C’è quel modo di dire, secondo cui «il vuoto in natura non esiste», e che fuor di metafora significa non lasciar mai un posto sguarnito, perché altrimenti verrà occupato da qualche inquilino magari assai poco rispettabile. Una formulazione un po’ diversa, ma a ben vedere identica, del medesimo concetto, potrebbe suonare: quando qualcosa esiste, dovrà pur andare da qualche parte, ed è meglio trovargli in fretta il posto adatto. E ora pensiamo a quel qualcosa che è l’urbanizzazione, un processo planetario, inarrestabile esattamente come inarrestabile è lo sviluppo demografico, sociale, economico alla medesima scala: dove può andare a finire questa urbanizzazione se non in una «città»? Ma dato che la città di per sé non esiste finché non la si costruisce, forse è meglio riempire il vuoto concettuale provando a formulare idee, per questa città dove fatalmente andrà a finire l’urbanizzazione: dove sta, come è fatta, chi la abita e perché. Pare una scelta obbligatoria, detto per inciso, viste le cifre da capogiro dell’umanità sofferente oggi compressa o sparpagliata nelle cosiddette «aree urbane» del pianeta, in crescita sia esponenziale assoluta che percentuale. È quello della qualità urbana, uno dei vuoti che non può rimanere tale neppure per pochi istanti, dato che in un modo o nell’altro verrà subito riempito: vuoi con la tragedia spontanea dello slum, vicolo cieco salvo che per qualche cinico economista, vuoi con qualcosa di meglio, i cui contorni sono ancora tutti da definire.
Fantascienza o realismo?
Quando si parla di «città mondiali» puntualmente il pensiero corre prevalentemente al continente asiatico, a quelle enormi ameboidi formazioni urbane che in un numero spaventosamente ristretto di anni si sono formate e imposte come nuovi nodi economici e culturali. Non sfugge però che la vera frontiera dell’urbanizzazione, e il discrimine fra una qualsivoglia idea di sviluppo e un criminale laissez faire (di cui poi paghiamo anche noi i contraccolpi collaterali), sia la grande conurbazione dei paesi poveri, che a sua volta vede il proprio fronte più avanzato nel continente africano. Molti si spingono addirittura a individuare lì anche le maggiori potenzialità, grazie probabilmente al relativo vantaggio di arrivare per ultimi e poter contare sul bagaglio di esperienze ed errori altrui. Gli scenari per la prossima generazione di sistemi urbani dell’Africa, comprendono innanzitutto un primato di carattere quantitativo, con diverse megalopoli piazzate ai primissimi posti dei ratings mondiali sia in termini demografici, sia in termini economici, sia soprattutto per quanto riguarda la qualità dell’abitare, la sostenibilità, il rapporto virtuoso con l’ambiente. Perché ad esempio se il problema dello sprawl insediativo e del consumo di suolo agricolo a funzioni urbane è grave nei paesi ricchi, figuriamoci in un contesto dove oggi il fenomeno dell’urbanizzazione significa desertificazione di campagne (o magari ancor peggio land grabbing e monocoltura a elevati impatti), e specularmente crescita di mostruosi malsani insediamenti spontanei che sprecano risorse.
La città africana post-moderna interessa noi
Ad avvantaggiarsi di un modello di sviluppo urbano, territoriale, socioeconomico del genere, sarebbero gli africani stessi, adottando semplicemente ciò che i loro rappresentanti alle Nazioni Unite hanno contribuito a elaborare, ovvero l’Agenda per le Città, e attivando tutte le collaborazioni e reti necessarie a metterla in atto, magari anche attraverso una federazione di Stati o una Unione sul modello europeo. Ma c’è ovviamente un altro punto di vista, da considerare, ed è quello del mondo ricco, che grazie al crescere della prosperità e della qualità a scala urbana e regionale dell’Africa si ritroverebbe da un lato a rapportarsi con dei partner diversi e più stimolanti dal punto di vista culturale, economico, scientifico, tecnico, dall’altro vedrebbe crescere flussi assai diversi di quella che oggi consideriamo solo «migrazione problema», e che finirebbe per assomigliare a un libero movimento di persone in una direzione e nell’altra. Fantascienza? No, almeno a sentire le prospettive di osservazione della Brookings Institution nel suo recente rapporto sullo sviluppo continentale.
Riferimenti:
AA.VV. Bolstering urbanization efforts: Africa’s approach to the New Urban Agenda (capitolo del lavoro a più mani e competenze di settore Foresight Africa, Brookings Institution, 2017)