La città ideale del futuro non deve essere quel che sono divenute le moderne metropoli industriali, ovvero regioni urbane dedicate soltanto alla produzione, amministrazione, residenza, galleggianti come isole di vita autonoma in un oceano di aperta campagna, dei cui interessi e scopi i cittadini si curano poco o nulla. Fra gli obiettivi del movimento per la città giardino c’è quello di infrangere questa artificiale separazione degli abitanti in gruppi autonomi di popolazione rurale e urbana. La penetrazione dell’industria nei distretti rurali, così come delineata dalla strategia delle città giardino, farà sì che una adeguata pianificazione urbanistica urbana possa essere di vantaggio sia all’agricoltura che all’industria, che chi lavora nell’industria rientri in contatto col mondo rurale, e il contadino possa godere dei vantaggi dello stile di vita e delle superiori comodità urbane. Nell’ambiente della città giardino contesto e prospettive per i cittadini si allargano: gli interessi urbani non sono più contrapposti a quelli rurali. Si crea un nuovo modello di aggregato umano che non è né città né campagna, ma unisce i caratteri migliori di entrambe.
Uno degli insegnamenti della Grande Guerra è stato che occorre aumentare la disponibilità di alimenti di produzione interna. Non molti appaiono consapevoli di quanto è stata vicina, la Gran Bretagna, a soffrire la fame tra il 1914 e il 1918, a causa della non autosufficienza. La minaccia dei sottomarini tedeschi è stata per il governo causa di enorme ansia nel corso della guerra. Se per il futuro vogliamo aumentare davvero la quantità di produzione alimentare interna, è necessario attirare e mantenere nelle campagne una quota di popolazione assai più ampia di quanto non avvenga oggi, e cambiare in tanti modi l’attuale sistema di produzione alimentare. Il rischio per una nazione dello spopolamento delle zone rurali, e insieme la crescita ingovernabile delle città, è cosa ben nota da molto tempo. Gli uomini di stato se ne preoccupano da sempre, come quando per ben sei volte fra il XVI e il XVII secolo si cercò di arginare la crescita di Parigi.
Anche nel regno dei Tudor e degli Stuart la migrazione della aree rurali inglesi e la rapida crescita urbana inducevano ansietà tra chi aveva uno sguardo lungimirante. E in Germania furono compiuti accorti tentativi di mantenere i contadini sulle terre, proibendo le migrazioni di popolazione: ma ogni legge si rivelò inefficace. Neppure oggi una legge di quel tipo sarebbe auspicabile per risolvere lo spopolamento delle campagne e il sovraffollamento delle città. Si deve invece orientarsi verso strategie in grado di promuovere condizioni che naturalmente e spontaneamente controllino le dinamiche oggi tese ad allontanare gli abitanti dalle campagne spingendoli verso le città, attivando forze contrarie in grado di spingere le industrie a insediarsi e crescere in contesti rurali modernizzati, e al tempo stesso non solo mantenere contadini sulle terre,ma incrementarne il numero.
Interessante notare come, esaminando la situazione dei centri medievali, si capisca quanto fosse tenuto allora in conto e mantenuto, questo equilibrio nel rapporto tra agricoltura e città. Si sceglievano le localizzazioni delle zone urbane ed esse erano progettate con la dovuta attenzione a questo rapporto. Il nucleo centrale spesso costituiva la piazza del mercato, necessaria all’economia della regione agricola circostante. Gran parte dei nostri centri cittadini minori inglesi, servivano gli abitanti delle loro aree in quanto luoghi di scambio della produzione agricola, e per le altre attività commerciali, sociali, funzioni amministrative: luoghi dove ci si incontrava, in specifiche occasioni, arrivando dalle campagne per comprare, vendere, discutere e gestire i propri affari. Le grandi città di oggi sono, con pochissime eccezioni, il prodotto dell’era industriale, risultato della concentrazione di attività manifatturiere chiuse tra pareti di mattoni. Atrocità moderne.
La fatale separazione tra vita cittadina e attività agricola che ne è derivata, la conseguente depressione dell’esistenza delle popolazioni urbane e rurali, è cosa avvenuta principalmente nel corso del XIX secolo, e si tratta di un divorzio dalle estremamente importanti e micidiali conseguenze politiche. Nel 1851 la popolazione di Inghilterra e Galles si suddivide in parti quasi uguali tra città e campagne. Complessivamente abbiamo 9.000.000 di abitanti sparsi fra 580 città e cittadine, e una quantità circa uguale che vive nelle aree rurali. Già allora appaiono del tutto incompatibili gli interessi economici di cittadini e contadini, ma questa distribuzione equilibrata di popolazione non conferisce predominanza di potere né all’uno né all’altro. Con la crescita delle città e il graduale incremento dei loro abitanti rispetto a quelli delle campagne, il potere della popolazione industriale non si avverte immediatamente. Lo controbilancia quello politico della proprietà terriera, col suo prestigio, che consente ad alcuni interessi economici rurali di contrapporsi al crescente peso di quelli industriali e commerciali. Ma alla fine del secolo la crescita urbana è predominante nel paese, diminuisce il potere della proprietà terriera delle campagne, e per motivi complessi senza dubbio gli interessi delle campagne vengono trascurati.
All’ultimo censimento — 1921 — rileviamo come il 79,3% della popolazione di Inghilterra e Galles risieda in zone urbane, e solo il 20,7%, in aree rurali. E se dobbiamo certo notare come questa classificazione in urbano e rurale sia da considerare teorica, non coincidente con la realtà dei fatti, resta che una divisione di abitanti di uno stato in due campi opposti, spesso anche economicamente, rappresenta un grave pericolo. Ciò vale specialmente quando il potere politico passa nel campo industriale, i cui rappresentanti per motivi impliciti alla loro esperienza non possono valutare quanto essenziale sia conservare agricoltura e produzione alimentare, per il benessere della nazione. La segregazione in due gruppi contrapposti non giova neppure alla salute della razza, in quanto le città attirano certo naturalmente i più intraprendenti, gli individui più dotati, dalle zone rurali, offrendo vantaggi superiori per gli è intelligente e dotato di capacità di comando. Citando il rapporto della “Commissione Verney” del 1916:
«Il mantenimento del vigore fisico di una nazione dipende in gran parte da classi che non sono nate né cresciute in campagna, né hanno potuto mai godere dei vantaggi di quella vita. Ed è sicuro che il fisico di quelle quote della nostra popolazione che abitano le vie affollate si consuma rapidamente, e lo farà ancor di più se non saprà trar vigore da altri uomini provenienti dai distretti rurali. La leva militare indica una proporzione assai maggiore di inabili per motivi fisici dalle grandi città, che non dalle campagne. Dunque, se vogliamo una razza forte e sana, dobbiamo sostenere una quota maggiore del nostro popolo ad abitare in campagna. Perché temiamo che la crescente tendenza a trasferirsi verso i grandi centri, non certo limitata al nostro paese, possa essere ulteriormente stimolata dallo sviluppo di nuovi elementi di attrazione, mezzi di trasporto, e si possa contrastare soltanto attraverso un rilancio dell’agricoltura, insieme ad un miglioramento delle attuali condizioni di vita rurali».
L’attuale sistema delle città quindi è considerato di pessima influenza sulla salute, elemento costante di selezione e poi di distruzione dei migliori esponenti della razza. Prima di chiudere con gli aspetti prettamente agricoli della fascia rurale, qualche cenno sulla qualità dell’uso delle terre. In generale si può dire che il tipo di agricoltura dovrebbe essere orientato alla città. Se i suoli sono adatti, molta della superficie andrà dedicata alla produzione di latte. Verdura e frutta troveranno un ottimo e ricco mercato di sbocco, e la presenza di tanta popolazione stimolerà tutte le colture intensive. I bassi costi dei trasporti verso i consumatori rappresentano un vantaggio rispetto a prodotti di importazione. Polli, maiali, anatre, il cui allevamento richiede notevole manodopera, rappresenteranno una sana forma di occupazione a tempo parziale per parecchi abitanti della città, se vogliono impegnarsi, con prospettive di guadagno anche se questo impegno non è meticolosamente programmato. Qualunque il tipo di produzione alimentare più adatta alla città, il migliore utilizzo delle superfici sarà comunque determinato dalla qualità dei suoli e dall’essere adeguati per un’attività o l’altra.
Passiamo però adesso a un altro aspetto, che per certi versi è altrettanto importante, come funzione della fascia rurale attorno alla città giardino. Questa fascia è necessaria a proteggere dall’espansione e dai peggiori effetti di una crescita non governata, di un’edificazione eccessiva nelle immediate periferie. Uno degli aspetti essenziali nella città giardino è la proprietà indivisa dell’intera area da parte di chi ne controlla i destini. In questo tipo di proprietà sta la capacità di poter pianificare adeguatamente e programmare il successo economico. Nel progetto urbanistico si deve riservare tutto attorno una fascia protetta, di proprietà collettiva, su cui non si costruirà. Sarà a funzione agricola, dedicata alle necessità urbane così come abbiamo esposto nella prima parte del capitolo. Il fatto che non ci si costruisca sopra, se questa fascia viene adeguatamente definita ed è di profondità sufficiente, previene anche l’edificazione della fascia ancora più esterna, quella che non è di proprietà dell’amministrazione cittadina. Quindi l’esistenza di una zona rurale attorno alla città di proprietà comune di fatto significa un’area assai più ampia, che si estende sino alla zona urbana più vicina. Dal punto di vista economico e sociale, fascia agricola viene così a significare tutta la zona di campagna che interessa il raggio di influenza di una città, o che con essa entra in relazione.
Questa funzione protettiva è in sostanza quella che ne determina poi effettivamente l’area, la posizione, la profondità. Sarà più ampia dove esiste più necessità di tutela, può essere più stretta o addirittura assente se esistono ostacoli naturali alle trasformazioni, un corso d’acqua, un acquitrino, una montagna, una brughiera. Lungo le strade principali, canali, vie di accesso, occorre tutelare una certa profondità, vale a dire allargare la fascia, dato che proprio su queste direttrici di trasporto e facilità di accesso si potrebbe concentrare la domanda di trasformazioni. In generale, la larghezza della fascia in qualsiasi punto deve essere tale da prevenire l’edificazione oltre i terreni di proprietà pubblica, che se avvenisse minerebbe l’unitarietà dell’insieme. Se si realizzano al meglio le condizioni, questa unitarietà deve essere assoluta.
La superficie complessiva dei terreni di proprietà dell’amministrazione da conservare inedificati dipende poi dalle dimensioni e prospettive di sviluppo della città, e può essere influenzata in qualche misura da considerazioni economiche. Non deve essere troppa rispetto all’area edificata per non assorbire troppe risorse. La resa delle superfici rurali molto probabilmente non copre gli interessi sul capitale nella misura in cui è necessario per l’impresa. Dunque è consigliabile una fascia di dimensioni non superiori a quanto è davvero necessario a tutelare la città e i caratteri rurali del suo hinterland. E certo ripetiamo: questa fascia rurale non è qualcosa da stabilire definitivamente e irrevocabilmente.
Ce ne deve essere sempre una, ma non deve essere fissa. La città cresce, e sempre senza superare il massimo fissato, sarà possibile anche edificare sopra la fascia originaria, se la città si è assicurata il possesso di altri terreni che si trovano oltre, per mantenere l’assetto. Questo del mantenere una fascia permanente a tutela della città è uno dei principali e delicati compiti dell’amministrazione. Impossibile. Oggi, prevedere quale sarà la popolazione della città ideale negli anni a venire. Ciò dipende dalla quantità di popolazione in grado di mantenere efficientemente il sistema urbano e una vivace vita sociale.
Ma, pensando alla possibilità di allargare questa area nel caso di alcune città giardino in futuro, per rispondere a mutate condizioni, sarà necessario che l’urbanista fissi i limiti della città, e operando entro questi limiti rifletta con sufficiente elasticità sul futuro e la possibile espansione. Si deve ricordare sempre come più la città si estende rispetto al proprio centro, maggiore sarà l’area disponibile per trasformazioni entro un corrispondente raggio. Ecco in che modo, quindi, la fascia rurale è uno dei caratteri più importanti della città giardino. Così essenziale nel concetto generale, da essere considerata un assioma: senza di essa la città giardino di domani non sarà mai così radicalmente diversa, economicamente e socialmente, dalle città di ieri.
Da: AA.VV. (a cura di C.B. Purdom), Town Theory and Practice, Benn Brothers Editors, Londra 1921 – Titolo originale: The town and agriculture: surrounded by a permanent belt of rural land – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
Immagine di copertina: Charles Lathrop Pack, Victory gardens feed the hungry, Washington D.C., National War garden Commission, 1919