non venisse distrutto dal nuova galleria, conservandone sia gli elementi principali quali cisterne e pozzi che gli elementi accessori costituiti dal fitto sistema di cunicoli e passaggi a servizio delle attività dei cosiddetti “pozzari” addetti alla gestione e manutenzione dell’acquedotto.
La galleria sotterranea è stata sede di diverse attività negli ultimi centocinquanta anni. Una volta dismessa la funzione militare ottocentesca è stata sede di alcuni rifugi antiaerei nel corso della seconda guerra mondiale e, successivamente utilizzata quale deposito giudiziario del Comune di Napoli fino ai primi anni 70. Dismessa quest’ultima funzione, è stata riempita in modo incontrollato da detriti e rifiuti, rendendola inaccessibile e in stato di completo abbandono fino a qualche anno fa. A seguito dell’intervento di alcune associazioni di volontari (geologi, speleologi, storici) il tunnel è stato liberato da detriti e rifiuti, e reso accessibile al pubblico.
Ovviamente il recupero del sito, data la molteplicità delle vite vissute, ha fatto riemergere reperti di particolare interesse. Basti pensare alle meraviglie dal punto di vista delle costruzioni idrauliche, piuttosto che ai reperti storici e ai manufatti derivanti dalle modifiche prodotte per rendere abitabili i rifugi antiaerei, nonché la sorta di museo dell’automobile ricavato dai mezzi custoditi dalla fine della guerra agli anni 70.
A rendere ancora più suggestivo il percorso ricavato dal recupero del Tunnel c’è anche un ulteriore collegamento sotterraneo che consente di visitare un’altra opera, questa incompiuta, che costituisce a suo modo un monumento: allo spreco di danaro pubblico. Qui si entra nella contemporaneità e, in particolare, in quel periodo (gli anni 80) abitato da impulsi alle grandi opere ed eventi straordinari che hanno alimentato le macerie del nostro debito pubblico (un po’ deja vu come prospettiva).
Stiamo parlando della famigerata (per chi se lo ricorda) Linea Tranviaria Rapida (LTR) un’idea nata nei primi anni 80 e che ha avuto un’accelerazione dal punto di vista della sua realizzazione sotto la spinta dei Mondiali di calcio del 1990, che prevedeva la costruzione di una “metropolitana leggera” di circa 17 km. di lunghezza con l’obiettivo di collegare i grandi quartieri orientali (Ponticelli) con quelli occidentali (Fuorigrotta) della città. Ovviamente, data la configurazione morfologica della città, una buona parte di questo collegamento si sarebbe dovuto sviluppare in sotterranea, con l’attraversamento di alcune colline come, nello specifico quelle di Pizzofalcone e Monte Echia.
La LTR non è mai entrata in esercizio completamente e la tratta in galleria del Monte Echia lunga circa un paio di chilometri è stata realizzata e successivamente abbandonata. Al di là delle vicende che hanno determinato il fallimento e l’abbandono complessivo di questo progetto, il tratto di galleria in questione non si sarebbe mai potuto completare comunque per evidenti errori di progettazione e per la sottovalutazione del contesto attraversato le cui caratteristiche avrebbero dovuto comportare il completo rifacimento e consolidamento delle volte con un’esplosione dei costi nonché la distruzione di parti importanti dell’acquedotto seicentesco.
Attraversare il percorso della galleria a servizio della tranvia oggi abbandonata, dopo aver visitato le parti precedenti dell’itinerario (tunnel e rete dell’acquedotto) costituisce un’esperienza che induce a riflessioni amare sulla capacità dei “contemporanei” di pianificare, progettare e realizzare grandi opere soprattutto considerando l’enorme divario dal punto di vista delle potenzialità oggi disponibili sul versante della tecnologia costruttiva e della diagnosi preventiva. Il campo delle perplessità non è certo sgombrato da certe recenti realizzazioni di grandi interventi infrastrutturali che denunciano vecchi vizi e approcci. Cari ingegneri, un consiglio: andate a vedervi il Tunnel Borbonico di Napoli.
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