Jane Jacobs: ritratto del Cittadino Urbanista da Giovane (1)

Una ragazzina impertinente

Scranton, Wyoming Avenue

Jane Isabel Butzner sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo in grembo sotto il banco. Aveva sentito la professoressa spiegare che le città crescono sempre attorno alle cascate. Jane pensava a Scranton, il piccolo centro della Pennsylvania nord-orientale dove aveva abitato negli anni ’20, con quel fiume poco profondo serpeggiante tra le alture. Moltissimi lavoravano nelle vicine miniere di carbone o in altre attività correlate al settore. Lo sapevano tutti come la cosa più importante di Scranton fosse il carbone. Jane alzò la mano, e la professoressa fece un cenno affermativo. Lei sicura iniziò a spiegare che certo non era vero che proprio tutte le città dovessero crescere accanto a una cascata. Che certo ne aveva vista una piccolina nel parco accanto a casa, ma che con Scranton e la sua crescita non aveva nulla da spartire.

La professoressa sospirò, stufa per l’ennesima contestazione di questa studentessa tanto esigente e indipendente. Ma un giorno quella ragazzina impertinente avrebbe usato il suo spirito di osservazione per scrivere un libro in grado di cambiare l’idea di città americana. Un libro che contribuì a convincere la pubblica amministrazione a fermare le demolizioni di vitali quartieri e negozi, e a spingere tante persone ad apprezzare meglio lo stimolo e le occasioni che le città offrono. In definitiva quel libro fece sì che New York, Boston e altre città restassero quei posti tanti vivi che apprezziamo ancora oggi. La stessa Jane partecipò da protagonista a tante battaglie per la salvezza dei quartieri di cui aveva scritto.

Crescere nella Città Elettrica

New York, Fifth Avenue, 1930

Jane nasce in una famiglia di liberi pensatori a vario titolo. Il padre, John Decker Butzner, medico molto apprezzato e occupato, e la mamma Bess Robinson Butzner, vedono nascere la piccola vigorosa Jane il 4 maggio 1916. Terza figlia nella modesta casa su Electric Street a Scranton. Anche se purtroppo il secondo fratello era moto appena nato. La sorella maggiore, Beth, ha sei anni. L’anno successivo arriverà il fratellino John e poi dopo un altro anno e mezzo James.

La mamma Bess Robinson appartiene a una famiglia con una tradizione di donne che lavorano. Cresciuta in una cittadina mineraria della Pennsylvania era stata insegnante e infermiera a Filadelfia prima di sposarsi. Anche sua madre era stata insegnante, e la zia Hannah Breece maestra nelle riserve indiane e nei villaggi dell’Alaska. Il padre di Bess era stato capitano nell’esercito nordista durante la Guerra Civile e raccontava storie di prigionia in un carcere sudista della Virginia. Diventò avvocato presentandosi anche candidato al congresso per la lista del Greenback-Labor nel 1872, partito poi descritto da Jane come di idee «assolutamente impensabili» per l’epoca ma che poi come ad esempio l’introduzione del denaro in banconote divennero comunemente accettate. Altri antenati della famiglia Robinsonn erano arrivati nelle colonie prima della Rivoluzione americana.

La parte Butzner della famiglia è originaria della Virginia, stato del sud schiavista durante la Guerra Civile. Ma molti dei Butzner erano stati contrari sia alla schiavitù che alla partecipazione del proprio Stato alla guerra di secessione. Il padre di Jane, Decker come tutti lo chiamavano, era molto fiero di questi membri della sua famiglia che avevano sostenuto un’opinione così difficile. Cresciuto in una fattoria nei pressi di Fredericksburg senza grandi mezzi economici, e in una scuola improvvisata dove una giovane lontana cugina insegnava ai più piccoli, Dereck era riuscito ad andare al college insieme ai cugini grazie all’interessamento di uno zio ricco. Poi si era iscritto alla University of Virginia fino a ottenere il titolo di dottore in medicina.

Papà e mamma di Jane si erano conosciuti nell’ospedale di Filadelfia dove Decker Butzner stava terminando il praticantato e Beth Robinson lavorava come infermiera capo notturna. Si sposano e trasferiscono a Scranton nel 1905, quando Butzner comincia il lavoro di medico di famiglia. Cresciuti entrambi in campagna, sia Decker che Beth sono fermamente convinti che le città siano posti migliori per abitarci. Il centro dove sono andati ad abitare è il vivace capoluogo della Lackawanna County, settimo più popoloso della Pennsylvania, teatri, musei, una biblioteca pubblica tra le splendide architetture, la città più grande in una nebulosa color antracite di paesi minerari. I primi fondatori di Scranton avevano scoperto giacimenti di ottima qualità, carbone compatto che produceva alte temperature facendo poca fiamma e fumo. L’antracite alimentava le fornaci per lavorare il ferro di Scranton, e poi la ferrovia, le fabbriche, coi prodotti che andavano dai materiali ferroviari alla seta. Immigrati dalla Russia, dall’Italia, dalla Polonia, si aggiungevano alla prima ondata dalla Germania e dall’Irlanda e Galles a lavorare in miniera o nelle fabbriche, componendo una ricca miscela culturale.

Scranton esportava carbone in tutto il paese in un’epoca in cui a carbone funzionava tutto, energia, fabbriche, trasporti, case. C’erano impianti di lavorazione della materia prima ben visibili fin quasi in centro città. Dalla stazione di Lackawanna i convogli ferroviari trasportavano passeggeri e merci in ogni direzione. Il centro di Scranton era denso di attività commerciali e viavai di persone tra i grandi magazzini, o uomini d’affari nelle banche e alti palazzi a uffici. La famiglia Butzner stava nella zona residenziale alla periferia di Scranton. Quando Jane aveva quattro anni si trasferì nella circoscrizione confinante di Dunmore in una bella casa di mattoni, la più grande dell’intero isolato. Jane frequenta la scuola George Washington a poche vie di distanza. Molti notano la forte somiglianza della figlia col padre: capelli biondo paglia, occhi azzurro acceso, un naso particolare e piuttosto alta per la sua età. Uno dei compagni di classe la definisce «spirito libero, indipendente, allegra e senza paura di nessuno». Il che lascia un po’ perplessi gli insegnanti, per non parlare della propensione agli scherzi un po’ di cattivo gusto. In sala mensa gonfia sacchetti di carta e li fa esplodere fragorosamente. Ma in altri momenti legge voracemente di qualsiasi materia o adora girare in bicicletta.

È molto vicina al padre per cui prova un grande rispetto della persona e delle idee. Le insegnerà a consultare una enciclopedia e, insieme a tutti i figli, a ragionare con la propria testa. Un giorno all’età di sette anni, il dottor Butzner le spiega quanto sia importante non far mai promesse che non si possono mantenere per sempre. E quando l’insegnante in classe chiederà alla classe di alzare la mano se si impegnano a lavarsi i denti ogni giorno per tutta la vita, Jane si rifiuta e chiede anche agli altri di farlo. Spiega il ragionamento di suo padre, senza riuscire però a calmare la furia dell’insegnante. Sospesa da scuola per un giorno, ma tornerà più convinta che mai: «Mi dava l’idea di ragionare in modo indipendente» ricorderà. Inizia ancora alle elementari a scrivere poesie, e ne manda alcune a un amico di famiglia, Thomas Lomax Hunter, che scrive sul giornale di Fredericksburg, Virginia. Lui apprezza molto quel lavoro della ragazzina undicenne e le pubblica «The Flapper», termine che indica nel gergo degli anni ’20 una giovane moderna dall’atteggiamento ribelle. Hunter esprime entusiasmo e sostegno in una lettera a Jane: «Una persona con tanto talento deve coltivarlo. Un giorno sarai una grande poetessa».

Il dottor Butzner ha lo studio in città ed è tra i primi dottori a comprarsi un’automobile. Nella piccola Ford rossa scoperta senza parabrezza raggiunge i pazienti nelle case spesso molto lontane. Ma per andare in centro la famiglia usa il tram, che corre sui binari spinto dall’energia elettrica. A Scranton, tra le primissime città negli Stati Uniti dagli anni ’80, funziona un sistema tranviario elettrificato, da cui trae il nomignolo ancora oggi in uso di Electric City. Come tanti ragazzi del quartiere dai quattordici anni Jane comincia a frequentare la scuola in centro andandoci con un «tram color fucsia o azzurro cielo coi sedili imbottiti di stoffa fiorata». Avverte il maggiore respiro delle vie trafficate con tante vetrine offerte dalle strade centrali.

All’età di dodici anni aveva visitato per la prima volta un’altra città, la più grande di tutti gli Stati Uniti. Insieme a un amico di famiglia era arrivata a New York, quasi duecento chilometri in auto (un viaggio lunghissimo all’epoca) fino a un piccolo centro del New Jersey alla foce dell’Hudson. Lasciata l’automobile erano saliti sul traghetto fino a uno dei tanti moli dell’isola di Manhattan che costituivano il sistema portuale della città. Sulle sponde lavoravano gli scaricatori dei grandi bastimenti e andavano e venivano i passeggeri dei transatlantici. Per quanto vivace fosse apparsa Scranton, New York non temeva certo paragoni e men che meno in quegli Anni Ruggenti. La vista della città coi grattacieli e i treni sopraelevati lasciò un’impressione indelebile in Jane: «Ero esterrefatta da tutta quella gente per strada. Era una pausa pranzo di Wall Street nel 1928, un’atmosfera scattante, tantissima gente» ricorderà. Vicino alla Borsa di Wall Street, eleganti uomini d’affari tante altre persone vestite all’ultima moda affollavano le strade. Sulla Quinta Strada le stesse ragazze «flapper» della poesia di Jane sfilavano nei loro abiti dalla vita bassa e con le capigliature ondeggianti. Automobili camion autobus a due piani si incrociavano dappertutto causando ingorghi.

Jane guardava New York all’apice della sua gloria. L’anno seguente il crollo borsistico, investitori che perdevano il proprio denaro, compagnie che chiudevano, disoccupati, iniziava l’epoca detta della Grande Depressione. Tutto il paese sprofondava nella povertà. A Scranton già erano iniziati tempi duri con la chiusura delle miniere e di altre attività dieci anni prima. Con la Depressione tutto peggiorava, e tanti pazienti del dottor Butzner non erano più in grado di pagare i suoi servizi. Alle scuole superiori Jane continuava a scrivere poesie, e anche a far scherzi. «Il Massimo della Perfidia» lo raggiunse durante la pausa pranzo scolastica in un grande magazzino del centro correndo al contrario su per le scale mobili di discesa. «Ma il responsabile di reparto la aspettava in cima con una faccia che era tutto un programma» ricorda uno degli allora divertiti compagni di giochi. Con notevole sollievo dei genitori alla fine Jane riuscì a terminare la Central High School di Scranton nel gennaio 1933. Conseguendo un titolo «classico» generico dopo il quale moltissimi studenti iniziavano a cercarsi un lavoro.

I genitori sarebbero anche stati disponibili a sostenerla al college ma Jane preferì di no sentendosi «davvero stufa della scuola e con la voglia di trovarmi un lavoro in cui si scriveva o si faceva del giornalismo». I genitori credevano comunque che le servisse qualche genere di formazione pratica per trovarsi un lavoro, corrispondente o meno alle sue aspirazioni ideali. Così studiò stenografia, tecnica di annotazione rapida molto in uso prima della diffusione dei registratori, alla Powell School of Business. Terminò il corso per segretarie a giugno diventando nella sua definizione «una ottima stenografa». Diciassettenne e ancora nella casa dei genitori, seguì le proprie inclinazioni trovandosi lavoro come collaboratrice a titolo gratuito delle pagine femminili sullo Scranton Tribune, dove raccontava di vari eventi cittadini, dalle cene sociali, ai matrimoni, feste, convegni. Aveva anche la possibilità di tanto in tanto di scrivere di cose che le interessavano. Dopo un anno al giornale i genitori le chiesero se voleva andare in visita dalla zia Martha Robinson e vedere luoghi nuovi. Martha gestiva un centro culturale a Higgins, North Carolina «un angolo semisconosciuto dei Monti Appalachi». Ricorderà poi Jane il ruolo di persone come sua zia nell’aiutare queste popolazioni tanto volenterose ma povere a «riguadagnare le proprie capacità» nella tessitura di tappeti e tappezzerie e soprattutto a «interessarsi alle occasioni per il futuro». Dopo sei mesi negli Appalachi con la zia Jane comunque sentiva ancora molto forte l’attrazione della grande città dove cercare fortuna.

Scrivere a New York

Lower East Side Manhattan, Rivington Street

Con tutta la sua passione per le nuove esperienze la diciottenne Jane partì verso New York City nel 1934 per iniziare una carriera di scrittrice. La città era drasticamente cambiata dall’epoca della sua prima visita. «Mi accorgevo immediatamente delle differenze, in particolare nei quartieri più centrali. Si vedevano molti più disoccupati nel 1934 che nel 1928». La Grande Depressione aveva colpito, attività fallite, persone che non riuscivano a trovare lavoro. E quando ne trovavano lo stipendio non era certamente molto più basso di prima, e c’era ancora la possibilità di un fallimento, e di ricominciare a cercare una occupazione. A New York abitava la sorella maggiore di Jane, Betty, che aveva studiato arredamento a Filadelfia ma ancora non riusciva a trovare lavoro in quel campo. Faceva la commessa in un grande magazzino a Brooklyn. Abitava in un appartamento con spazio a sufficienza per la sorella minore, e così iniziarono a coabitare.

Era al sesto e ultimo piano di un edificio di Brooklyn Heights, oltre il fiume dalla brulicante Manhattan. Pagato l’affitto, non restava molto, e per mangiare ci si arrangiava con una confezione di cereali per bambini Pablum. Ogni mattina Jane scorreva gli annunci di lavoro per offerte nel campo editoriale e analoghi, ma anche per una occupazione qualunque. Quando c’era la possibilità di un colloquio attraversava il ponte di Brooklyn fino a Manhattan, amava quella città «un posto incredibilmente complicato». Dopo l’immancabile rifiuto passava il pomeriggio esplorando il quartiere in cui era capitata, e se l’aveva già visto prendeva la metropolitana per scoprirne in altro. Un giorno, incuriosita più che altro dal nome, scese alla fermata di Christopher Street «e quel quartiere letteralmente mi incantava». Passeggiò tutto il pomeriggio e tornata a casa disse a Betty: «Ho trovato il posto dove voglio andare ad abitare». Jane aveva scoperto il Greenwich Village coi suoi magnifici fabbricati e le strade irregolari. Una miscela accattivante di gruppi etnici e attività che riempiva tutto il quartiere, negozianti, operai, intellettuali e artisti fianco a fianco. Calzolerie, banchi di frutta pesce verdura, in mezzo a librerie, caffè, teatri, locali dove si suonava musica. Per decenni il Village aveva attirato una popolazione di artisti ed era considerato un centro di creatività.

Le capacità stenografiche di Jane finalmente si rivelarono utili quando trovò un lavoro da segretaria in una fabbrica di caramelle per uno stipendio di 12 dollari la settimana. Insieme a Betty potevano adesso traslocare a Morton Street nel Greenwich Village, e Jane continuare a scrivere. Di lì a pochi mesi un importante giornale come New York Herald Tribune pubblicava la sua poesia «While arranging verses for a book» dedicata proprio all’arte di scrivere e alla fatica di trovare «la parola perfetta a vestire il pensiero perfetto». Per cinque anni, mentre Jane lavorava sempre come segretaria passando da un ufficio all’altro, continuava anche ad esplorare la città da un luogo all’altro di Manhattan, dal quartiere delle pellicce, a quello dei fiori, della pelle, dei diamanti, dove questi prodotti venivano venduti e comprati in grandi quantità. Nelle vie si fermava a parlare coi bottegai e gli operai del loro lavoro, annotando appunti su foglietti che teneva nella borsa. Utilizzando poi le sue capacità di scrittura poetica convertiva osservazioni e conversazioni sui quartieri in vivaci articoli. Provò a proporre dei pezzi tematici per settore commerciale alla rivista di moda Vogue, che ne accettò alcuni per la strabiliante somma di 40 dollari ciascuno, praticamente un mese di salario. Anche l’Herald Tribune le pubblicava dei pezzi, ma pagava meno profumatamente.

Superata l’emozione di guadagnarsi da vivere anche pubblicando articoli, per Jane arrivò anche una tragedia. Il suo amato padre si era ammalato. Tornò a Scranton coi fratelli per visitare Dereck Butzner all’ospedale. Il padre di Jane, che era stato la sua grande ispirazione, morì nel 1937 all’età di 59 anni. Pianto da tutta la comunità, perché come ricordava l’articolo sul giornale locale «aveva alleviato le sofferenze». Jane se ne tornò a New York col peso del dolore, trovando conforto nel ricordo di quanto quel padre riflessivo dalla mente scientifica l’avesse guidata ad osservare e pensare in modo indipendente. Passeggiava per la città che la affascinava, e prendeva nota di quelle centinaia di coperchi di tombino metallici, li chiamava «rustiche cialde di ferro» stese nell’asfalto delle strade. «Le luci di New York sono i gioielli della città, ma le sue asole, i suoi bottoni, sono quei cerchi e quadrati metallici che punteggiano l’asfalto e i marciapiedi», così iniziava un articolo che pubblicò nel 1940 per la rivista Cue. Leggendo le scritte su quei coperchi si scopriva cosa ci passasse sotto. Immaginandosi osservatrice scientifica, «naturalista urbana», Jane seguiva quella traccia di «spaghetti sotterranei». Ricostruiva i percorsi di acque, vapore, gas, elettricità, o addirittura «cinquecento lettere nel tubo della posta pneumatica in viaggio spedito a cinquanta all’ora verso un ufficio di smistamento».

Stava sviluppando un metodo personalissimo di comprensione del mondo attorno a sé. Sin dall’infanzia si era immaginata di intavolare delle conversazioni con personaggi vissuti molto tempo fa, a cui raccontava quel che aveva visto, rivolgendosi a persone che non sapevano nulla dell’epoca moderna. Aveva iniziato con Thomas Jefferson, trovandolo poi piuttosto noioso dato che pareva interessato prevalentemente a idee astratte. Invece Ben Franklin faceva domande più pratiche e terra terra. «Esterrefatto per come si vestono le donne – commentava lei – ma poi si è abituato». Nei suoi dialoghi immaginari esaminava argomenti come il funzionamento dei semafori. Lì l’interlocutore migliore in assoluto si rivelò Cedric, un sassone medievale a cui bisognava spiegare proprio tutto. A ventidue anni, con una attività di scrittrice abbastanza avviata, Jane decide di sviluppare alcuni interessi particolari frequentando dei corsi al college. Dato che di giorno lavora come segretaria i corsi sono quelli della Columbia University Extension serale. Jane non può seguire quelle lezioni universitarie ufficialmente dato che alla Columbia sono ammessi solo maschi, ma è comunque consentito l’accesso a chi vuole imparare, e lei si costruisce un programma personalizzato. Sceglie i corsi che più la interessano, come quelli di orientamento scientifico, prima geologia, poi chimica, embriologia, per spostarsi verso zoologia, e poi diritto, scienze politiche, economia.

Quei corsi la affascinano, si impegna parecchio. Per la prima volta in vita sua l’ex studentessa riluttante si guadagna punteggi elevati. L’entusiasmo per il diritto costituzionale la porta a fare ricerche sulla Convenzione, quando i Padri Fondatori superavano i reciproci conflitti. Puntigliosa come d’abitudine quando qualcosa la stimola, Jane compila un intero volume di proposte respinte dei Costituenti, e confronta la Costituzione approvata con «la Costituzione che avremmo potuto avere». Nel 1941, a soli 25 anni, la Columbia University Press le pubblica Constitutional Chaff: Rejected Suggestions of the Constitutional Convention of 1787, with Explanatory Argument. Un prestigioso recensore loda la qualità del contributo scientifico. Dopo due anni di corsi universitari, Jane inizia a lavorare alla rivista The Iron Age, dove scrive articoli sull’industria dei metalli. Gli Stati Uniti entrano in guerra insieme agli Alleati dopo l’attacco a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941. Durante il periodo di guerra il settore industriale della difesa ha bisogno vitale di informazioni aggiornate mentre dagli impianti escono aerei navi e carri armati. Jane scrive di nuovi materiali e prodotti da usare in guerra e si occupa anche degli effetti economici del conflitto.

Nel marzo 1943 usa un suo pezzo su Iron Age per sollevare i problemi della sua città natale di Scranton. Negli anni ’40 erano stati già 25.000 i minatori di carbone a perdere il lavoro per esaurimento dei filoni di antracite. 7.000 case vuote abbandonate da persone che se ne andavano via alla ricerca di un lavoro. Nell’articolo Jane si chiedeva perché mai non si insediassero nuove industrie a Scranton, luogo ideale per le produzioni rivolte alle Forze Armate. C’era una ottima disponibilità di trasporti, energia, forza lavoro qualificata. Furono centinaia le testate nazionali a riprendere quell’articolo «Scranton città dimenticata». Leggevano della vicenda a Chicago, Baltimora, Seattle, Boston Filadelfia, Kansas City. Jane pubblicò un altro pezzo sui problemi di Scranton sul New York Herald Tribune, partecipando poi a una campagna di pressione sul governo federale sui vantaggi della localizzazione di imprese nella città in crisi. Partecipò a una manifestazione a Scranton sul tema da oratrice principale, chiedendo nel discorso che il governo sfruttasse le risorse della regione aprendo fabbriche. La sostenevano il giornale Scranton Tribune e le organizzazioni locali.

La pressione andò a buon fine, iniziarono ad aprire nuove fabbriche. Il deputato di Washington eletto a Scranton, E.M. Elliot, scriveva a Iron Age nell’aprile 1943 «Risultati positivi nell’ultimo mese: una fabbrica di borse, un impianto per l’abbigliamento, due per la lavorazione del metallo, e la Murray Corp. of America ha deciso la costruzione di una fabbrica su 40.000 mq che darà lavoro a settemila dipendenti». Un pezzo pubblicato dallo Scrantonian fiero vantava come «Una ragazza originaria di Scranton aiuta la sua città: il pezzo della signorina Butzner per Iron Age ci ha dato visibilità nazionale». Una scrittrice insomma che riusciva non solo a informare le persone, ma anche spingerle all’azione. Il successo non impediva però che alla sua rivista Iron Age la considerassero una rompiscatole. Il direttore, che non stimava molto le donne, la definiva «giusto una dattilografa» nonostante fosse stata ufficialmente promossa e scrivesse articoli importanti. Anche la proprietà della rivista la riteneva un problema. Avevano minacciato di licenziare gli iscritti al sindacato quando c’erano state richieste di salari più alti. Gli impiegati erano pagati poco, e anche una giornalista guadagnava la metà di un collega maschio con le medesime mansioni. Jane non poteva tollerare queste ingiustizie. Diventò delegata sindacale e riuscì a far accettare alla compagnia almeno le rivendicazioni. Aveva convertito il suo spontaneo infantile spirito ribelle all’utilità anche per altri.

Cupido e la Casa nel Negozio di Caramelle

Famiglia Jacobs, 555 Hudson Street prima dei restauri

Nel 1943 Jane trovava un nuovo lavoro all’Ufficio Governativo Informazioni di Guerra, che promuoveva spirito patriottico e chiedeva agli americani di contribuire allo sforzo bellico. A fine guerra e chiusura dell’ufficio nel 1945, Jane si spostava a un altro ente federale, l’Area Riviste del Dipartimento di Stato. Su un patinato periodico pieno di belle fotografie, Amerika Illustrated, Jane contribuiva a celebrare la democrazia nazionale paragonata alla vita sotto le dittature comuniste. Pezzi poi tradotti in russo per spiegare gli Stati Uniti a chi abitava nel paese sovietico. Amerika parlava di argomenti come gli agricoltori del Texas, l’uso medico dell’energia atomica, o dell’aria condizionata allora sconosciuta nell’Unione Sovietica. Nel nuovo incarico Jane ha la possibilità di studiare e scrivere di argomenti che poi approfondirà in seguito: dall’edilizia residenziale e scolastica, alle case popolari, alla vita in città come Washington D.C. o Filadelfia.

Una sera del marzo 1944 Jane insieme alla sorella Betty organizza una festicciola nell’appartamento del Greenwich Village. Robert Hyde Jacobs Jr., giovane architetto dai capelli scuri che lavora nella progettazione aeronautica, è tra gli ospiti invitati da Betty. «Cupido aveva lanciato il suo dardo» scherzerà più tardi Jane. Si misero insieme quasi subito, si sposarono in maggio e lo avrebbero fatto anche prima se Jane non avesse prima voluto conoscere i genitori di Robert. La frugale informale festa di matrimonio si tiene nella casa dei Butzner a Scranton, invitati solo i parenti. Sempre di spirito anticonformista la ventottenne sposina indossa «un abito non lungo orlato turchese e fucsia». Subito dopo si parte per una versione personalizzata della luna di miele ideale: un viaggio in bicicletta attraverso la Pennsylvania settentrionale e lo Stato di New York. È l’inizio di un lungo e felice matrimonio in cui Jane troverà nel marito sempre sostegno «da allenatore e da pubblico». Bob e Jane Jacobs, come si fa chiamare adesso, abitano per un certo periodo nell’appartamento di lei nella zona di Washington Square, il bel giardino al centro del Village dove vanno i padroni di cani, si ascolta musica, o ci si siede all’ombra sulle panchine. Nel 1947 iniziano a pensare ad una nuova casa, trovano e comprano un vecchio edificio di tre piani e sei stanze con la facciata di mattoni al 555 di Hudson Street, con un negozio di caramelle al pianterreno, nella zona in qualche misura industriale del West Greenwich Village.

Grazie alle capacità di Bob come architetto, si comincia col graduale restauro e sistemazione arrangiandosi in gran parte da soli per i lavori. Si sostituisce l’affaccio che era pericolante insieme alle finestre, e la parete al pianterreno sul retro interamente in vetro affacciata sullo spoglio cortile. Rammenta un amico che «Era un edificio davvero primitivo per quell’epoca, senza neppure il riscaldamento centrale». La Casa delle Caramelle dei Jacobs era infilata di misura tra una lavanderia e una sartoria. Dalle finestre sul retro si poteva guardare uno scultore che scalpellava figure in pietra bianca nel tempo libero dal suo lavoro regolare in un grande magazzino Macy’s. La cucina e una camera si affacciavano su Hudson Street, trafficatissima via di negozi ristoranti e altre attività. Quella strada era considerata da molti solo «un fiume di traffico tra due file di depositi, capannoni, chiese, bar e vecchi fabbricati». Ma a Jane e Bob quella zona dello West Village come tante altre della città appariva «un ottimo posto per far crescere dei bambini» dato che era così «densamente popolata interessante e complicata … abitata da tante persone diverse per lavoro, etnia, culture». Gli esercenti e artigiani abitavano in appartamenti supra le botteghe, e tutti gli edifici stavano mescolati tra case e piccole industrie.

Nel 1948 nasce il primo figlio, James Kedzie Jacobs (detto Jimmy) e due anni dopo il fratello Edward Decker Jacobs (detto Ned). Impegnata a tempo pieno come scrittrice e con due figli adesso Jane è una occupatissima mamma che lavora. La maternità significa anche una nuova prospettiva per osservare la città. Svegliarsi al mattino presto per occuparsi dei bambini, e guardare dalla finestra nel buio giù in Hudson Street. A Jane piace «guardare le ombre e ascoltare il rumore dei marciapiedi» con l’abituale curiosità costantemente allerta. E inizia a chiedersi: cosa sarà a fare di questo quartiere un posto tanto vivace e sicuro? Le grandi idee nascono da tante piccole osservazioni. Come ascoltare «qualche battuta degli ospiti a una festa» o qualcun altro che canta o piange alle tre di notte. Una sera d’inverno spunta dal nulla uno zampognaro e attira subito una piccola folla, qualcuno sui marciapiedi comincia a ballare la danza scozzese Highland Fling, altri guardano e applaudono. Jane nota come, di giorno o di notte, la strada è sicura perché viene percorsa, un via vai che le appare come «un complesso balletto sul marciapiede».

La mattina uscendo a portare la spazzatura osserva l’inizio di quella coreografia quando «schiere di studenti delle medie si esibiscono lanciando cartacce di dolciumi». Mentre i negozianti delle varie attività – lavanderia, gastronomia, barbiere, ferramenta – tirano su le serrande iniziando la giornata. Uomini e donne affollano via via la strada diretti al lavoro insieme a Jane. Nei giorni in cui non va in ufficio osserva la versione di quel balletto «nel cuore della giornata» quando i lavoratori in pausa pranzo si affollano in qualche ristorante o caffetteria o focacceria con posti a sedere. Ancora più tardi arrivano le mamme coi passeggini, e poi ancora gli scolari che fanno compiti a casa sui gradini dell’ingresso sotto la veranda. Jane nota anche il ruolo di quelli che chiama «ballerini solisti» come «un vecchio tipo strano con caricate in spalla un sacco di vecchie stringhe da scarpe» oppure «gente in motoscooter con delle lunghe barbe». Il balletto raggiunge l’apice nel pomeriggio quando le vie si riempiono di bambini in triciclo, sui pattini o sui trampoli. La sera chiudono i negozi ma a ravvivare l’ambiente rimangono bar e pizzerie, il fascino danzante della città non viene mai meno. Dalla finestra o passeggiando, Jane non perde mai d’occhio nulla e ci medita sopra. Poi quelle osservazioni sulla vita in città finiscono negli articoli da proporre alla sua o ad altre riviste. Tutto sarà la base per un fondamentale lavoro in grado di modificare la nostra idea di città vitale e abitabile.

da: Glenna Lang, Marjory Wunsch, Genius of Commos Sense – Jane Jacobs and the story of The Death and Life of Great American Cities, David R. Godine, Boston 2009 – Traduzione di Fabrizio Bottini (Capitoli I-IV) segue nella seconda parte 

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