La cosa più singolare nei vari picchi stagionali della nostra esistenza urbana, si tratti delle eccezionali nevicate invernali, delle alluvioni autunnali, delle ondate di caldo estive, è il chiaro ed evidente manifestarsi di certe diffuse schizofrenie. Sono i momenti della verità, per così dire, in cui davanti all’alternativa tra un approccio personale strettamente individuale, ai limiti dell’egoismo e oltre, e comportamenti più consapevoli e riflessi, sono in tantissimi a non porsela neppure per un istante, quell’alternativa. Vediamo così certi militanti granitici (fino al giorno prima) delle energie rinnovabili e del risparmio energetico, non solo praticare a man bassa tutto ciò che si condannava a parole, ma anche pretendere pubblicamente il più diffuso e indiscusso sostegno alle proprie pratiche, per esempio, di uso e abuso del condizionamento d’aria. Così come gli stessi intransigenti paladini della mobilità dolce non si fanno alcuno scrupolo, in trasferta per vacanze o fine settimana, di militare localmente nei luoghi di villeggiatura a favore di parcheggi, opere stradali, e naturalmente case isolate, centri commerciali, tutto quanto combattevano strenuamente nella circoscrizione anagrafica di residenza. Orribile malafede? Schizofrenia clinicamente dimostrabile? Molto più spesso sembra trattarsi di semplice incultura, il che ovviamente è altrettanto grave, specie quando interessa chi è dotato di un certo potere decisionale.
C’è natura e natura
Qualcosa di molto simile, anche se in forme certamente meno vistose, riguarda il rapporto con gli animali, o meglio il comportamento e atteggiamento degli «amici degli animali», virgolette d’obbligo perché in tantissimi casi trattasi di amicizia molto sui generis. Non sfugge a nessuno, ad esempio, che alla passione per una determinata specie di animali, che siano i soliti cani o gatti o altri, spesso corrisponde una totale indifferenza per il rimanente 99% degli animali, bipedi umani inclusi. Indifferenza che si estende a volte anche (solo a volte, naturalmente, e si spera poche) ai maltrattamenti, e in generale a quel tipo di distorsioni emergenti nelle nuove forme di convivenza metropolitana. Perché si tratta esattamente di questo: oltre al tradizionale rapporto uomo animale, vuoi di tipo urbano col pet di casa, vuoi di tipo rurale utilitaristico per alimentazione o lavoro, se ne sta costruendo un altro per così dire di vicinato, con le specie sempre più numerose che trovano di che vivere e a volte prosperare dentro i nostri spazi e manufatti. Anzi, per essere più precisi, dentro i loro ambienti originari che noi abbiamo invaso di manufatti e marchingegni dedicati alla nostra vita. Sono stati così bravi, da adattarli anche alla loro di vita, e sicuramente non possiamo trattarli come sinora è stato fatto con certe «anomalie urbane», dai topi agli scarafaggi alle zanzare, cose da cancellare dalla faccia della terra, anche se di fatto non ci siamo mai riusciti.
Infrastrutture viventi non umane
Oggi, come ci indicano piuttosto chiaramente le poche ma preziose conoscenze in questo intricato campo interdisciplinare, è necessario un approccio inedito al tema fauna metropolitana, del tutto diverso da quello «militare» seguito sinora, e per molti versi analogo a quello del cosiddette infrastrutture verdi inserite nel metabolismo e gestione della città, ad arricchirla anziché solo intercalare gli ambienti artificiali. La base di questo nuovo approccio è quella di capirne di più, ovviamente, e approfondire le ricerche nei vari campi comportamentale, ecologico, della cooperazione, dell’interazione (oltre che in quelli più tradizionali ma correlati alle specificità del contesto urbano). Il secondo aspetto riguarda direttamente noi, e in particolare un allargamento del famoso concetto di «amico degli animali», verso un più laico ed empirico senso di cittadinanza condiviso ed esteso ai vicini di casa non umani, conoscendone i comportamenti, le abitudini, e magari imparando a trarre giovamento dalla coabitazione. Il terzo è la predisposizione del campo fisico, esattamente come oggi a volte si fa per certe reti ecologiche che comprendono migrazioni e propagazioni: anche la città si deve dotare di sistemi in grado di favorire e orientare l’esistenza delle varie specie animali, tra loro e in relazione a noi e ai nostri spazi (un esempio è quello delle casette per uccelli o pipistrelli, ma soprattutto si tratta di adattare i nostri impianti e infrastrutture). Infine, esattamente come si auspica per tanti altri campi, dall’urbanistica ai trasporti ai rifiuti, anche per la gestione animale è auspicabile trasformare interventi settoriali e specializzati in vere e proprie politiche, dato che non si tratta più di sterminare o meno, ma di integrare, ergo si parta dall’integrare uffici e responsabilità. Insomma vediamo di non dimostrarci più bestie di ceti quadrupedi che tanto disprezziamo, chissà perché
Riferimenti:
Peter Alagona, Urban wildlife is here to stay, EarthSky, 7 luglio 2015