Incombe la Mega-Città Planetaria (2008)

L’ecologa Nancy Grimm della Arizona State University e i suoi colleghi si pongono delle domande. “Quando pensiamo al cambiamento globale, ci vengono in mente immagini di calotte ghiacciate che si sciolgono o di pascoli al posto di foreste tropicali” spiega la Grimm. “Che cosa determina questi cambiamenti?”. In realtà, gran parte degli attuali impatti ambientali trae origine dalle città, e con lo spostamento delle tendenze demografiche verso le città probabilmente l’impronta urbana continuerà a crescere”.

Le sfide urbane riguardano le comunità di tutto il mondo, e le soluzioni sono ancora all’inseguimento. La Grimm e i suoi colleghi propongono una prospettiva di sviluppo per le città. Le loro analisi colgono alcuni degli elementi comuni che si troveranno di fronte pianificatori e società, considerando le città sia come origine della trasformazione ambientale che come fonte delle possibili risposte. Gli studiosi costruiscono una mappa delle sfide socio-ecologiche e delle trasformazioni che attendono tutte le città, ma con particolare attenzione per quelle nelle regioni in rapido sviluppo, come Cina e India.

Cambiamenti che vanno da copertura e uso del suolo, smaltimento dei rifiuti urbani ed effetti delle isole di calore sul cambiamento climatico globale, sistemi idrici, cicli di biodiversità e biogeochimici. Complessivamente, gli autori dimostrano come le città siano di per sé dei notevoli ecosistemi, ricchi di complesse interazioni umano-ambientali con impatti di vasta portata.
L’articolo, “Global Change and the Ecology of Cities”, è stato pubblicato dalla rivista
Science l’8 febbraio 2008. Oltre alla Grimm, gli autori sono gli ecologi John Briggs, Stan Faeth, e Jianguo (Jingle) Wu della School of Life Sciences; l’archeologo Charles Redman, direttore della School of Sustainability; a loro si aggiungono i ricercatori Nancy Golubiewski dal New Zealand Centre for Ecological Economics, e Xuemei Bai di CSIRO Sustainable Ecosystems in Australia.
“Le città, e le persone che ci stanno, saranno determinanti per la biodiversità globale il funzionamento dell’ecosistema” spiega Wu. “É inevitabile, il percorso di un’urbanizzazione sostenibile, verso quella regionale e globale”.

Città come ecosistemi

Per un decennio, Grimm, Redman e almeno un’altra dozzina di coordinatori di ricerca sono stati pionieri degli studi urbani in uno dei primi programmi ecologici di lungo termine (LTER) pensato attorno ai contesti delle città. In uno dei due programmi finanziati dalla National Science Foundation (NSF) – l’altro è il Baltimore Ecosystem Study in Maryland – CAP LTER, i ricercatori hanno esaminato le componenti vive e non di una città, coinvolgendo urbanisti, ingegneri, sociologi e altre discipline, e chiarire la natura dinamica di questo “ecosistema ascendente”.
“Le aree urbane sono punti fondamentali in cui si orienta la trasformazione ambientale” spiega John Briggs. “Sono sistemi socioecologici complessi, adattivi, di produzione e consumo, in cui la produzione di servizi entro l’ecosistema lo lega alla società a livelli multipli”.

È la rapida crescita di Phoenix ad offrire una piattaforma di partenza ai ricercatori di CAP LTER, in quanto laboratorio che si evolve da un “prima” verso un “poi”. Phoenix è la quinta città degli Usa, e la popolazione dell’area metropolitana è di oltre 4 milioni di abitanti. Il suo sviluppo è emblematico di quanto avviene in generale dell’Ovest del paese, che si prevede sperimenterà le maggiori percentuali di crescita di popolazione nei prossimi 20 anni.
“Phoenix, e le città in generale, sono microcosmi in cui avviene il tipo di trasformazione che accade globalmente” nota Grimm. “Nei cicli biogeochimici, ad esempio, si evidenziano i sintomi di squilibrio fra azoto, anidride carbonica, ozono e altri elementi chimici che contribuiscono a creare globalmente”.

Vita sulla frontiera

Le città si stanno dimostrando un campione di coltura per le ricerche ambientali. Gli studi degli ecologi urbani rivelano che la temperatura nei centri è più elevata. Noto come effetto isola di calore, ovvero 1-6 gradi in più delle zone urbane e suburbane rispetto a quelle rurali, secondo la Environmental Protection Agency. Questo aumento delle temperature si traduce in “incrementi nella domanda massima di energia, in costi per il condizionamento dell’aria, in maggiori livelli di inquinamento, nelle malattie e mortalità legate al caldo”.
Basta un aumento di un grado nelle temperature per far balzare in media il consumo idrico domestico delle famiglie di 1.400 litri al mese. Comunque, le conoscenze sull’effetto isola di calore hanno anche significato innovazione e l’affermarsi di nuove tecnologie più amiche dell’ambiente, come materiali da copertura tetti molto riflettenti, o composti riciclati di gomma-asfalto per le strade.

Ma non tutto ciò che si verifica nelle città rimane lì. La Grimm spiega che gli ambienti rurali ai margini delle città mostrano modificazioni nei suoli, nelle strutture edificate, negli insediamenti umani, nella composizione della flora e della fauna, con ulteriori impatti sugli ecosistemi di frangia. Tutti gli autori auspicano una riflessione sul futuro delle città e i loro effetti, così come riassume l’urbanista ed esperto di strategie pubbliche Robert Lang, del Virginia Polytechnic Institute e State University. Lang ritiene che l’impronta delle città si sia gonfiata a dismisura, al punto che “le città non sono più entità indipendenti, ma organizzate secondo un ristretto numero di regioni megapolitane in tutto il globo, dove si conglomerano i centri urbani delle varie aree”

“Ciò che vediamo è che praticamente ovunque nel mondo gli ambienti subiscono gli impatti della crescita e delle attività di centri urbani vicini e lontani” spiega Redman. “Dobbiamo comprendere la complessità degli impatti della rapida urbanizzazione globale sia entro i confini delle città che su territori a distanze sempre maggiori”.
Come è possibile considerare tanti cambiamenti e sfide in una qualunque prospettiva unica? Uno dei modi più recenti è quello di considerare i sistemi urbani come entità biologiche: organismi che usano risorse e producono rifiuti. Anche se molto discussa, questa prospettiva integrata può essere utile ad interpretare cose come i cicli biogeochimici delle città, e analizzarne gli effetti regionali e globali. Ad esempio, le città sono sorgenti puntuali di anidride carbonica e altri gas serra, e luoghi in cui si depositano le sostanze nutrienti di origine antropica. Ciò che le città proiettano all’esterno assume le forme dell’
aerosol urbano, come l’azoto atmosferico emesso dai fast-food o dai prati molto curati.

Studi di Sharon Hall, ecologa al College of Liberal Arts and Sciences dell’Arizona State University, e della Grimm, hanno rilevato come i prati irrigati e fertilizzati rilascino più ossido di azoto, potente gas-serra, di quanto non facessero i terreni originali deserti che li hanno preceduti. Inoltre, coi prati c’è una produzione costante di ossido d’azoto su tutto l’arco dell’anno, il che contribuisce alla produzione di ozono nella troposfera e a incrementi nello smog fotochimico dell’area regionale.
“Le emissioni globali di protossido di azoto (N2O) e ossido di azoto (NO) sono drasticamente aumentate nello scorso secolo a causa dell’attività umana, agricola e per combustione di carburanti fossili” nota Hall. “Stiamo scoprendo ora il ruolo dei centri urbani in questa equazione, e in che modo città come Phoenix hanno impatti sui territori circostanti, oltre a contribuire al clima regionale e globale”.

Studi degli ultimi dieci anni condotti da Wu e dai suoi studenti utilizzando l’analisi geospaziale e i modelli al computer mostrano come l’ambiente urbano di Phoenix sia diventato enormemente più complesso ma ecologicamente più frammentato. Inoltre, gli incrementi di temperatura, anidride carbonica e azoto indotti dall’urbanizzazione, influenzeranno significativamente la produttività, i cicli di carbonio e azoto, oltre ad una serie di processi biogeochimici degli ecosistemi locali, alterandone funzionalità e servizi.

L’evoluzione e la città

Gli studi sulla biodiversità urbana sono egualmente rivelatori. L’ambiente delle città altera la composizione delle specie, le biomasse la distribuzione, la funzione degli ecosistemi. Studi del CAP-LTER e di altri gruppi mostrano come, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le attività umane incrementano i tipi di piante e la distribuzione degli habitat, e introducono una componente socio-economica. Nei quartieri più agiati si piantano specie esotiche ed emerge una maggiore eterogeneità da giardino a giardino.
Uno degli autori, Faeth, ha rilevato un forte aumento di uccelli e artropodi come le cavallette entro I confine urbani: anche se al prezzo della diversificazione dei tipi. Inoltre, le specie adattate all’ambiente urbano spesso prosperano a spese di quelle indigene, e gli effetti di lungo termine si possono proiettare su una modificazione dei caratteri storici della vita e, potenzialmente, sull’evoluzione. Dunque, osserva Faeth, le città sono arene ecologiche e di evoluzione dove si crea un nuovo ambiente, con effetti selettivi tali da modificare flora e fauna, ivi compresa la “fauna” umana, e si tratta di ambienti che diverranno ancora più prevalenti a scala mondiale. Il saggio indica come, a livello mondiale, le città alterino i comportamenti, le fisiologie, il manifestarsi delle patologie, le densità di popolazione, morfologia e genetica degli organismi che le abitano.

“Le città creano comunità biologiche inedite, che indipendentemente da quanto siano “non naturali” sono quelle conosciuta dalla gran parte degli esseri umani e che verranno vissute nel futuro”, spiega Faeth.
“Sapere come funzionano le città, come i “servizi all’ecosistema” che esse offrono possano essere migliorati attraverso pianificazione e progettazione urbana, ci dà la possibilità di migliorare la qualità di vita agli abitanti vegetali, animali e umani” spiega la Grimm. “Anche se ogni città e il suo ambiente circostante sono diversi, studi di ecologie su quelle diversità, la partecipazione degli ecologi alle decisioni, possono individuare soluzioni applicabili a molti casi”.

La National Science Foundation è diventata parte attiva del programma di lungo termine di studi urbani nel 1997 con l’attivazione degli studi LTER su Arizona centrale e Baltimora. Da allora, NSF ha ampliato il proprio sostegno al tema della ricerca sui sistemi urbani articolandolo in molte direzioni, che rispecchiano la complessità del problema, e che vanno dalle scienze biologiche, a quelle della terra, alle sociali, studi comportamentali, economici, programmi di ricerca ambientale e di educazione.
“L’agglomerazione di persone nelle città risulta sempre più dominante nei cambiamenti ambientali a livello globale, ed è chiaramente poco studiata dal punto di vista ecologico” nota Henry Gholz, della Divisione di Biologia Ambientale NSF. “Questo limita la nostra capacità di riportare alle dimensioni adeguate le informazioni ecologiche e fare previsioni informate, e/o elaborare strategie sulle condizioni ecologiche future”.

Un futuro grigio?

Lo studio dell’ecologia urbana può certo essere molto sfaccettato e complesso, ma di sicuro offre un punto fermo per orientarsi verso un futuro urbano sostenibile. Sistema ecologico che si appresta a diventare dominante, quello delle città offre anche ricchezza di idee e realizzazioni creative accumulate da secoli di vita urbana, sostengono la Grimm e i suoi colleghi. Inoltre, la crescente consapevolezza pubblica del fatto che le città sono qualcosa di più che non chilometri di strade, vetro e acciaio, sta a significare come gli ecosistemi urbani possono essere gestiti, con prezzi equilibrati e condivisi per l’ambiente e i cittadini.
“Il campo di studi relativamente giovane e altamente interdisciplinare dell’ecologia urbana dimostra come città ben concepite possano avere impatti complessivi inferiori a quelli di popolazioni rurali equivalenti disperse” spiega Jonathan Fink, direttore del Global Institute of Sustainability all’università dell’Arizona. “Il tipo di prospettiva inatteso delle ricerche coordinate dalla Grimm, mostra come un punto di vista ecologico possa aiutare urbanisti e ingegneri a trovare modi per far vivere la società più in armonia con la natura”.

da: Science Daily, 14 febbraio 2008 – Titolo originale: Urban Ecology: Taking Measure Of The Coming Megacity’s Impact – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

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