La Casa a chi Lavora (1945)

Foto F. Bottini, 2022

Fra i problemi della ricostruzione, intesa nel suo senso lato, il problema della casa si presenta come uno dei più generali e complessi dell’economia italiana, e non solo problema d’oggi. Perché, mentre molti aspetti della vita nazionale erano (o almeno parevano essere) normali prima della guerra (i treni in orario, le strade sufficienti, ecc. ecc.) il problema delle case per le famiglie meno abbienti era insoluto e andava anzi di anno in anno addensando sulla nazione oscure minacce di crisi aperta. Questa crisi che era già cronica allora, è stata portata di nuovo dalla guerra ad una fase acuta. Occorre curarla ma la si cura oggi e in piccolissima parte coi metodi delle manifestazioni acute del male. Come si fanno i ponti provvisori per le nostre strade in attesa di rifarli permanenti, o si circola sui camion in attesa dei treni, si cerca con la riparazione degli alloggi e con una prima ricostruzione delle case sinistrate di risolvere il problema contingente.

Ma se possiamo dire che quando tutti i ponti saranno rifatti, le vie di comunicazioni e i mezzi di trasporto ricostruiti, il problema delle comunicazioni ad es. sarà risolto, non possiamo analogamente credere di affermare che quando tutte le case sinistrate o distrutte fossero ricostruite, il problema degli alloggi per le famiglie meno abbienti lo sarebbe ugualmente. Ciò dipende dal fatto che le ragioni di questa crisi risalgono ad un complesso di cause e di origini ben più profonde di quelle contingenti, derivanti dalle distruzioni provocate dalla guerra. Una di tali cause e la preminente, è la mancata sottrazione dell’abitazione del lavoratore alla speculazione privata e le incapacità del salario quindi a sopperire alla fondamentale necessità dell’abitare. L’opera di liberazione dei rapporti della società feudale che Carlo Marx attribuiva al salario, riconoscendola al sistema capitalistico, è evidentemente in pratica superata dal fatto che lo stesso sistema capitalistico presiede alla produzione di un bene essenziale alla vita da acquistarsi appunto con questo salario quale è l’alloggio.

È bensì vero che prima del sorgere dell’industria e del sistema capitalistico, i rapporti fra padroni e lavoratori per quanto riguarda le abitazioni finivano per determinare nell’agricoltura e nell’artigianato, che erano le due forme della produzione, una serie di servitù feudali dalle quali il sistema capitalistico salariale ha liberato formalmente il lavoratore, ma è anche vero che, a prescindere della condizioni delle abitazioni nelle singole epoche nella massima parte dei casi prima del sorgere dell’industria esisteva un’armonia ed un equilibrio ed un collegamento tra luogo di lavoro e abitazione sì che ad ogni lavoratore spettasse per consuetudine, o diritto o pratica convenienza del datore un alloggio. Perché la benefica liberazione del salario da questa schiavitù feudale dia dei risultati veramente tangibili, occorre liberare anche in regime capitalistico i beni essenziali della vita del lavoratore dalla speculazione.

Foto F. Bottini, 2022

Un passo enorme deve essere compiuto, in campo sociale accanto a quello dell’evoluzione economica, quali la terra in uso a chi lavora, i mezzi di produzione controllati dai produttori, la nazionalizzazione dei servizi pubblici, delle grandi industrie e del latifondo. Tale passo sarà la proclamazione che il diritto all’uso di un alloggio è uno dei diritti fondamentali dell’uomo nello stesso modo di quello dell’alimentazione e derivante come questo dal dovere del lavoro. La casa finisce con questo di essere un oggetto della speculazione individualistica per diventare un servizio dell’organizzazione collettiva. La casa in non proprietà per tutti sarà la forma caratteristica dell’evoluzione, secondo le esigenze attuali, del diritto dell’abitazione, di quel diritto che già fu proprio all’organizzazione dell’agricoltura, dell’artigianato e del commercio nei secoli passati.

Come in tema di politica non si può ritornare all’Italia prefascista, in tema di edilizia e di urbanistica non si deve ritornare ad un’urbanistica e un’architettura che partano ad concetti economicamente e socialmente non corrispondenti alla rivoluzione sociale collettiva di cui la guerra ha rappresentato la dolorosa premessa. Pertanto la situazione del lavoratore nei confronti della sua abitazione deve oggi evolversi nello stesso senso in cui si va evolvendo la condizione del suo salario nei confronti dell’organismo del lavoro. Ma come i lavoratori tendono a diventare compartecipi degli utili, ma non comproprietari delle aziende nazionalizzate, così essi devono divenire utenti, ma non proprietari delle case socializzate. Questa è oggi la condizione economica essenziale alla soluzione integrale dell’abitazione per i lavoratori. Nel 1941 quando l’economia corporativa aveva ormai irretito ogni possibilità di evoluzione economica dei diritti del lavoro, ha proposto come soluzione del problema integrale della casa in non proprietà una «assicurazione sociale per la casa» alla quale, a somiglianza delle altre forme assicurative sociali, concorrevano i lavoratori e i datori di lavoro e per una terza parte anche lo Stato. La proposta era rivoluzionaria e si contrapponeva a quella «della casa in proprietà per tutti» che era divenuta uno degli «slogan» del fascismo, e destinata pur con la sua utopica irrealizzabilità economica ad illudere le masse e a fare di una minoranza di privilegiati delle sicure clientele della politica.

Oggi la proposta è ancora più viva e attuale che mai nei programmi della ricostruzione. Lo scopo della proposta assicurazione non è quello di dare a tutti i lavoratori una casa identica, ma di garantire a tutti almeno un minimo di abitabilità e di decoro nella casa, fermo restando ad ognuno la possibilità di migliorare con un soprapprezzo del canone dell’assicurazione la categoria della casa o di aumentarne le dimensioni o infine di scegliersi una diversa abitazione sul libero mercato (se questo sarà in grado di fornirla) quando le proprie possibilità siano così migliorate da permetterlo. La definizione del minimo delle condizioni di abitabilità va fatta non solo in relazione alle condizioni e ai risultati a cui si era giunti nell’anteguerra, ma anche a quelle che sono le condizioni dell’economia attuale, tenendo presente che può essere necessario in un primo tempo rivedere anche in minimus lo standard degli elementi della casa singola, a favore invece dei servizi in comune. Altro elemento indispensabile per giungere a dei risultati economicamente possibili è lo studio e l’estensione dei procedimenti di unificazione della costruzione.

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Il finanziamento della costruzione attraverso una forma assicurativa è il solo che può risolvere il lato economico del problema nelle sue recenti manifestazioni assieme ai fenomeni concomitanti che lo integrano e lo aggravano. L’opera degli Istituti delle Case Popolari, che così largo merito hanno in quanto è stato fatto per l’abitazione del popolo, è divenuta assolutamente inadeguata alle necessità, non solo della ricostruzione, ma pure del normale mercato quale era prima della guerra. Basti citare a puro titolo di esempio le 60 mila richieste di alloggi inevase nel 1939 nel solo Istituto delle Case Popolari di Milano. Le ragioni di tale insufficienza sono essenzialmente di ordine economico (perfezionamento e maggiore costo delle case popolari per un lato, di un continuo finanziamento e proporzionale alle necessità per l’altro). L’iniziativa privata d’altronde era già prima della guerra nella impossibilità di competere nel piano della libera concorrenza con gli istituti delle case popolari, né d’altra parte perché non poteva soddisfare alle esigenze degli affitti minimi pagabili dagli inquilini lavoratori.

1 – Il complesso delle cause che avevano già allora determinata la crisi erano dunque:

a) la considerazione che l’abitazione per chi lavora fosse una affare per la speculazione privata e non l’oggetto di una organizzazione collettiva e di un diritto fondamentale derivante, assieme a quello dell’alimentazione, dal dovere del lavoro;

b) l’assoluta indipendenza di luogo fra gli organismi del lavoro e le abitazioni dei lavoratori con mancanza di un qualsiasi rapporto economico fra loro e un assoluto agnosticismo nell’industria in particolare nel problema sociale della casa;

c) i miglioramenti richiesti dall’evoluzione sociale nella casa popolare di nuova costruzione e conseguente maggior costo di essa aggravato dalla mancanza di provvedimenti di unificazione industriale nella tecnica della costruzione.

2 – La crisi degli alloggi per il popolo nel dopoguerra si è aggravata:

a) per effetto delle distruzioni delle case del popolo;

b) per il plus valore assunto dalle aree edificabili;

c) per effetto della speculazione privata sulle aree stesse.

Questa situazione porta alla necessità di provvedimenti di ordine politico, sociale, economico tecnico che possono sembrare a qualcuno assolutamente rivoluzionari, ma che corrispondono in realtà al naturale ed ineluttabile evolversi di una crisi alla quale l’economia capitalistica ha portato il mondo, e della quale per i primi hanno risentito i paesi poveri.

La ricostruzione nel campo urbanistico ed edile non può avvenire che con direttive e mezzi radicalmente diversi dai preesistenti

Le direttive e i provvedimento saranno in campo politico e sociale:

  1. proclamazione del diritto dell’uomo che lavora all’uso dell’abitazione sul medesimo piano del diritto all’alimentazione;
  2. conseguente proclamazione della casa servizio dell’organizzazione collettiva e non oggetto della speculazione individualistica;
  3. proclamazione dell’indivisibilità del piano economico di organizzazione e conduzione di ogni impresa di lavoro (agricolo, commerciale, industriale) da quello del contributo al finanziamento dei mutui atti a garantire la costruzione di un numero di alloggi bastevoli per gli addetti all’impresa stessa e di proprietà di un Istituto di carattere collettivo e nazionale.

Le direttive e i provvedimenti saranno in campo economico:

1 – costituzione iniziale di un fondo destinato alla formazione di un «Istituto di Assicurazione Sociale per la Casa». Tale fondo risulterebbe sia dall’apporto di beni immobili che da quello di capitali. Formerebbero apporto di beni immobili:

a) tutti gli edifici di proprietà degli Istituti delle case popolari e degli enti provinciali, comunali ed ogni altro ente morale avente come fine la costruzione di case per il popolo;

b) parte degli edifici destinati ad abitazione che siano stati costruiti da altri enti statali o parastatali o dalle società di assicurazione private a scopo di investimento di capitali;

c) le aree divenute demanio comunale o della regione in seguito all’esproprio per pubblica utilità di tutti i terreni da costruzione liberi o divenuti tali in seguito a demolizioni.

Formerebbero apporto di capitali:

a) una contribuzione straordinaria dello Stato;

b) una contribuzione straordinaria degli Enti assicurativi quali Istituto nazionale Infortuni, Istituto Nazionale delle Assicurazioni, Istituto della previdenza sociale, ecc. ecc.

c) una contribuzione straordinaria delle imprese di lavoro con speciali condizioni di prestito da farsi dalle banche.

Tale contribuzione potrebbe essere un’aliquota dei sopraprofitti di guerra per le imprese già esistenti e un contributo iniziale per quelle di recente o nuova formazione. Una speciale disposizione dovrebbe provvedere per l’avvenire a che nessuna impresa di lavoro che occupi più di 30 dipendenti stipendiati possa essere iniziata se nel piano finanziario dell’impresa non sia iscritto e risolto il problema economico del finanziamento immediato delle abitazioni per i dipendenti , sia con la costruzione di proprie unità di quartiere d’abitazione distinte, sia con contributi all’accensione di mutui per la formazione di quartieri di abitazione fra diverse imprese associate.

2 – A questo gruppo di contributi versato sotto forma straordinaria di imposta si accompagnerebbero quelli pagati in forma continuativa e ordinaria di assicurazione sia pure da parte dello Stato che delle imprese di lavoro una parte dei tributi giustamente proporzionale ai profitti e al numero dei dipendenti. Si dovrebbe giungere cioè alla istituzione per ogni lavoratore di una assicurazione sociale per la casa con un contributo analogo a quello esistente per gli infortuni e, a carico dell’impresa di lavoro, capace di costituire la massa di capitale occorrente al finanziamento delle abitazioni per i lavoratori e di servire sia come capitale diretto che come pagamento di interessi di altro capitale a mutuo, nazionale o straniero. Questo provvedimento costituirebbe in un secondo tempo il regolare e proporzionato afflusso di capitale ad una gigantesca opera di costruzione delle case per tutti i lavoratori sottraendola alla speculazione privata. È bene inteso che la garanzia dell’uso della casa consentirebbe una revisione delle paghe dei lavoratori evidentemente inferiore alle cifre che attualmente essi pagano alla speculazione privata per gli affitti della casa.

Per esigenze di tempo riservato alle comunicazioni del congresso si rimanda chi si interessa ai particolari della tecnica assicurativa prevista per l’assicurazione sociale per la casa ad una mia più vasta pubblicazione La Casa a chi Lavora [Görlich, Milano 1945]. Accenno solo brevemente che l’assicurazione in questione dovrebbe comprendere due periodi: dal 14° al 45° anno di età e dal 45° al 60°con quote assicurative crescenti nel primo e decrescenti nel 2° periodo. A titolo puramente esemplificativo diamo uno schema di questa assicurazione che sarebbe pagata come altre assicurazioni sociali, in proporzione alla paga percepita e in forma scalarmente crescente dal 14° al 45° anno di età e decrescente dal 45° al 60°. L’assicurazione che il lavoratore incomincerebbe a pagare a 14 anni, cioè al limite di età minimo per il lavoro e che sarebbe a lui reintegrato dall’impresa di lavoro, potrebbe dare il suo primo godimento al 22° anno cioè verosimilmente al temine del servizio militare o del lavoro. Questo corrisponde praticamente al fatto che presso il popolo è a tale età dell’uomo che si formano le nuove famiglie; fino a tal momento pertanto le cifre di assicurazione pagate entrerebbero nel fondo capitale dell’Istituto nazionale della casa.

Foto F. Bottini, 2022

Per le imprese solo parzialmente nazionalizzate un terzo circa della quota di assicurazione sarebbe conferita dallo Stato che dovrebbe devolvere a tale uso le somme che attualmente sono annualmente stanziate in favore degli Istituti delle case popolari per le nuove costruzioni. Con questo si avrebbe una perequazione del contributo statale favore del lavoratore in tutti i centri. Si può calcolare che l’importo ad interessi capitalizzati di 8 anni di assicurazione così versati possa corrispondere circa al costo di mezzo locale di casa popolare. L’assicurazione conferirebbe al 22° anno di età il diritto all’assegnazione di un alloggio nel caso che un lavoratore si formasse col matrimonio una propria famiglia. Da questa età sino al 60° anno le imprese di lavoro e lo Stato (unificati nelle aziende nazionalizzate) contribuirebbero con quote di assicurazione nelle proporzioni suddette al pagamento degli interessi e all’ammortamento del capitale mancante all’importo già versato nei primi 8 anni di assicurazione, sino alla concorrenza del costo dell’alloggio medio tipo e delle sue spese generali di manutenzione e di amministrazione: i capitali per ciò occorrenti sarebbero ottenuti con mutui contratti presso istituti Assicurativi o bancari.

Dal 60° anno alla morte il lavoratore potrà godere dell’uso gratuito dell’alloggio col solo pagamento delle spese di amministrazione e manutenzione; questo al fine di mantenere in lui il rispetto della casa e la sensazione della necessità della sua buona conservazione. Formerebbero una integrazione annuale dei contributi da parte dello Stato le somme stanziate per i premi di nuzialità e di soccorso demografico nonché quelle parti dei capitali che annualmente gli istituti parastatali di assicurazione destinano agli investimenti in costruzioni; da parte dell’impresa di lavoro gli assegni familiari o una quota di casa. Naturalmente l’uso dell’alloggio vale anche per i familiari conviventi. Se fra questi vi sono altri lavoratori la rispettiva assicurazione garantisce a questi, giunti al 22° anno e qualora non si formino una famiglia propria il diritto di mezzo locale in più nella casa paterna. L’alloggio minimo garantito dall’assicurazione alle condizioni di cui sopra dovrebbe essere costituito da una stanza di soggiorno e una camera più i servizi, per i coniugi con figli o persone a carico sino a due.

Per ogni due figli in più una camera in più. Nel caso di morte del lavoratore si possono prevedere varie soluzioni. Se il lavoratore muore dal 14° al 22° anno di età il capitale versato in conto assicurazione va a favore dell’Istituto Nazionale per la casa. Se il lavoratore muore nel periodo fra il 22°e il 60° anno di età i suoi diritti all’uso della casa passano ai famigliari già conviventi: moglie, figli, genitori, nonni, fratelli, sorelle. Se di essi qualcuno è lavoratore, ma non ha compiuto il 22° anno di età subentra al defunto in qualità di capo famiglia e il canone pagato è sempre proporzionale alla propria paga, qualunque, qualunque sia, ma ridotto già scalarmente di quanto era ridotto il canone assicurativo del genitore o parente defunto per le quote pagate oltre il 45° anno di età. Al 22° anno di età poi subentra nel diritto della casa in qualità di capo famiglia col diritto che gli è proprio in quanto assicurato. Se i successori nel diritto sono tutti minori dei 14 anni e non lavoratori (e quindi non assicurati) ad essi sarebbe liquidata una somma proporzionale alla cifra già pagata con l’assicurazione.

Naturalmente per la varietà dei casi che si possono presentare si potranno studiare delle soluzioni basate sulle norme generali e particolari che già si applicano in materia di assicurazione. Per l’esame e soluzione di questi particolari casi del resto dovrebbe essere costituito un ufficio speciale in seno al nuovo Ente assicurativo. I rapporti fra l’Ente assicurativo per la casa e gli assicuratori essendo evidentemente più complessi di quello che siano i rapporti fra gli Istituti delle case popolari e gli inquilini infinitamente maggiori essendo il numero delle persone interessate, si dovrà di necessità scindere l’attività in campo assicurativo del nuovo Ente da quella in campo tecnico costruttivo. La prima sarebbe esercitata dal nuovo Ente in veste nazionale e comprenderebbe la raccolta delle quote assicurative, la loro capitalizzazione, l’apertura di mutui, l’amministrazione dei sussidi statali, il finanziamento delle costruzioni, ecc. ecc.

In campo tecnico la realizzazione delle costruzioni sarà affidata all’opera diretta o al controllo degli Istituti delle case popolari che completamente rinnovati nella loro struttura tecnica continuerebbero la loro opera quali uffici provinciali del nuovo Ente, mantenendo in questo campo una autonomia regionale. Con questo sarebbe ridata agli Istituti suddetti quella funzione eminentemente tecnica che era all’inizio della loro opera e che successivamente è stata complicata e appesantita dai problemi amministrativi dei finanziamenti, della amministrazione degli stabili, dell’assegnazione degli alloggi, ecc. problemi che oggi assorbono da soli assai più del 50% dell’attività dei dirigenti degli Istituti in questione. Con questo sarebbe garantita l’esistenza e l’uniformità delle caratteristiche minime degli alloggi per i dipendenti di qualsiasi impresa di lavoro. Non è escluso che in un primo tempo (e forse anche in seguito) il problema dell’alloggio ai propri dipendenti possa essere affrontato dalle grandi imprese di lavoro o dalle medie consorziate con l’apporto di costruzioni finanziarie e costruite direttamente, in luogo del pagamento del contributo straordinario di cui si è sopra parlato.

Tutte le costruzioni dovrebbero restare però anche in tal caso di proprietà dell’Istituto nazionale per la casa, pur lasciandosi ai gruppi di imprese di lavoro promotrici delle costruzioni la prelazione per la destinazione degli alloggi in uso ai propri dipendenti. Evidentemente per tutti i lavoratori, di quelle imprese che per il piccolo o minimo numero dei dipendenti non fossero in grado, neppure con forme di consorzio, di costituire organismi di costruzione indipendenti, i contributo straordinari per la formazione del fondo iniziale andrebbero all’Istituto Nazionale di Assicurazione Sociale per la casa che provvederebbe alle costruzioni. Il risultato di questo lavoro unitario e collettivo sarebbe il continuo miglioramento delle condizioni di abitabilità per le classi meno abbienti. Tale miglioramento risulterà da due fattori: l’unità delle ricerche tecniche degli uffici tecnici dei vari istituti fatti su una scala di costruzione enormemente maggiore di quella attuale, le possibilità che la grande industria dedichi a questo problema della abitazione, che è problema più grande dei periodi di pace, i capitali, le ricerche, l’attrezzatura costruttiva che dedicava ieri ad esempio al problema dell’auto per tutti.

Costante proporzionalità fra finanziamento e richiesta di alloggi

Gli Istituti delle case popolari, riuniti, come già attualmente sono, in Consorzio, sarebbero in grado di mettere a disposizione, secondo un piano nazionale, una quantità di alloggi esattamente corrispondente alle richieste perché i finanziamenti messi a loro disposizione sarebbero proporzionali al numero dei lavoratori delle zone di loro giurisdizione. Inoltre il vasto contributo finanziario apportato dal sistema assicurativo previsto, alla soluzione del problema della casa popolare, non ché la possibilità di realizzare le costruzioni su vastissima scala consentiranno, una volta raggiunto un certo equilibrio nella disponibilità di alloggi attraverso quei finanziamenti straordinari di cui sopra detto il continuo aggiornamento delle costruzioni con la demolizione progressiva di quei tipi di case che via via appaiono superate, sia per ragioni di abitabilità ub particolare che per ragioni urbanistiche in generale. Procedimento quest’ultimo oggi assolutamente inattuabile per la penuria di alloggi che gli Istituti possono mettere a disposizione dei richiedenti.

Nel campo dell’urbanistica l’opera di costruzione di case per il popolo, potenziate dal nuovo tipo di finanziamento assicurativo capace di apportare nuovi fortissimi capitali, sarà un valido strumento per la realizzazione razionale e integrale dei piani regolatori. Solo così un sistema razionale di provvedimenti economici e tecnici come quelli qui indicati e nello spirito sociale collettivo è possibile affrontare e risolvere il problema della ricostruzione o «nuova costruzione» nel campo edile e urbanistico. Nella complessa varietà dei problemi che la guerra ha suscitato alcuni ne rivestono il carattere di suprema giustificazione e di scopo anche se non appaiono esserne i più tangibili. Fra questi i problemi sociali legati alla casa esigono oggi le deliberazioni più rivoluzionarie in seno ai singoli popoli. Quelli di essi che avranno trovato o risolto il problema della sana e umana abitazione per tutti saranno i più preparati ad assumere la responsabilità di una civiltà nuova alla quale anche l’Italia non può non contribuire con con quella originalità e vastità di previdenza che già l’hanno fatta maestra e precorritrice nel campo degli studi sociali.

da: Rassegna del Primo Convegno Nazionale per la Ricostruzione Edilizia- Milano 14-15-16 dicembre 1945, Fasc. 9

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