John Nolen: La lottizzazione l’organizzazione urbana e l’abitazione (1915)

da: John Nolen, City Planning, 1916

Parlando in generale, il suolo urbano, dal punto di vista dell’organizzazione spaziale, si può classificare in tre grandi categorie: superfici per l’industria e altre attività economiche; zone per commercio al dettaglio e all’ingrosso; terreni a uso residenziale. Il principale campo di organizzazione dello spazio urbano, che riguarda almeno due terzi del totale della superficie,è quello residenziale. E in realtà quando si parla di dividere in lotti si dà quasi per scontato che si stia parlando di suddividere i terreni dove sorgeranno degli alloggi. Anche i difetti di una cattiva e poco intelligente suddivisione dei terreni appaiono più visibili nel caso di quelli residenziali alle persone, di quanto non succeda nel caso di quelli produttivi o commerciali. C’è in questo paese come all’estero la convinzione che la disciplina urbanistica abbia pensato troppo a viali, centri civici, verde, campi da gioco, a tutto fuorché a come organizzare gli spazi per le case. E spesso gli urbanisti stranieri ci chiedono: «Ma perché negli Stati Uniti voi non prestate più attenzione al problema della residenza?

Perché non si presta adeguata attenzione all’organizzazione dei lotti

C’è molto da dire su questo argomento. Ci sono parecchi motivi per cui gli urbanisti di questo paese non hanno mai prestato troppa attenzione al rapporto tra lottizzazioni e abitazioni. Tra i principali:

1. Secondo la costituzione federale che impedisce di interferire con la proprietà privata se non per ragioni di pubblica utilità, e i criteri di eventuale giusto indennizzo fissati dalle leggi, interpretati in senso sempre conservatore dai tribunali, è sempre molto difficile e a volte parecchio oneroso provare a regolamentare amministrativamente la suddivisione dei suoli a scopo residenziale.

2. Diritti e limiti delle amministrazioni municipali americane fanno sì che gli strumenti di controllo della lottizzazione dei terreni, la rete viaria e la larghezza delle carreggiate, dimensioni e forme delle parti edificabili, densità e distanze degli edifici, salvo che nei casi dei grandi complessi in affitto si trovino fuori dalla portata dell’autorità pubblica, oppure i progetti vengano realizzati oltre i confini amministrativi prima dell’annessione; e le autorità non municipali, rurali o di contea, responsabili di quei territori non sanno esercitare alcun controllo in materia.

3. L’opinione pubblica non è mai stata, e ancora non è, troppo favorevole a rigide regolamentazioni e controlli sui progetti di quartieri residenziali. E diventa difficile prevedere, anche per quanto riguarda aspetti tecnici sanitari o antincendi, o di soleggiamento e aerazione, tutte quelle misure amministrative che ci si aspetterebbero con una corretta regolamentazione urbanistico-edilizia. In un discorso alla American Public Health Association, il dottor William T. Sedgwick il mese scorso vantava i traguardi raggiunti dall’ingegneria sanitaria negli ultimi anni, sottolineando però le flagranti lacune attuative che ancora gravano sulle norme e leggi americane in materia. C’è la diffusa opinione che occorra mettere al primo posto la salute pubblica. Ma gli ostacoli a qualunque regolamentazione e controllo della suddivisione dei suoli sono accresciuti nel paese dalla dottrina del «laissez faire» ovvero ciò che si definisce il diritto della proprietà individuale e dalla forza degli interessi particolari.

4. Sino a poco tempo fa, a parte il caso di poche città molto grandi, o in alcuni esempi eccezionali di progetti isolati, la qualità delle case americane in generale è apparsa relativamente buona, per quanto riguarda ciò che urbanistica o lottizzazione potrebbero contribuire a migliorare. Il lotto edificabile in genere ha un affaccio dai 6 ai 12 metri per una profondità di almeno 30 metri, e le densità di 20-25 alloggi ettaro, secondo il criterio in uso anche nei migliori sobborghi giardino inglesi.

5. La scarsa propensione del capitale privato, salvo il caso di alcuni imprenditori per gli alloggi dei propri dipendenti, di rispondere alle sollecitazioni a investire in complessi residenziali secondo il principio di una rendita contenuta, con un corrente 5-6%, è un altro motivo per cui non esiste troppa attenzione per le lottizzazioni e i quartieri da parte di architetti e urbanisti di questo paese. Qui non ha preso piede come invece accaduto in Europa il criterio della cooperazione o collaborazione.

da: John Nolen, City Planning, 1916

Per evitare equivoci comunque va aggiunto come tutte le ragioni elencate sopra si siano piuttosto indebolite in tempi recenti. Ciò in gran parte grazie al lavoro energico e ben organizzato della National Housing Association, che ha reso l’opinione pubblica sempre più consapevole della necessità e dei vantaggi di un cambiamento di prospettiva anche radicale.Ci stiamo anche convincendo negli Stati Uniti che gran parte di quelle abitazioni di buona qualità non siano poi tanto buone, che un grande lotto edificabile non significhi di per sé una abitazione sana gradevole e sicura.

Dati affidabili sulla suddivisione del suolo

Si dubita e si esita prima di provare a discutere di suddivisione del suolo e dei suoi effetti sulla questione delle abitazioni, a causa della scarsità di dati affidabili in materia. È stato progettato molto, ma senza mai confrontare sistematicamente i progetti l’uno con l’altro. Per dare una base a qualche conclusione e orientamento di azioni future, il Comitato Esecutivo della National Conference on City Planning ha da poco deliberato di raccogliere dati certi e sistematici sulle migliori esperienze di quartieri progettati a varie funzioni e in varie città americane. Le indicazioni del Comitato sono di raccogliere ogni tipo di dato e informazione nella forma utile a un uso pratico da parte di chi poi potrà operare al miglioramento qualitativo dei piani di lottizzazione.

Si vogliono raccogliere i fatti essenziali dei più importanti progetti di trasformazione urbana e dei tipi di lottizzazione degli Stati Uniti, e che si sono dimostrati più o meno riusciti per promotori, proprietari, inquilini, l’opinione pubblica. L’impegno è di concentrarsi nell’analisi su un numero contenuto di casi e zone urbane, a rappresentare città grandi, piccole, medie, di pianura, di collina, e in varie aree del paese. L’indagine cercherà di mettere in luce i risultati, spaziali, sociali, economici, delle varie tipologie. Gli aspetti più importanti su cui concentrarsi sono: profondità dei lotti, larghezza e rapporti con la strada, regole edilizie e di altro tipo. Sono oggi disponibili i primi risultati dello studio, comunicati dalle sedi locali nelle circoscrizioni di: Berkeley, Boston, Bridgeport, Brookline, Chicago, Cleveland, Detroit, Kansas City (Missouri), Louisville, New York, Newark, Philadelphia, Syracuse, Washington. Il senso delle conclusioni tratte da questi dati preliminari dal Comitato Esecutivo della National Conference on City Planning, si riassumono come segue:

1. Dimensioni attuali dei lotti

(a) Filadelfia rappresenta un caso del tutto particolare, con dimensioni dei lotti in media 5x20m.

(b) in New England, sulla base dei dati da Boston e Brookline, troviamo dati irregolari, ma una tendenza verso una media di lotti di larghezza da 12 a 20 metri, e profondità di 28-30 metri.

(c) New York e Newark hanno dimensioni da 6 a 7,5 metri in larghezza, e 30 metri di profondità.

(d) gli Stati del centro e dell’ovest hanno lotti più grandi, ma la tendenza ultimamente pare alla riduzione di entrambe le dimensioni.

2. Tendenze evolutive nelle dimensioni dei lotti

(a) la tendenza generale va verso una riduzione di profondità salvo a New York, Newark e Chicago, la prima con 30 metri e l’ultima a 38 metri. Misure di profondità che durano a New York e Newark da un secolo, a Chicago da quarant’anni.

(b) le città con profondità del lotto superiore ai 30 metri mostrano una tendenza a ridurre la misura.

(c) il New England, con dimensioni irregolari, tende a diminuire la profondità sotto i 30m.

(d) Filadelfia dimostra una tendenza a lotti più piccoli possibili.

(e) con la citata eccezione di Filadelfia, le larghezze dei lotti in tutte le città vanno verso i 9 metri, mentre ovunque si raccomandano larghezze maggiori di 6 metri.

3. L’effetto della dimensione dei lotti sul tipo di quartieri

(a) è la superficie del lotto ad essere il fattore dominante originario. Lotti profondi diventano più stretti e producono edifici anche più stretti, scomodi per qualunque attività. Con un lotto profondo fino a 20 o 25 metri la tendenza è collocare edifici spesso residenziali sul retro. Il che provoca una eccessiva occupazione e abbassa i valori.

(b) Salvo che a Filadelfia, la dimensione del lotto influisce su quella degli edifici e la quantità di edifici sul lotto. Nel caso di Filadelfia la tendenza alla casetta unifamiliare ha fatto sì che si restringesse la dimensione del lotto.

4. L’effetto delle dimensioni del lotto e dei risultanti edifici sui valori immobiliari

(a) là dove si cresce molto, sia nella quantità di residenze che nella conversione ad altre funzioni, le dimensioni medie vigenti condizionano poco. Là dove la velocità è inferiore valgono di più i lotti grandi perché è più semplice trasformarli.

(b) situazioni di scarso valore sono complicate da cambiare, e la sostituzione di ceti nuovi di occupanti degli edifici dipende dalle condizioni dei fabbricati.

5. Effetti di vincoli e regolamentazioni

Le norme che impongono una percentuale nel rapporto di copertura, forme e dimensioni delle corti, posizione degli edifici dentro il lotto, devono essere adeguate alle misure perché possano ottenere buoni risultati.

6. Dimensioni standard

(a) dai risultati dell’indagine appare siano parecchio auspicabili dei criteri standard.

(b) sembrerebbe ottimale una profondità di 30-38 metri alle tendenze attuali. Secondo alcune diffuse opinioni si giustificano anche profondità minori per alcune categorie di edifici residenziali.

(c) in ogni caso i limiti devono essere imposti per legge. I dati su cui si basano le conclusioni non coprono ancora l’aspetto dei vicoli di servizio e si riportano a parte quelli forniti nelle considerazioni di Lawrence Veiller col suo studio «Buildings in Relation to Street and Site» alla Third National Conference on City Planning.

Qual è lo scopo della lottizzazione del suolo?

Quale è, ci si potrebbe chiedere, lo scopo dei controlli di suddivisione del suolo negli Stat Uniti? La questione non è tanto cosa dovrebbe essere ma quale è. E questo scopo delle lottizzazioni è semplicemente il guadagno. Di norma si fanno soldi lottizzando il terreno in modo tale da trarne il massimo vantaggio economico. Non intendiamo certo che questo sia il vero e autentico scopo dei controlli di suddivisione, né vogliamo fare alcuna critica ai suoi metodi. Semplicemente esponiamo un fatto, di cui tenere sempre conto in qualunque discussione che voglia essere produttiva. Il proprietario o operatore che suddivide il suolo considera sicuramente anche centrale il risultato del suo progetto così come appare all’acquirente o ai cittadini, ma si tratta di una considerazione successiva. Così come in ogni altra forma di attività il fine resta il profitto.

Qualche domanda su cui riflettere: ma forme e modi dell’organizzazione urbana devono essere così tanto condizionati dalle intenzioni della proprietà e degli operatori, che pensano solo o principalmente al profitto? E se no, quali altre intenzioni vanno considerate, e da parte di chi esattamente? In che modo il terreno, lo spazio, è diverso da tante altre cose che si comprano e si vendono? Ci sono tre parti in causa in ogni e qualunque processo di lottizzazione e trasformazione: la proprietà, l’operatore, l’utente potenziale sia acquirente che inquilino, e i cittadini. Sarebbe un grande progresso se riuscissimo a far cooperare meglio queste tre parti che hanno interessi comuni in una adeguata trasformazione del territorio.

Non è questo il luogo per discutere degli aspetti legali o economici della proprietà, ma le nostre pratiche professionali per quanto riguarda espropri e tasse, e le nostre ricorrenti affermazioni sul modo di possedere e usare immobili, mostrano almeno quanto il diritto consideri il terreno qualcosa di particolare rispetto ad altro. Non si discute la proprietà privata. Anzi ci sarebbero tante cose da ribadire a favore di essa. Perché è perfettamente adeguata al carattere americano e alle sue istituzioni. Dobbiamo però obiettare in qualche misura all’abuso di una proprietà privata dei terreni senza alcuna regola, che molto spesso non solo danneggia in primo luogo l’utente, acquirente o inquilino che sia, e il cittadino più in generale, ma anche altri potenziali investitori che volessero operare in zone confinanti.

Regole della lottizzazione

Il problema della lottizzazione, riteniamo, è in gran parte di regolamentazione pubblica, controlli, vincoli. Per tener conto di tutte le parti interessate: cosa si deve consentire all’operatore immobiliare quando suddivide e rivende una proprietà, realizzando lo spazio in cui per generazioni a venire invece di coltivarci sopra abiteranno delle persone, pagando profumatamente? Il proncipio dei vincoli e regole nella lottizzazione di terreni è ben compreso negli Stati Uniti, e frequentemente anche applicato. Così ben compreso e apprezzato da essere sfruttato dallo stesso operatore nel proprio interesse.

I limiti per l’acquirente spesso comprendono una serie di attività e strutture regolamentate, dalle stalle alle autorimesse; dalle recinzioni alle mura perimetrali; o la prescrizione di arretramenti minimi e massimi da vie e confini di proprietà; tipi di edifici; servitù di uso o passaggio; in certi casi veri e propri progetti urbanistico-edilizi in cui si specificano forme, tipi, altezze, materiali, colori, organizzazione complessiva dei fabbricati oltre alla definizione delle pendenze del terreno su cui sorgeranno. Regole e vincoli che valgono in genere per un periodo di venticinque anni, alla fine dei quali possono essere anche rinnovati in accordo con la proprietà. Ma in definitiva, possiamo dipendere esclusivamente dagli obiettivi e volontà di proprietari e operatori nel pensare ad una porzione di territorio? Nei casi migliori queste regole della proprietà sono assai variabili, si applicano solo episodicamente, e anche quando sono espressione di uno «spirito pubblico» non paiono troppo intelligenti.

Se la motivazione principale è pur sempre il profitto è difficile ragionevolmente attendersi che esista davvero un interesse di questo metodo di approccio per i futuri utenti dello spazio e per i cittadini più in generale. Possiamo tranquillamente aggiungerci che non sempre poi quel proprietario capisce cosa sia meglio o no per la città e i cittadini, e anche se lo capisse non essendo il suo diritto proprietario certamente esteso all’intero territorio, e neppure ad una sua proporzione significativa, non sarebbe comunque in grado di esercitare alcuna influenza efficace. Aggiungiamoci che il suo potere di fatto è quello di un privato cittadino. Nella suddivisione e trasformazione del territorio dunque dobbiamo contare in misura sempre maggiore sul potere pubblico di regolamentazione della proprietà privata, certamente rispettando ogni interesse coinvolto. Ciò significa alla fine applicare un sistema di zone edilizie, la suddivisione della città per aree dedicate principalmente a industria, commercio, residenza.

E poi ci possono essere ulteriori distinzioni delle zone residenziali fra diverse classi di alloggi, a separare edifici ad appartamenti, caseggiati in affitto, distinti dalle abitazioni singole unifamiliari. Nel definire queste tipologie di aree edificabili, si deve considerare debitamente sia il diritto dei cittadini che quello della proprietà privata. Sul lungo temine si tratta di interessi pressoché identici, molto più di quanto non si creda comunemente, e una delle ragioni migliori per suddividere la città in zone [districting a city n.d.t.] è che ciò alza e stabilizza i valori immobiliari di tutte. Stabilire i perimetri di queste varie aree è al tempo stesso fondamentale e difficile.

I margini devono essere fissati non solo tenendo conto delle condizioni attuali, ma prevedendo con una certa precisione quelle del probabile futuro. L’opinione diffusa è che si debba trattare di aree omogenee di dimensioni relativamente piccole, modificabili periodicamente al mutare delle condizioni. Devono organizzarsi in modo da favorire le funzioni e gli interessi insediati, industriali, commerciali, residenziali, e dotarsi delle migliori strutture adatte allo scopo. In altre parole, la pratica dello zoning o districting di una città parallela alla suddivisione e trasformazione del territorio deve sostenere ogni genere di edificazione imponendo delle regole insediative di quegli edifici, permessi esclusivamente nei distretti a cui appartengono naturalmente, e organizzandoli nel modo migliore in ciascun distretto. Ciascuna zona o sotto-zona avrà così norme adeguate a tutelarsi.

Gli aspetti di maggiore importanza sono qui: profondità del lotto, rapporto di copertura del lotto o densità per ettaro, altezze dei fabbricati. Alcune amministrazioni ritengono che la questione della casa si sovrapponga a quella del valore dei terreni. Affermano che il valore di una superficie dipenda da quanto può rendere, e che se le norme sull’edificazione consentono di edificare oltre un certo limite l’acquirente dovrà spendere di più, anche se in realtà intende costruire di meno. In altri termini, là dove il valore di un lotto è alto a causa delle norme edilizie, chi possiede il terreno per non perdere soldi dovrà edificare in modo assai denso. Ecco la correlazione tra densità consentita e valore dei terreni.

da: John Nolen, City Planning, 1916

Se è vero questo, ne segue che l’organizzazione del suolo e della sua edificazione può fare molto per migliorare la qualità abitativa. Inoltre secondo diversi studiosi americani quanto si paga per l’affitto è un fattore determinante per il salario. E quindi dobbiamo davvero chiederci se un alloggio standard minimo di salubrità economicità e sicurezza riconosciuto non sia cosa dovuta. Naturalmente si tratta di criteri da definire con maggiore precisione. E che, crediamo, avvantaggeranno non solo il lavoratore e il suo datore di lavoro, ma anche la proprietà immobiliare. Ricordiamo comunque che nella situazione attuale il carico che si crea di sovraffollamento e degrado dei tuguri, ricade soprattutto sulla società.

Principi base della lottizzazione dei terreni

Alcuni dei principi base della suddivisione dei suoli generalmente accettati come validi sono quelli che seguono:

  1. 1. Il piano deve adeguarsi alla topografia e considerare adeguatamente le eventuali caratteristiche naturali.
  1. Anche in casi di terreni relativamente uniformi qualunque progetto deve provvedere a una buona organizzazione e cura delle forme. Il medesimo punto visuale che fornisce il riferimento ad una buona soluzione nei terreni ondulati vale anche per quelli pianeggianti. Un’ottima illustrazione di questo principio è nella rassegna di progetti del concorso per il quartiere tipo bandito dal Chicago City Club [Cfr. Alfred Yeoman, City Residential Land Development, 1916, trattato su questo sito dal saggio di Lewis Mumford del 1954 n.d.t. ]. Il terreno viene presentato come perfettamente piano, ma nessuno dei progetti premiati accetta le forme della griglia a scacchiera usata di solito nelle nostre città americane.
  2. Il piano generale e le sue regole sono determinati dalla funzione che si insedia. Non esiste un progetto che funzioni in tutti i casi, né che valga per ogni tempo. Si tratta di adeguarsi da subito allo scopo della trasformazione, e renderla poi adattabile o convertibile a usi futuri.
  3. Vie principali e altri elementi urbani fortemente caratterizzanti vanno decisi per primi, e dentro allo schema che definiscono e conformemente ad essi si organizza poi la rete secondaria e il sistema degli isolati nel modo migliore possibile.
  4. I vari criteri per le categorie di edifici, affacci e profondità dei lotti e degli isolati, così come stabiliti dalle più attente pubbliche amministrazioni, devono essere applicati in modo discrezionale e adeguato. Non si tratta di vincoli rigidi o assoluti, ma aperti all’interpretazione, giudicabili in ciascun caso. Certo esistono regole fisse. Per esempio i caratteri essenziali di casette singole o a schiera o abbinate, pur sempre da adattare secondo le forme dei lotti. Che a loro volta determinano quelle degli isolati e l’organizzazione generale del quartiere, interagendo con le sezioni stradali e i vari spazi aperti pubblici.
  5. Se si aumenta la quantità di lotti o di edifici in una lottizzazione, la quantità delle vie, si dovranno contemporaneamente accrescere campi da gioco, verde, e altri indispensabili servizi alla popolazione nelle quantità raggiunte costruzione ultimata. Il momento migliore per stabilire forme e organizzazione degli spazi pubblici è la suddivisione originaria, un costo che si valuta insieme ai benefici.
  6. Gli interessi dell’operatore immobiliare, dell’utente proprietario o inquilino, dei cittadini in generale, devono il più possibile essere equilibrati, e nella gran parte dei casi ciò risulta assai più facile di quanto possa sembrare. Certo gli interessi immediati delle tre categorie non sono identici, ma sul lungo periodo non entrano normalmente in conflitto. È responsabilità della pubblica amministrazione, agendo attraverso ben meditate ed eque leggi e norme, eliminare le possibili cause di conflitto, definendo diritti e doveri delle parti in causa.
  7. Un progetto di suddivisione dei terreni deve considerare le diverse necessità delle diverse tipologie edilizie delle zone, non solo nelle funzioni previste nell’immediato, ma anche in quelle probabili successive, le esigenze di amministrazione e manutenzione, e per quanto possibile prevedere e provvedere ai problemi futuri. È possibile farlo in parte nel progetto stesso, e in parte introducendo norme e vincoli come caratteri fissi o già pronti alla conversione a uso diverso. Sono diverse le opinioni dei progettisti su cosa sia più auspicabile, tra uno schema che rende difficili le modifiche o un altro che le facilita. E anche qui sarebbe un errore diventare dogmatici. Ma una cosa almeno è chiara: anche considerandolo superficialmente un piano di lottizzazione si lega alla qualità dell’abitare, dato che i peggiori risultati si riflettono di solito non tanto sugli obiettivi immediati, ma sulla capacità di adattamento, o sull’assenza di regole pubbliche adeguate. Che dovrebbero essere più stringenti. Lo confermano tanti esempi nelle nostre città.

In conclusione, va detto che esistono, naturalmente, dei problemi tecnici in qualunque trasformazione urbana di queste dimensioni, la cui soluzione richiede capacità ed esperienza. Ma si tratta di problemi di lottizzazione che si collegano alle più ampie difficoltà dell’urbanistica, dell’edilizia, dell’organizzazione amministrativa e delle manutenzioni, dove pesano ancora di più la capacità e le conoscenze. La lottizzazione dei terreni, così come chiamano questa attività architetti ingegneri e urbanisti, stabilisce le forme assunte dalla rete stradale, le sezioni di carreggiata, i vicoli di servizio, e altri spazi comuni; i tipi di edifici ammessi nella zona; forme e dimensioni degli isolati; forme e dimensioni dei lotti edificabili; altezze dei fabbricati e altri caratteri fisici. Se la suddivisione dei terreni viene eseguita su iniziativa dell’operatore immobiliare, talvolta anche quando l’operatore è pubblico, si decidono anche gli allineamenti dell’edificato e altri vincoli per le costruzioni. Potremmo fare parecchi esempi di ciò che si fa e di come lo si fa. Concludendone che la lottizzazione dei terreni, definendo tanti aspetti della forma della città, abbia un’influenza sull’abitazione e la sua qualità molto maggiore e duratura di altre.

da: Housing Problems in America – Proceedings of the Fourth National Conference on Housing, Minneapolis 6-7-8 ottobre 1915; Titolo originale: Land Subdivision and its Effect upon Housing – Estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini

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