Incontro Gabriel Metcalf, l’urbanista incaricato di progettare la nuova città californiana finanziata dai miliardari delle nuove tecnologie, davanti a un piatto di aglio ed erbe aromatiche al Burning Man. Il New York Times ha appena risolto il mistero di chi stesse accaparrando segretamente 20.000 ettari di terreni agricoli nella contea di Solano, ottanta chilometri a nord est di San Francisco. Gli acquirenti, si è scoperto, sono tra i più ricchi investitori della Silicon Valley, impegnatissimi in un ambizioso progetto da «Sognando la California»: una città pedonalizzata, a bassissimo impatto climatico, con energie sostenibili e case economiche. Sono molti a sospettare di questi miliardari che rovesciano tanti soldi con l’idea di potersi comprare tutto. E certo il modo in cui California Forever, la sigla misteriosa con cui si presentavano, ha ammassato in silenzio terreni per una cifra di un miliardo di dollari senza dir nulla ad abitanti e amministratori locali, non ha certo contribuito a migliorare l’idea. Nei mesi che sono seguiti all’annuncio del progetto, la politica e le associazioni ambientaliste hanno sollevato parecchie serie questioni sulla possibilità di convertire quelle campagne in una brulicante città.
Ho cercato di capirne di più dell’idea di Metcalf, di cosa potrebbe diventare una nuova città cresciuta dal nulla nel deserto del Nevada, se potesse avere qualche senso nel mondo attuale. Metcalf appare come una specie di urbanista nerd più pragmatico di quelli imprenditoriali della Silicon Valley, a sembra consapevole dello scetticismo che lo circonda. «Non è mai stato tentato prima, almeno non così e su queste dimensioni. Abbiamo tante cose da spiegare per coinvolgere le persone e fargli cogliere la visione» inizia davanti a un caffè nel quartiere Dogpatch di San Francisco. «Quella che proponiamo non è un’utopia. Solo una città. E non sostengo che possa risolvere ogni problema. Però si tratta di sicuro di uno strumento e può davvero servire». La California ha un enorme problema con le abitazioni, e Metcalf, sperimentato e rispettato urbanista, è convinto che lo si possa affrontare solo con azioni radicali.
Ha passato quindici anni a fare l’animatore di Spur, centro studi di politiche urbane a San Francisco, che sosteneva le case pubbliche, i trasporti pubblici, il salario minimo, come strumenti per risolvere la questione delle abitazioni. Mentre in città imperava il sistema burocratico di decisione con i suoi vincoli e intrichi ed elevatissimi costi di costruzione, oneri, coi soli ricchi e ricchissimi costruttori in grado di digerirlo. E c’erano anche gli impegnatissimi comitati di cittadini ad opporsi a qualunque nuova trasformazione già dal principio delle discussioni, minacciando finanziamenti statali e autonomia locale. Problemi comuni a tutta la California.
Oggi nella città c’è il 30% della popolazione nazionale senza casa e contemporaneamente si classifica come uno dei posti più impossibili per il costo della vita. L’ultima approfondita ricerca sugli homeless la più organica da trent’anni rileva come l’unica soluzione alla crisi sarebbero più abitazioni economiche. Nella testa di Metcalf ha cominciato così a prendere piede un’idea: ma perché invece di provare a cambiare un pezzettino per volta una città esistente non proviamo a costruirne una del tutto nuova? «La California ha distrutto pur involontariamente i propri ideali fondativi lasciando tutto il potere ai proprietari immobiliari di fermare la trasformazione urbana nei quartieri. Dobbiamo assolutamente operare perché diventi possibile ripartire con questi interventi nella città esistente … Ma certamente ad allentare un po’ la tensione potrebbero aiutare nuovi spazi magari anche orientati alla mobilità sostenibile».
«Persone invece delle automobili»
Metcalf lo ribadisce, il concetto di walkable urbanism. Sostiene che non sia vitale semplicemente l’idea di fare nuove case, ma anche quella di creare quartieri che mettano al primo posto la strada e lo spazio pubblico, per lo spostamento e le relazioni condivisi, togliendola al ruolo di infrastruttura dedicata ai veicoli privati. «Parlando di città della California, il problema principale è che non ci siano case a sufficienza in posti dove ci si sposta a piedi potendo andare anche al lavoro. Un criterio per definire la pedonalità è l’umile idea di poter uscire a fare la spesa nelle vie del vicinato». E sarebbe un colpo vincente in una regione dove è normale la cultura dell’automobile e non funziona gran che il trasporto pubblico. Ma Metcalf aggiunge che questa «scarsità di spazi per il pedone» ne accresce la domanda, rendendoli così costosi da aggravare ulteriormente il problema delle abitazioni e degli homeless, delle diseguaglianze di reddito, delle persone spinte lontano ed espulse dalla California.
Metcalf negli anni ’90 ha anche organizzato un sistema di car-sharing senza scopo di lucro e conosce bene il problema della dipendenza dall’auto. Il suo ideale di mobilità urbana è una mescolanza di mezzi pubblici, auto in condivisione, biciclette e monopattini, molto più accessibili alla gente. «La progettazione urbana a orientamento automobilistico è così pervasiva in America oggi che nessuno o quasi se ne accorge, finché non capita di andare in un altro paese e si riscopre la gioia di luoghi pensati per le persone e non per le auto». Secondo Metcalf negli USA ci deve essere una ripresa del dibattito urbanistico e delle sperimentazioni, dalle città nuove di iniziativa pubblica, a quelle di tipo cooperativo, e anche a quelle di mercato come nel caso di California Forever.
Esisterebbe anche una lunga tradizione in quel senso, che negli USA è andata perduta. «Prendiamo ispirazione dai quartieri del XIX secolo che ancora esistono nelle città americane e nel resto del mondo. Dove ci sono poche automobili e via via col tempo le persone hanno costruito un modello di vita adeguandosi al cambiamento sociale tecnologico e politico. Fino agli anni ’20 del secolo scorso è durata una tradizione abbastanza continua che risale a tempi remoti, spiega Metcalf. Ma poi l’adozione in massa delle auto dopo la depressione economica e la seconda guerra mondiale ha cancellato quell’idea di città. Con la ricostruzione partita negli anni ’40 tutto ruotava attorno al decentramento per suburbi automobilistici, centri commerciali, complessi per uffici lungo l’autostrada: «E non ci siamo mai ripresi da quell’enorme errore».
La ricerca del consenso
California Forever l’anno scorso ha aperto il proprio sito web proponendo l’immagine di una città in stile mediterraneo, rendering realizzati dall’Intelligenza Artificiale con vie invase dai pedoni, trasporto pubblico e bambini in bicicletta, e lo slogan «Sogniamo di nuovo la California». Ma prima di aprire i cantieri California Forever deve anche trovare il consenso degli elettori. Questa settimana viene presentato il referendum locale in cui si chiede di sostenere il progetto nel 2024. E vengono anche pubblicati i progetti completi. La nuova città si estende su circa 7.500 ettari di cui il 20% a verde naturale. Vuole essere «Una delle più sostenibili città del mondo».
Si prevede di realizzare decine di migliaia di alloggi, in case palazzine appartamenti anche rivolte a bassi redditi, fino ad arrivare a 400.000 abitanti. Si promette di creare localmente almeno 15.000 posti di lavoro prima che la popolazione raggiunga le 50.000 unità. E Metcalf immagina che possano coprire di tutto dalle costruzioni alle energie rinnovabili alle tecnologia avanzate nell’agricoltura fino alle imprese militari non lontane connesse alla base aerea di Travis. Per gli abitanti attuali della contea di Solano c’è un versamento di 400 milioni di dollari, più un investimento di altro 200 milioni nella riqualificazione dei centri esistenti. Ma per progettare una città ci vuole qualcosa di più dei rendering accattivanti, e anche se il piano non sarà affossato da qualche opposizione è ancora parecchia la strada da fare, per esempio ad assicurare che quelle case siano davvero economiche, come attirare abitanti e imprese là dove oggi non c’è assolutamente nulla, nessuna storia, nessuna identità o cultura, e poi come convincere tutti a lasciar l’automobile fuori da lì.
Ci sarà bisogno di un approvvigionamento d’acqua, di una rete di strutture in grado di sostenere sviluppo urbano senza timore di emergenze future, dalla siccità agli incendi alle alluvioni. Le rassicurazioni di tipo finanziario si rivolgono ai timori degli abitanti attuali: la città si pagherà da sola senza pesare sulla fiscalità del resto della contea. Ma lo studio sulle risorse idriche non è ancora completato e anche quello sugli equilibri climatici, Metcalf sta lavorando sulle strategie spaziali di raffreddamento, dalla riduzione al minimo delle superfici impermeabilizzate per assorbire il calore, alle coperture chiare dei tetti per riflettere la luce solare, all’abbondante copertura arborea «su vie meno larghe che assicurano l’ombra, c’è un vero programma per gli alberi la scelta delle specie adatte al suolo al clima attuale e a quello prevedibile futuro».
Ci avviciniamo alla fine del nostro caffè, e chiedo a Metcalf come crede di cambiare la nostra società. In fondo ci ha scritto anche un libro, Democratic By Design, su come l’azione dei progressisti sul territorio possa cambiare le cose con la cooperazione, la proprietà indivisa dei terreni, e altre forme alternative. Gli si accende lo sguardo: «Credo che le città siano una delle più grandi invenzioni dell’uomo. Consentono di contenere al minimo l’impronta ecologica e garantiscono un’esistenza condivisa a tante persone diverse insieme e senza particolari contrasti. Le città stimolano l’innovazione economica e preparano il terreno per farla crescere. Fornire l’occasione perché più gente possa abitare in città è uno strumento di progresso sociale, ecologico, economico».
da The Guardian, 23 gennaio 2024; Titolo originale: ‘This hasn’t been done before’: can tech elites build their own city – and win over the skeptics? Traduzione di Fabrizio Bottini
Sull’iniziativa originaria dei «misteriosi finanziatori» di California Forever si veda anche F. Bottini, L’Utopia del Mattone di Silicone, Today settembre 2023