Invece del Modulor post-moderno

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Foto J. B. Hunter

C’è una costante decisamente fantasiosa in quasi tutte le descrizioni e/o previsioni progressiste e «futurologiche» riguardanti la città. I comportamenti innovativi riguardanti l’abitare, il lavoro, le relazioni, la mobilità, per esempio la rivalutazione dello spazio pubblico rispetto al privato, la cooperazione anziché la competizione, l’uso di mezzi di trasporto pubblico o della bicicletta, tutti nessuno escluso (pensiamo ai nuovi strumenti come tablet, app eccetera) sono orientati alla fascia di età dei giovani adulti, ventenni e trentenni. Pensiamo alla cosiddetta classe creativa, o agli abitanti dei complessi a microappartamenti e quartieri integrati concepiti dal new urbanism, o al mercato privilegiato di tutte le applicazioni che consentono uno sfruttamento più intensivo e sostenibile delle varie infrastrutture urbane, e di nuovo automaticamente il soggetto privilegiato è un giovane, se non un giovanissimo. Il che parrebbe pure ovvio, perché la predisposizione a cambiare, innovare, recepire cose diverse, di norma si concentra in quelle fasce di età, in quel tipo di comportamenti e orientamenti caratteristici di venti-trentenni. Ma si tratta di una contraddizione piuttosto stridente, almeno se pensiamo agli scenari reali che ci propone il futuro non sognato, ma saldamente prevedibile. Ovvero che questo nostro ventunesimo secolo è e sarà da un lato l’era delle città, dall’altro e in modo strettamente correlato anche l’era delle città con una popolazione prevalentemente adulto-anziana.

Cifre e deduzioni

Nel 2030, ovvero in prospettiva dopodomani, nel mondo che rapidissimamente si urbanizza ci sarà una popolazione di oltre un miliardo con età superiore ai 65 anni, per non parlare di tutti gli altri, nel senso di quel soverchiante, maggioritario insieme di adulti non giovani, bambini, mamme eccetera, che non corrisponde per nulla al modello giovanile-pimpante degli opuscoli new urbanism e dei loro figuranti creative-class. Perché certo è fuor di dubbio che gli spazi condivisi per il lavoro, le nuove tecnologie della comunicazione, i consumi abitativi e per mobilità sostenibili (tanto per fare una manciata di esempi a caso) possono benissimo diventare appannaggio anche di tutte queste fasce demografiche. Ma è altrettanto certo che, allo stesso modo con cui il mercato e la pubblicità si fanno più segmentati e personalizzati on-demand, anche le politiche pubbliche si debbano plasmare su una domanda assai articolata, e non su uno standard-Modulor di era industriale che ha fatto il suo tempo.

La vera città postindustriale

Se è vero, come è vero, che alcune fasce delle generazioni più giovani, come i cosiddetti decantati Millennials oggetto di tanti studi, esprimono bisogni e progetti altamente innovativi, invece di piallare l’offerta (come tenderebbe a fare certo mercato) su questa specifica domanda, le politiche urbane pubbliche dovrebbero in qualche modo ribaltare il concetto. Ovvero sviluppare modelli di offerta che a partire da questa spinta all’innovazione si articolino sulle necessità intergenerazionali e di soggetti sociali diversi. Molto schematicamente:

  • Reti di servizi e trasporti rivolte a varie fasce di utenti, inclusive anziché specializzate, e in grado di recepire anche bisogni emergenti imprevisti;
  • Offerta abitativa e di spazi pubblici che promuova per tutti (ad esempio anche per chi porta qualche genere di «disabilità» temporanea o permanente) possibilità di scelte, indipendenza, alternative;
  • Servizi sanitari e programmi ambientali dove si dispieghino tecnologie, organizzazione, infrastrutture accessibili a tutti;
  • Occasioni di lavoro e formazione estese ad ogni fascia di età e istruzione, perché il prolungarsi della vita attiva perda quella caratteristica di era industriale che divideva infanzia, esistenza «produttiva» ed età anziana con ruoli marginali. Anche le forme della città e dei quartieri devono cambiare in una simile prospettiva;
  • Integrare bilanci e programmi, oltre che settori tecnico-amministrativi preposti alla loro attuazione, perché lo sviluppo di un aspetto di queste politiche non finisca per contrastarne un altro.

E se poi il «mercato» intende invece andare da un’altra parte? Beh, vorrà dire che si è davvero perduto per strada, che ha del tutto smarrita la sua vocazione originaria e vincente di capire in anticipo i bisogni e dar loro la migliore risposta, almeno sul breve periodo, trasformandosi in una specie di religione senza capo né coda. Ci troveremo qualcos’altro.

Riferimenti:
McGraw Hill Financial, Aging and urbanization, rapporto gennaio 2016 (scarica direttamente da Drive, 10Mb circa)

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