La questione delle abitazioni oggi
In Europa stanno scomparendo le case. Tra non molto parecchie saranno devastate dai bombardamenti. Nei paesi belligeranti l’edilizia, salvo che per la costruzione di bunker, baracche militari, impianti per le munizioni, è ferma. Anche nei paesi neutrali la costruzione di abitazioni si fa sempre più difficile: scarsità e prezzi elevati dei materiali, interferenze con la circolazione delle merci, tutto rema contro. La casa è simbolo e sostanza di pace e in tempo di guerra è un’abitudine che va in disuso. Ma l’America non è in guerra ed è anche lontana dai teatri degli scontri. E gli americani sono ancora liberi di dedicarsi all’arte di costruirsi le case.
L’America costruisce
In realtà l’America ha già in corso un grande programma per le abitazioni. In parte – per quanto riguarda le case delle fasce sociali a reddito più basso – iniziato su iniziativa Public Works Authority nel 1933, anche e concretamente partito solo nel 1937. È in quell’anno che il Congresso approva la legge istitutiva della United States Housing Authority (USHA), e il paese accetta ufficialmente la sfida dell’abolizione del tugurio. La USHA può gestire tutte le forme di finanziamento alle autorità locali delegate per la casa e fissare criteri di riferimento per la costruzione e amministrazione di «case pubbliche».
Così in diverse parti del paese oggi, dal Massachusetts alla California, dal Michigan al Mississippi, stanno crescendo le abitazioni USHA. In fondo a qualunque Main Street di cittadina, appena oltre i binari della ferrovia o ai margini dell’abitato o nei grandi quartieri popolari delle grandi città, possiamo vedere tanti edifici in varie fasi di realizzazione. Alcuni già completati. Un qualsiasi John Jones ci ha traslocato giusto l’altro giorno e continua a raccontare entusiasta di quanto spazio e luce e aria ci sia nella sua nuova casa: prima non era mai riuscito a trovare più di tre locali per la sua famiglia di sei persone, almeno per quanto poteva permettersi di pagare in affitto.
La signora Smith non deve più ingaggiare le sue battaglie per il bucato con l’acqua fredda come succedeva nel vecchio appartamento, adesso ne ha uno in un complesso pubblico col rubinetto dell’acqua bollente sulla vasca per lavare. E i suoi bambini giocano sicuri in uno spazio recintato che lei può controllare dalla finestra della cucina. La famiglia Johnson ha abbandonato quella baracca cadente che il proprietario si rifiutava sempre di sistemare e adesso occupa una linda villetta a schiera con tutti i servizi igienici. Si sono fatti un’ottima opinione dello Zio Sam, visto che senza il suo aiuto non l’avrebbero mai neppure sognata una casa così.
La scala della questione delle abitazioni
Ma non ce ne sono mai abbastanza di case USHA. Bert Thompson e la sua giovane moglie non condividono tanto volentieri l’appartamento de genitori di lei. Sally Ryan ancora si sta chiedendo come fare con la madre invalida, relegata in cima a un cadente edificio in affitto sempre a rischio di incendio. Anche gli Antonelli tirano avanti a malapena adattandosi coi loro sette figli dentro una baracca da due stanze che è il meglio che possono permettersi. Sulla base di indagini recenti gli esperti stimano che dieci milioni di famiglie, ovvero il 31% di tutta la popolazione americana, vivono esattamente come i Thompson, i Ryan, gli Antonelli, ovvero in case del tutto inadeguate. Se questi calcoli sono solo vagamente affidabili l’America ha davanti a sé un enorme lavoro da fare per quanto riguarda le abitazioni.
Perché case pubbliche
Se non si è seguito sin dall’inizio il dibattito sulle case pubbliche in questo paese, forse ci si può chiedere come mai esista il bisogno di case pubbliche. Perché i Thompson, i Ryan, gli Antonelli, le case non se le comprano o trovano in affitto da soli esattamente come vanno a prendere da mangiare o da vestirsi? E la risposta è che i Thompson, i Ryan e gli Antonelli non guadagnano abbastanza per pagarsi l’acquisto o l’affitto di una abitazione decorosa. Non si possono permettere una casa piena di aria luce con servizi moderni una cucina pulita riscaldamento refrigerazione acqua calda e fredda correnti elettricità. Non possono pagarsi spazio e privacy per i vari membri della famigli. Nelle case dove abitano oggi non hanno alcuna reale tutela contro gli incendi. In pratica gli manca tutto ciò che noi americani associamo normalmente all’idea di casa. Gli esperti del settore vanno anche oltre e ci spiegano come una abitazione moderna si debba giudicare anche da cosa sta fuori oltre che dentro: alberi e giardini, campi da gioco, una gradevole veduta dal davanzale, un quartiere senza fastidiose presenze industriali.
Ma i Thompson, i Ryan, gli Antonelli e tante altre persone non possono permettersi nessuna casa così e figurarsi un giardino. E facendo due conti si arriva al fatto che esiste la necessità di case moderne da concedere in affitto a meno di 25 dollari al mese, se vogliamo che quel terzo più povero della nostra popolazione possa avere un alloggio decoroso. Ma nella maggior parte dei casi invece anche le case più piccole superano quei 25 dollari di affitto se si vuole guadagnarci anche il minimo. Nelle zone rurali e nel Sud, in realtà esiste una offerta di abitazioni abbastanza moderne per cui si chiede un affitto inferiore a 25 dollari, ma si tratta anche delle stesse regioni dove gran parte dei lavoratori guadagna così poco da non potersi permettere di pagare neppure 10 dollari.
[…]
Cosa succederà?
Osservando così è già accaduto in Europa nel campo della case economica, dobbiamo chiederci: cosa possiamo fare noi? Ecco, tanto per cominciare, spazzare via i tuguri Eliminare quei casamenti malsani che diventano una trappola in caso di incendio, e che si ammassano attorno a fabbriche, miniere, impianti siderurgici e meccanici, porti, scali ferroviari, e anche nei centri delle nostre città. Demolire le orribili baracche di cartone catramato e materiali raccattati in discarica, dove trovano precario alloggio lavoratori dell’agricoltura perché è l’unica cosa che riescono a permettersi. Dal Maine alla California, dalla Florida allo Stato di Washington, possiamo sostituirle con abitazioni comode e salubri. Se decidiamo di farlo, possiamo farlo, e contemporaneamente impedire che speculatori realizzino nuovi tuguri, alloggi malsani ammucchiati che nonostante siano a volte dotati di moderni servizi assomigliano ancora troppo alle oscure masse di alloggi del diciannovesimo secolo. Dobbiamo solo decidere cosa fare.
Gli organismi per decidere già esistono
La macchina amministrativa per realizzare tutto questo non deve essere creata apposta. Durante la depressione il governo federale istituì più di un ente per collaborare coi privati nel finanziamento di nuove abitazioni. Uno è la Home Owners’ Loan Corporation (HOLC), creata per assistere le famiglie che stipulato un contratto di acquisto in tempi normali non riuscivano però a onorarlo a causa della depressione economica. Un altro è la Federal Housing Administration (FHA), che sostiene capitali privati nella costruzione di case da cedere in affitto o vendita a famiglie a basso reddito. La FHA garantisce il pagamento degli interessi e fino al 90% degli investimenti. Fissa anche prezzi e criteri tecnici degli alloggi che garantisce finanziariamente. Esiste poi ancora la Farm Security Administration (FSA), che ha rilevato le tre città nuove greenbelt costruite dalla Resettlement Administration durante la depressione e sta sperimentando case a basso costo nelle aree agricole. Infine la United States Housing Authority (USHA),il cui unico obiettivo è alloggiare il terzo più povero del paese che oggi vive nei tuguri e non si può permettere di meglio.
La casa non è questione che possa affrontare un solo ente. E neppure un governo.Sappiamo che in Europa i governi sono entrati direttamente nella questione delle abitazioni. Ma limitandosi a quelle dei lavoratori con i redditi più bassi. Lasciando enorme spazio all’impresa privata che rispondeva alla domanda di alloggi. Senza competere con essa in Inghilterra e Svezia gli alloggi pubblici in realtà hanno stimolato la domanda per quelli privati. Due mercati che non si mescolano ma procedono in modo parallelo, e l’impresa privata che determina il percorso.Allo stesso modo nel nostro paese è il privato a farsi carico della maggior parte del lavoro: solo là dove non si riesce a offrire alloggi a un prezzo sufficientemente basso per i lavoratori entra in campo USHA.
La United States Housing Authority
Per fare ciò che non può fare il privato, USHA deve offrire sussidi. In tutti i paesi dove si sono sviluppate politiche per la casa rivolte alle famiglie a basso reddito si è ricorso ai sussidi statali. Se in Europa questi sussidi sono stati ritirati recentemente, non è certo perché il problema sia stato risolto, ma soltanto per via della depressione e della guerra. Può anche darsi naturalmente che ano mano si sviluppano e sperimentano nuove forme tecniche economiche organizzative l’edilizia pubblica possa esistere senza queste forme di sussidio annuale oppure essere sostituita da quella privata di mercato. Ma al momento attuale pare l’unico metodo per realizzare abitazioni decorose destinate alle fasce di reddito più basse.
La USHA quindi può offrire un sussidio annuale fino al 3,5% del costo capitale di ciascun progetto di case pubbliche. Un contributo concesso solo e e fino a quando diminuisce l’affitto sino al livello di un tugurio nella medesima zona. E ci si deve aggiungere un altro sussidio locale commisurato a quello federale, anche sotto forma di esenzione fiscale. USHA finanzia anche al 90% i progetti approvati e le città coprono il restante 10%. A fine 1939 l’ente aveva approvato prestiti per 670.000.000 di dollari a complessi pubblici in tutto il paese. Ovvero aveva contribuito a finanziare 160.000 alloggi, e ospitare 640.000 persone.
Programmi futuri
Ma che ne sarà dei dieci milioni di famiglie che secondo stime affidabili ancora non abitano alloggi adeguati? La stessa USHA calcola che circa cinque milioni e mezzo col tempo potrebbero rivolgersi al mercato privato, tra edifici sistemati modernizzati e altri nuovi. Ma perchépoi i prezzi siano quelli che le persone possono permettersi il settore edilizio deve poter lavorare su scala abbastanza ampia e cooperando tra comparti. Se non ci riesce, molta parte di questi oltre cinque milioni di famiglie resteranno potenziali inquilini di USHA. Ma anche se ci riesce rimangono comunque gli altri quattro milioni e rotti a cui pensar. Nathan Straus, Amministratore USHA, auspicava la realizzazione e gestione da parte dell’ente di almeno 300.000 alloggi pubblici all’anno per quindici anni. Un programma di rivedere annualmente per verificare se ne sono necessari tanti. Ma nell’autunno 1939 il Congresso negava l’autorizzazione a finanziare questi programmi.
L’opinione pubblica
Abbiamo detto che i meccanismi gestionali per grandi programmi edilizi esistono. Ma come usarli e se sfruttarli in futuro dipende dalla pubblica opinione e da come viene informata. Per esempio in Inghilterra non esisteva alcun programma per l’edilizia pubblica finché nel primo dopoguerra non arrivò il programma «Case per gli Eroi». Una delle ragioni per cui in Francia si sono costruite così poche abitazioni moderne ad affitti controllati è che l’opinione pubblica non le ha mai chieste con decisione. Se grandi quantità di contribuenti americani iniziassero a pensare che spendere soldi nella costruzione di case decorose su tempi lunghi diventa molto meglio che farlo in sussidi alla disoccupazione dei lavoratori dell’edilizia o nella lotta agli incendi o nella sanità, chiederebbero più azione pubblica in quel senso. Perché prevenire è sempre meglio che curare, e anche più economico se si inizia per tempo. E i comuni potrebbero costruire case.
Iniziativa locale
È a livello municipale la responsabilità di programmare e realizzare quartieri e alloggi pubblici, di cui USHA sostiene il finanziamento e fissa i criteri tecnici: l’opinione pubblica non deve arrivare per forza fino a Washington a chiedere case popolari. Basta che veda oltre lo steccato di casa propria, per così dire. Oggi sono circa 250 i centri urbani – da grosse metropoli come New York, Chicago o San Francisco, a cittadine come Sarasota, Florida o Billings, Montana – che hanno istituito propri enti per la casa. Uffici e amministrazioni che possono operare grazie a leggi approvate in 38 Stati. E nessuna di queste leggi, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, sarebbe mai stata proposta senza la domanda dell’opinione pubblica locale.
Se le esperienze europee ci possono insegnare qualcosa, decentrare l’amministrazione dell’edilizia pubblica è la cosa più saggia. Sono le amministrazioni locali a sapere quali soluzioni sono più adatte al problema. E come hanno scoperto gli inglesi l’amministrazione locale lavora meglio se ha da guadagnarci finanziariamente: contribuisce al programma quando considera quei soldi ben spesi. Varia il tipo di soluzioni che le varie amministrazioni locali scelgono. Decentrare significa concedere certe libertà di scelta e iniziativa. I paesi europei hanno ritenuto meglio fissare criteri minimi di scala nazionale. E quelle esperienze dimostrano che le abitazioni migliori e più durevoli sono quelle semplici. Sembrano all’inizio più costose di quelle un po’ scadenti ma durano certamente di più e non richiedono altrettanta manutenzione. L’America paese per sua natura sempre ingegnoso e innovativo non può che migliorare e adattare i migliori progetti di case europei alle proprie necessità senza far indebitamente impennare i costi.
Contenimento dei costi
È sempre doveroso tener d’occhio quei cost. Se li diminuiamo (senza ovviamente realizzare case scandenti) potremo costruire più alloggi coi soldi disponibili. A Vienna si è realizzato molto in questo senso fabbricandosi da soli i materiali edilizi necessari, e operando su vasta scala. Anche le città inglesi e svedesi hanno operato su grande scala nell’acquisto di materiali. La produzione di massa ha aiutato le cooperative svedesi e alcune amministrazioni cittadine tedesche a tagliare i prezzi. In Inghilterra la cooperazione tra lavoratori e imprese del settore ha eliminato la difficoltà degli scioperi. Ovunque la quantità garantita delle attività di costruzione ha fatto gradualmente calare i prezzi. Se riusciamo a imitare l’Europa su questo versante riusciremo meglio a migliorarne i risultati in altri aspetti.
La casa fa parte dell’urbanistica
Realizzare alloggi non raggiunge il meglio a meno di inserirsi in un programma urbanistico di lungo termine. Alcune città europee si sono cimentate a questa scala con vari gradi di riuscita. Ma tutto conferma la necessità di questa pianificazione. Nel nostro paese abbiamo criteri minimi per le forme della lottizzazione e delle costruzioni. Ma si tratta di standard davvero di poca cosa. Le norme di zoning stabiliscono dove si può edificare, ma sappiamo che non sempre vengono adeguatamente gestite e controllate. Mentre sorgono nuovi quartieri di tuguri senza alcun criterio e le città crescono nel degrado. Se non programmiamo in urbanistica è anche possibile che i nuovi complessi di edilizia pubblica possano sorgere nei posti più sbagliati. Un bellissimo progetto magari in una zona che potrebbe pochi anni dopo essere assai più utile per farci passare una strada o una ferrovia.
Ma prima che le città americane possano fare qualcosa di efficace per riorganizzarsi urbanisticamente e programmare la propria crescita dovranno avere più potere per arginare la speculazione sui terreni e decidere le destinazioni. Se calcoliamo che l’intera popolazione mondiale con una prescritta densità di cento persone (25 famiglie) l’ettaro potrebbe stare tutta dentro il Kansas, iniziamo a cogliere quanto possa essere assurdo il progetto definito modello del Knickerbocker Village a New York City, che prevede una densità di 2.500 abitanti ettaro.
Acquisizione di terreni
Se le città si controllano urbanisticamente e arginano la speculazione, sostengono la realizzazione di case. Ma i terreni restano comunque molto costosi. Occorre trovare immediatamente qualche metodo con cui le città riescano ad acquisire a prezzi ragionevoli superfici per realizzare quartieri pubblici, rinviando eventualmente a più tardi anche un effettivo controllo municipale sui medesimi terreni. In Inghilterra, quando un’amministrazione locale vuole acquisire terreni per farci case, può costituire un comitato di valutazione imparziale e fissarne il prezzo.
Ma comitato di valutazione del valore o meno, e valore dipendente o indipendente da cosa succederà lì in futuro, si tratta di valore per abitare. Quando la superficie è ricoperta da malsani tuguri quelli non vanno inclusi nel prezzo. Molte città continentali sono riuscite ad ottenere terreni ubicati in qualunque posizione a prezzi bassi usando i propri poteri normali e costituendo un patrimonio di superfici per le necessità abitative future. È il tipo di potere che è stato assegnato recentemente alle città dello Stato di New York. E che potrebbero anche chiedere ai propri Stati altre città.
Guardiamo avanti
Dunque, guardando la situazione attuale in America, vediamo come si profila la condizione abitativa a fronte di una potenziale grande espansione. Il governo cerca di stimolare l’iniziativa privata dei costruttori. Ha istituito USHA rivolta a famiglie a cui non può rispondere l’iniziativa privata di mercato. E il programma USHA agisce in forme saggiamente decentrate. Con un forte sostegno pubblico può ottenere dal Congresso i necessari finanziamenti e continuare. Ma prima di iniziare le trasformazioni utili a tutti dobbiamo ridurre drasticamente i costi di costruzione, regolamentare prezzi e destinazioni dei terreni, fare pianificazione urbanistica e fissare regole per la riqualificazione. Un compito immenso. Ma a contrario dell’Europa dove invece di costruire case si fanno i bunker a prova di bomba riversando risorse e uomini nel pozzo senza fondo della guerra, noi potremmo fare altro, fare case.
Anche qui negli Stati Uniti naturalmente la guerra interferisce con la vita economica. Prosperano le industrie belliche, crescono i prezzi. Ma come ha affermato Thurman Arnold, Assistant Attorney General, il settore della casa e quelli dell’edilizia che ci fanno riferimento rappresentano l’unico comparto non-bellico grande a sufficienza per competere con quello degli armamenti, come l’acciaio e altre industrie che hanno tutto da guadagnare dai tempi di guerra. Dovremmo allora, ci dice Arnold, riversare proprio adesso tutto quanto possiamo nella produzione di case, per non sbilanciarci troppo verso una economia di guerra ed evitare un contraccolpo quando la guerra sarà finita. Anzi questa può essere una sfida per l’America, quella di tenere alta la fiaccola che l’Europa ha lasciato cadere, e guardare avanti. Le migliaia di persone che abitano nei tuguri oggi lo sperano ardentemente. E altre migliaia di persone attente in tutto il paese, guardando in modo oggettivo alla questione del tugurio, studiando i probabili effetti di una ripresa dell’edilizia, dovrebbero chiedersi: non sarebbe più che saggio lanciare un grandioso programma di costruzioni?
da: New Homes for Old – Public Housing in Europe and America, The Foreign Policy Association, New York 1940; Estratti e traduzione di Fabrizio Bottini