La aggregazione al vecchio territorio del Comune di Milano degli undici Comuni che rinserravano ormai alla periferia la città fabbricata – aggregazione attuata col decreto 2 settembre 1923, che portò da kmq 76 a kmq 185 l’area del nuovo Comune e da 750.000 ad 850.000 gli abitanti – impose una complessa serie di nuovi problemi all’Amministrazione cittadina e fra i primi quello della estensione del Piano regolatore urbano alle zone annesse e del suo allacciamento al Piano regolatore vigente, con quegli eventuali ritocchi di quest’ultimo che la necessaria saldatura fra i due piani e le nuove situazioni emerse dopo la pubblicazione del Piano regolatore del 1912 rendono consigliabili. Il momento per porre mano ad un poderoso studio di questa natura non potrebbe essere più interessante. La nostra città si trova ad affrontare un problema vitale per il suo sviluppo avvenire in un momento nel quale si delineano e prendono forma sempre più concreta direttive precise e nuove in materia urbanistica delle quali può far tesoro per il proprio caso.
Che cosa è – dice un interessante articolo apparso sul Mouvement Communal – che cosa è un «plan d’agglomeration»? È un disegno, una pianta geografica, una levata topografica. Ma è altresì la constatazione di uno stato di cose, e inoltre, quando lo si vuole, l’espressione figurata dei mezzi per migliorare questo stato di cose. Da quando l’umanità primitiva si fissa sul suolo, essa lo delimita e lo adatta ai suoi bisogni. Delimitare, vuol dire creare una zona di protezione, di isolamento, accomodare la località ai bisogni della comunità: questo è il «town planning» nella sua forma embrionale di partenza. Alla quale fa riscontro il problema terminale odierno: quello di dotare una città a rapido, incessante sviluppo di un piano regolatore che risponda a tutte le più moderne esigenze di cui è facile intuire la complessità, se si pensa ai servizi, che colla espansione si devono ampliare, alla viabilità sempre più congestionata, alle necessità igieniche più degne di rilievo quanto più poderoso è l’agglomerato urbano, all’estetica che non può essere trascurata, ed al paesaggio infine al quale è doveroso lasciare le sue caratteristiche.
Sotto due aspetti ed in due tempi può quindi raffigurarsi il processo di studio di un piano regolatore: da un lato la fissazione di direttive e di indirizzi generali, prodotto dello studio, del raffronto, della critica spesso di quanto si è fatto in altri tempi o in altri luoghi, dall’altro una esatta conoscenza dell’organismo urbano, al quale queste direttive devono nel caso specifico applicarsi, delle sue linee strutturali, delle caratteristiche locali, tenuto ben conto che nel passare dalle concezioni generali alle esecuzioni particolari ogni determinata soluzione di piano regolatore costituisce non solo un problema tecnico, sociale o finanziario di viabilità, di estetica o di igiene, ma rappresenta anche un enorme spostamento di interessi generali e privati. L’Amministrazione comunale cittadina ha appunto voluto far precedere a qualsiasi soluzione di carattere particolare un ampio esame generale dell’argomento per fissare esatte direttive programmatiche e per procurarsi la più precisa conoscenza delle situazioni reali di fatto del territorio – della «geografia urbana» – per usare una efficace dizione corrente. Dell’indirizzo e del risultato di queste ricerche ci proponiamo di dare notizia con queste note.
Sviluppo monocentrico o sviluppo policentrico?
Il problema tecnico attuale per la città di Milano è, come si disse, quello di estendere le maglie del nuovo piano di espansione al di là dei limiti del piano esistente del 1912 il quale complessivamente interessa una zona di circa 57 chilometri quadrati. Entro questi limiti sta la città edificata o in costruzione colla sua caratteristica forma ormai consacrata nei secoli e tipicamente dimostrativa del suo sviluppo monocentrico passato gradatamente da un originario nucleo quadrato dell’epoca romana, alla cerchia della Fossa interna dei Navigli all’epoca dei Comuni, a quella delle mura spagnuole del XVI secolo, all’anello dei Viali di circonvallazione del piano regolatore del 1889, ed ai limiti infine del piano 1912, successivamente ampliato in qualche breve tratto marginale colle propaggini verso Turro a nord-est nel 1920 e verso nord-ovest nel 1924.
Nelle successive tappe del suo sviluppo la città ha sempre conservato la sua tipica forma originale, ampliandosi anularmente attorno al suo centro, che inizialmente può essere indicato nella piazza del Duomo ed ora accenna a spostarsi verso nord-ovest. Il sistema delle sue grandi maglie di viabilità si imposta su tre anelli stradali concentrici – quello dei Navigli, del diametro medio di circa due chilometri, quello dei Bastion, del diametro di circa tre chilometri, e quello dei grandi viali alberati marginali al Piano regolatore del 1889 (Marche, Brianza, Abruzzi, dei Mille, Piceno, Umbria, Isonzo, Toscana, Tibaldi, Liguria, Egisto Bezzi, Piazzale San Siro, Monte Ceneri) del diametro di circa cinque chilometri e mezzo – e sulle radiali che partendo dalla piazza del Duomo nella direzione delle vecchie Porte proseguono di qui secondo il tracciato di massima delle strade provinciali che portano al Contado.
Il primo problema che si pone per lo studio dell’estensione del Piano regolatore oltre i limiti del 1912 è quello del modo stesso dell’estensione. Per il passato Milano, come tutte le città che per sorgere in pianura senza accidenti naturali non incontravano particolari ostacoli al loro sviluppo, seguì un processo di accrescimento che si potrebbe definire «a macchia d’olio» e cioè uniforme, isotropo, senza soluzioni di continuità in ogni direzione. A quali risultati abbia portato, in città che oggi raggiungono parecchi milioni di abitanti, questo modo di accrescimento, lo provano i mostruosi aggregati senza caratteristiche e senza varietà che si sono venuti formando, con un peggioramento sempre più notevole nei riguardi della igiene e della viabilità del centro cittadino, soffocato entro i successivi e serrati anelli di sviluppo della periferia.
A questa legge «monocentrica» di sviluppo si tende oggi a sostituire quella «policentrica», nel senso di limitare volutamente lo sviluppo dell’agglomerato principale cittadino per dar vita a città o villeggi «satelliti» opportunamente distribuiti alla periferia, cinti da spazi liberi e convenientemente collegati da poche buone arterie fra loro e col centro principale. Senza arrivare per ora al concetto – che pure va facendosi strada all’estero – di addivenire alla creazione di veri e propri «piani regolatori regionali», pare senz’altro che sia assai utile tentare una applicazione delle nuove direttive, nei limiti del possibile, al territorio comunale, facendo di ognuno dei più notevoli raggruppamenti abitati dei Comuni aggregati il nucleo di un «sobborgo satellite». A ciò induce oltre che un indirizzo teorico di studi anche una reale situazione di fatto. Da un rilievo demografico appare immediatamente come rispetto al centro fabbricato della vecchia città compatto e regolarmente sviluppato in ogni direzione, enormemente irregolare sia invece per importanza e per posizione la distribuzione dei nuclei abitati del territorio aggregato. Prevalente lo sviluppo suburbano ed ormai a contatto coll’aggregato urbano nel quartiere settentrionale (Crescenzago, Gorla, Precotto, Greco, Niguarda, Affori, Musocco), più scarso e lontano a ponente (Baggio), quasi nulla a mezzodì e in parte di quello di levante.
Sarebbe contrario alla naturale situazione di fatto il tracciare un piano di espansione che a somiglianza dei precedenti si estendesse in modo uniforme in ogni direzione. Più opportunamente e con sicura economia, può concentrarsi intorno ai più importanti nuclei suburbani lo sviluppo delle reti stradali, dei servizi pubblici, e intensificarsi la fabbricazione, in luogo di disperdere i mezzi privati e pubblici sopra una troppo vasta maglia di sviluppo periferico cittadino probabilmente destinata a restare di fatto una sterile esercitazione cartografica. Una soluzione di questo genere ha anche un attraente lato morale, perché permette di conservare meglio il ricordo e le caratteristiche dei vecchi villaggi suburbani – tuttora memori della loro passata autonomia – invece di affogarli in un uniforme assorbimento nelle maglie della grande città. Non è difficile prevedere che a questo primo tentativo di decentramento periferico dovrà presto seguire una più completa attuazione del piano di ampliamento, al di là dai limiti attuali del territorio comunale, che tenga in giusta considerazione gli altri, ormai importanti, centri che si sviluppano entro la zona di influenza della città, quali Sesto San Giovanni, Monza, Cusano-Milanino, Rho, Corsico, ecc., pei quali, anche indipendentemente dalla materiale aggregazione amministrativa, non è concepibile un ulteriore sviluppo non disciplinato e coordinato con quello della città di Milano.
Le vie future di comunicazione
Lo sviluppo cittadino per «nuclei periferici» invece che per espansione monocentrica rende di particolare interesse ed importanza il problema del collegamento di questi nuclei periferici fra di loro e col nucleo principale cittadino. Si tratta in sostanza di sostituire nel nel nuovo piano di espansione allo scacchiere di strade radiali e periferiche dei vecchi piani una rete assai più ridotta di grandi linee di comunicazione la cui scelta però deve essere tanto più oculata in quanto, riducendosi di numero, le grandi arterie acquistano perciò solo di importanza, ed un errore di tracciamento od una deficienza di sezione non può essere compensata dalla eventuale esuberanza di una prossima strada sussidiaria. Per quanto si riferisce alle comunicazioni radiali si può fare scarso assegnamento sulle vecchie «strade provinciali» anguste e già vincolate dalla fabbricazione che si è lasciata sorgere troppo prossima ai loro cigli.
È quindi da studiare il sistema delle vie di allacciamento fra la città ed il contado sussidiarie delle vecchie provinciali e predisposte fin d’ora in modo da permettere il più pronto e comodo accesso alla città anche ai nuovi mezzi più rapidi di comunicazione colla Provincia (ferrovie locali, tramvie, linee automobilistiche, ecc.), dei quali è sicuro l’avvenire. Si può verificare la situazione delle vie di comunicazione per ferrovie, canali, strade ordinarie ed autostrade, quale risulterà allorché sarà compiuta la sistemazione ferroviaria, e sarà eseguito il Porto coi suoi allacciamenti al Naviglio Grande ed alle linee navigabili dei laghi Maggiore e di Como. La esatta conoscenza di questa complessa rete di mezzi di trasporto è elemento indispensabile per il tracciamento del futuro piano perché queste opere costituiscono altrettanti capisaldi nella configurazione cittadina o come sorgenti di traffico, o come direttrici di movimento o punti obbligati nello sviluppo.
Per quanto concerne le vie ordinarie si è già detto quale assegnamento possa farsi sulle vecchie «provinciali», e quali più ampi provvedimenti si impongano. Interessante benché solo ai suoi inizi di soluzione è il problema delle «Autostrade». Per ora è in esercizio il solo tronco che, dipartendosi a nord-ovest della città, porta alle zone di Saronno e Gallarate ed ai Laghi di Varese, di Como, e maggiore. È facile intuire quale nuova sorgente di traffico rappresenterà in un prossimo avvenire questa importante linea di comunicazioni automobilistiche. L’Amministrazione comunale ha appunto perciò assentato fin dallo scorso anno – con anticipo su ogni altro studio di piano regolatore della zona aggregata – il piano di ampliamento del quartiere di nord-ovest per dare facile accesso in città alle correnti di traffico che l’autostrada porta ai suoi margini e per permetterne il più pronto smistamento a seconda della sua natura sia verso le zone industriali della periferia, sia verso il quartiere degli sports dell’ovest, sia verso il centro.
Ma è prevedibile che questo primo esperimento – o nella sua forma originale attuale, o eventualmente in altre forme rivedute sempre però tutte ispirate al concetto di costruire strade «speciali» per lo speciale traffico automobilistico – sarà a breve scadenza seguito da altri. Ad ovest, verso Torino, ad est, verso Bergamo e Venezia, a sud-ovest, verso Genova, a sud-est, verso Piacenza e Bologna. Milano si troverà presto ad avere delle importantissime arterie di traffico automobilistico che chiederanno di poter facilmente penetrare in città, o di smistarsi con congiungenti periferiche verso i vari quartieri, o di collegarsi fra loro. Il nuovo piano di ampliamento deve fin d’ora preoccuparsi di rendere facile nella zona suburbana la soluzione di questi complessi problemi di viabilità e di traffico, anche perché da una buona soluzione periferica saranno indubbiamente favorite le condizioni del centro non sempre suscettibile di troppo radicali riforme.
Per le comunicazioni ferroviarie esiste un piano ben preciso ormai in corso di attuazione. Milano avrà fra pochi anni tre stazioni di testa, per viaggiatori, l’una, la principale, a nord-est (Piazza Andrea Doria) l’altra sussidiaria a sud-ovest (Porta Genova), entrambe dello Stato, lontane ciascuna due chilometri dal centro cittadino, e la terza a nord-ovest per il traffico locale (Ferrovia Nord) lontana un chilometro da Piazza del Duomo. La città avrà inoltre cinque stazioni merci, l’una a nord-ovest (via Farini), l’altra a sud-ovest (S. Cristoforo), la terza a sud (Porta Romana), la quarta (Lambrate) e la quinta (Porta Vittoria) a est, quest’ultima destinata particolarmente per la sua vicinanza al Mercato frutta e verdura, ed al Macello, ai rifornimenti annonari. Avrà infine una grande stazione di smistamento, al confine est del territorio comunale (Ortica) e delle stazioni sussidiarie a sud-est (Rogoredo) e nella zona settentrionale a Greco e Musocco. Se si fa astrazione dalel linee per Saronno ed Erba della rete locale della Ferrovia Nord, che fanno capo alla stazione di testa presso il Castello ed hanno entro il territorio del Comune delle stazioni di transito a Bovisa, Affori e Bruzzano, i rimanenti impianti tutti delle Ferrovie dello Stato, saranno collegati da un anello che percorrerà quasi i tre quarti del perimetro cittadino, con una distanza media dal centro di circa cinque chilometri, a nord, quattro ad est, due e mezzo a sud.
Questo anello pur costituendo uno sbarramento non trascurabile allo sviluppo cittadino porterà però un notevolissimo miglioramento rispetto alla situazione presente liberando la città dalle linee e dagli impianti ferroviari attuali che la recingono da ogni lato ad una distanza non superiore ai due chilometri dal centro, ed in gran parte passanti a raso suolo, mentre il futuro anello tutto in rilevato consentirà larghe brecce in corrispondenza delle principali arterie radiali cittadine. Particolare interesse ha il trasporto degli impianti ferroviari per l’intero quadrante occidentale della città, che, tagliato fin d’ora dalla linea di cintura e dalla vecchia stazione di smistamento di P. Sempione, è destinato a prendere il maggiore sviluppo diventando completamente libero da ogni intoppo ferroviario. Nel resto della città le brecce aperte nella cintura e le stazioni disseminate lungo il percorso delle linee costituiscono punti singolari nello sviluppo della città futura come nodi e centri di irradiazione del traffico, e come tali quindi altrettanti capisaldi nello studio del piano di ampliamento.
Per quanto si riferisce agli impianti portuali, il Piano regolatore vigente arriva fino ai limiti del progettato Porto di Rogoredo, ma non tiene conto né del suo congiungimento con una linea d’acqua al sud della città al Naviglio Grande a San Cristoforo, né del Porto industriale che distaccandosi dal Porto commerciale contorna a sud-est la città, creando la spina dorsale di un quartiere industriale già in via di formazione, né dell’eventuale congiungimento ai laghi Maggiore e di Como. Il futuro piano di ampliamento deve evidentemente prevedere in tempo utile il tracciato di queste eventuali future vie d’acqua che scorreranno ai limiti di mezzodì, di levante e di settentrione del territorio comunale e deve con un tempestivo provvedimento di Piano regolatore, assicurarsene la possibilità di esecuzione in qualsiasi tempo futuro. Il percorso passa per alcuni punti ormai obbligati dfalle condizioni locali di fatto.
Zone libere e caratteristiche ambientali
Il concetto della espansione cittadina, per nuclei perimetrali e per villaggi «satelliti» – nel quale si intravede la soluzione definitiva del problema e quasi la cura dell’elefantiasi urbana e la fusione della città colla campagna e cioè dei benefici dell’una con quelli dell’altra – può essere effettivamente realizzato solo a patto di conseguire la reale separazione degli aggregati abitati con zone libere rurali, permanentemente destinate a questo scopo. Altro argomento di studio è quello della giusta e conveniente distribuzione delle zone libere ed a verde, che dovranno incunearsi fra gli aggregati fabbricati, delle quali non è tanto vero che Milano oggi manchi relativamente all’area fabbricata, quanto sarebbe vero che ne mancherebbe se la zona di ampliamento del Piano regolatore del 1912 dovesse espandersi al di là di quei limiti senza la preoccupazione di creare opportune soluzioni di continuità.
La «politica delle zone libere» è oggetto di grandi preoccupazioni per tutte le maggiori città non solo allo scopo di formare dei veri e propri parchi e giardini suburbani, ma anche e unicamente per quello di intrammezzare gli aggregati fabbricati con grandi estensioni semplicemente vincolati ad usi agricoli o sportivi. Già un primo notevole tentativo in questo senso venne fatto nello studio di una porzione del piano di ampliamento cittadino, quello della zona di nord-ovest che particolari ragioni consigliarono di far elaborare in precedenza e che fu appunto approvato dal Consiglio Comunale l’8 luglio 1924. In esso tutta la zona costituita dall’Ippodromo di San Siro e dalle sue adiacenze e dai margini dell’Olona che scorre immediatamente a Nord dell’Ippodromo, costituisce un unico complesso di spazi a verde, contornato da quartieri a villini, orientato in senso radiale rispetto alla città, e quindi non di eccessivo intralcio o sbarramento al suo sviluppo. Questi spazi verdi separeranno in modo definitivo l’aggregato di Trenno da quello di Baggio, qualunque ne sia il loro futuro sviluppo.
L’esempio potrà essere seguito in altri settori della periferia, per assicurare la conservazione di lembi di campagna penetranti verso l’aggregato urbano. Se si considera che il nuovo Parco dell’Olona e l’Ippodromo distano dal centro cittadino tre chilometri e mezzo, mentre, per citare un esempio ben noto, il Bois di Boulogne o quello di Vincennes ne distano sei dal centro di Parigi, pare già notevole il maggiore vantaggio che ne può ricavare la città di Milano. La necessità di zone agricole libere nel suburbio va messa in relazione anche con altri problemi che l’ampliarsi della città fa sorgere. Cito ad esempio quello della estensione della rete di fognatura, per la quale si prevede che possano adottarsi in determinate zone del territorio aggregato reti indipendenti di raccolta con recapito di depurazione ad usi agricoli su determinate zone di terreno coltivato a ciò preventivamente vincolate.
La cura della riserva di un vasto dominio verde ai lembi della città, si estende a maggior ragione alla tutela di quel patrimonio di parchi, ville, giardini che ancora rimangono nelle zone suburbane. Una giusta preoccupazione conservatrice delle caratteristiche ambientali e di paesaggio e dei monumenti e cimeli storici ed archeologici del territorio ancora intatto dalla espansione cittadina, anima l’Amministrazione, la quale intende studiare caso per caso la migliore soluzione per impedirne la inutile distruzione od il deturpamento, come purtroppo avvenne nei decenni scorsi nelle prime rapide crisi di sviluppo della nostra città. Un piano di ampliamento a nuclei abitati, intrammezzati dal spazi liberi, per la sua scioltezza ed adattabilità al territorio si presta meglio a questo scopo di quanto non lo possa un poderoso e meccanico piano regolatore del vecchio tipo.
Uno studio preparatorio di indagine e di avanscoperta delle note ambientali ed artistiche venne fatto per invito dell’Amministrazione comunale dalla Società Storica Lombarda in unione colle principali Associazioni culturali ed artistiche cittadine per stabilire non solo quali edifici meritassero per ragioni di arte e di storia di essere rispettati e valorizzati nel nuovo piano regolatore, ma anche per mettere in evidenza talune caratteristiche ambientali e di paesaggio che forniranno elemento di varietà alla nuova configurazione cittadina. Che cosa ha rivelato questa indagine che l’amoroso studio di ricercatori non ha saputo limitare al solo territorio aggregato, ma ha voluto spingere anche in talune parti della vecchia città? La campagna milanese si presenta con due aspetti caratteristici: quello della zona a settentrione, a irrigazione limitata, coltivata a gelsi, ortaglie, campi, di più modesto interesse paesistico e quello della zona a levante, a mezzodì ed a ponente, eminentemente irrigua a filari di alberi, salici, ontani, pioppi limitanti i prati e le marcite attraente per la sua varietà di aspetti.
L’acqua è l’elemento che dà vita ed impronta di bellezza al paesaggio che circonda per tre quarti la città coi fossati e le rogge « … soavemente intersecantesi e fluenti, sì che appena si può intendere donde provengano e dove sien dirette, tanto scorrono insieme e si dividono e di nuovo tornano l’una verso l’altra e per molti giri rifluiscono in un medesimo alveo con gioconde curve … » come descriveva il Petrarca l’ameno paesaggio circostante la Certosa di Garegnano. Lungo le rive del Lambro, dell’Olona, dei corsi d’acqua minori non è difficile incontrare gruppi di alberi, movimento di acque, prospettive pittoriche, che è consigliabile di rispettare e di valorizzare, per farne, nei limiti del possibile, il centro di eventuali zone verdi che dovrebbero allietare la parte nuova della città. Così fu infatti già disposto dalla Amministrazione nello studio della zona di Nord Ovest nella quale il corso dell’Olona fu conservato a costituire l’elemento caratteristico di un nuovo giardino.
Soluzioni simili possono suggerire la Vettabbia coronata di platani dietro l’Osteria del Morivione, la roggia corrente fra magnifici ippocastani nel sagrato della Chiesa di Poasco, il pittoresco giardino della Villa Dupré a Gorla con alti alberi lungo la Martesana, l’incrocio del Lambro colla Martesana a Crescenzago interessante per opere d’arte e per fresca vaghezza di paesaggio, gli scherzi del Lambro presso Monlué, dove la chiesa fondata dagli Umiliati nel 1267 da molti anni restaurata e l’adiacente fabbricato dell’antico convento da ripristinare formano un insieme incantevole. Nella zona di Baggio e di Trenno il carattere stesso della vegetazione presenta bellissimi aspetti pittorici con rogge e raggruppamenti e filari di alberi d’alto fusto. Gli antichi canali milanesi – il Naviglio Grande, il Naviglio di Pavia, la Martesana – meritano pure seria considerazione perché, indipendentemente dalle Conche, opere di evidente interesse storico, essi formano la caratteristica più spiccata delle strade che portano al Ticino ed all’Adda tratti essenziali del paesaggio dell’agro milanese, documenti storici del mezzi di sviluppo di una laboriosità ed operosità, che pur sempre distinsero il popolo milanese. E con i Navigli sono da tutelare i grandi viali alberati da platani secolari – segnatamente quello di Monza – alla cui conservazione, per ragioni di competenza territoriale più che la vigilanza del Comune, potrà l’opera dell’Amministrazione provinciale, e lo studio di un vero e proprio piano regolatore provinciale.
In questa cornice naturale, disseminate nel suburbio cascine, ville, chiese, talune ancora suscettibili di essere conservate, o restaurate, ci permettono di intravvedere nella più grande Milano di domani rallegrata da queste gemme rimesse in luce, non il monotono intersecarsi di lunghe vie dritte, ma frequenti riposi di oasi verdi, di gruppi di piante vetuste, e un alternarsi di facciate e di scorci pittorici, di porticati, di logge e di cortili. Già entro il vecchio confine il Comune si è fatto cura di recuperare, pochi mesi or sono, la quattrocentesca Cascina Bolla e ne sta studiando con la Curia, una conveniente valorizzazione al centro di un arioso quartiere a villini. Lo stesso potrà farsi, anche coll’illuminato concorso di privati proprietari, di parecchi altri cascinali sparsi nella campagna che, liberati dalle soprastrutture che li deturpano, sono ancora suscettibili di apparire nella loro grazia originale.
Talora si tratta persino di antiche chiese convertite in case, in cascine, od in ripostigli di arnesi agricoli, come la Cascina Monzoro, ad esempio, sulla strada di Cusago, dalla grande navata frescata con riquadri di ogni epoca e fregi del trecento, colle armi scaligere e viscontee e dalle cappelle ridotte a porticati colonici, eppur degna di essere ridonata alla sua primitiva destinazione, come l’unica grande chiesa che, distrutte S. Maria alla Scala e S. Giovanni in Conca, varrà a ricordare a Milano i tempi di Barnabò. Vi sono inoltre ville o case o palazzetti che per il loro stato di conservazione, per il loro uso civile, per la loro situazione meritano particolare rispetto.
Per ricordare qualche esempio, menzioneremo la casa già dei Corio a Ronchetto, ora Beltrami, a Robarello, lungo un pittoresco punto sul Naviglio, la severa mole del palazzo detto del Cardinal Durini, del secolo XVI; e ancora un bel palazzo settecentesco a Cimiano, una villa barocca a Prato Centenaro, preceduta da due edifici quadrati del secolo XVI facentisi riscontro; la casa Brambilla a Musocco, edificio notevolissimo del Settecento, la villa già Scheibler a Vialba; un palazzotto della prima metà del Cinquecento a Lorenteggio, e infine la Senavra, l’antica casa di ritiro dei Gesuiti. E se si saprà frenare la smania demolitrice, la nuova Milano conserverà anche i suoi castelli: quello di Macognago della prima metà del Quattrocento; il castello di Triulzo, rimaneggiato nel secolo XVI, ed a breve distanza da nuovo confine, il castello visconteo di Cassino Scanasio, antico centro di cacce signorili ora dei Visconti di Modrone che lo han fatto restaurare in qualche punto.
Problemi edilizi e «zoning»
Per valorizzare le note paesistiche e per armonizzare la rete delle nuove vie all’ambiente naturale od edilizio che le dovrà circondare non basta evidentemente immaginare il piano di ampliamento come un semplice problema di strade e di aree fabbricabili – più o meno ben studiato nei loro reciproci rapporti – ma sempre viste esclusivamente nel loro aspetto planimetrico. Piano regolatore ed edilizia debbono invece essere intesi come elementi inscindibili di uno stesso problema, poiché non sono concepibili una strada, una piazza, un quartiere veramente ben studiati ove essi non lo siano nel duplice aspetto planimetrico ed altimetrico e nel duplice riflesso edilizio e stradale, intesa questa parola nel senso più vasto e cioè con riguardo a tutti i servizi pubblici che nella strada si svolgono. Solo così è lecito sperare di conseguire dei quartieri, delle vie, delle piazze, degli ambienti cittadini armonici, estetici, ben ordinati fin dal loro sorgere. Questa è una delle preoccupazioni che guidano gli studi dell’Amministrazione nella sistemazione delle nuove zone esterne, e, fin dove le situazioni di fatto ancora lo consentono, della stessa zona interna.
In relazione con questa sorge l’altra grave questione, che ormai si impone a tutte le grandi città, quella della «specializzazione edilizia delle zone» o, per dirla con termine ormai divenuto di uso comune, dello «zoning». Occorre affrontarla risolutamente anche per la nostra città perché il Comune, che ha – oltre la tutela estetica ed igiene dell’edilizia – il compito non facile di provvedere a tutti i servizi pubblici dei diversi quartieri cittadini, non può assistere passivamente e senza esercitare alcune funzione direttiva alla utilizzazione delle aree fabbricabili agli scopi più svariati quali spesso solo il caso o l’occasione consigliano ai privati. Il Piano regolatore vigente del 1912 prevede alcuni vincoli per determinare zone di terreno da fabbricarsi a villini o a case isolate fra giardini.
Nel piano del quartiere di Nord Ovest di recente approvazione, che per la sua fortunata ubicazione è destinato a diventare un quartiere di residenza signorile a di istituzioni sportive, si è voluto dare una più ampia applicazione a queste direttive vincolando a fabbricazione di villini una larga parte del terreno ai margini dei giardini pubblici e delle zone a verde segnate nel piano. Cosicché quasi a partire dal centro della città (Piazza Cairoli) attraverso il Parco del Sempione, i quartieri che verranno lasciati liberi dallo scalo ferroviario di Porta Sempione, quelli dell’antica Piazza d’Armi, quelli di via Monterosa e di S. Siro, si proseguirà oltre Lampugnano verso Trenno, per uno sviluppo complessivo di quasi sei chilometri di percorso in quartieri ariosi e ridenti, quasi completamente a villini, a vie alberate, a piazze verdi, a campi sportivi.
Ma ciò evidentemente non basta, perché non considera che uno degli aspetti del problema. Occorre invece dare ad interi settori una vera e propria «specializzazione edilizia» , favorendo la creazione, nell’interesse stesso dei costruttori, di quartieri per l’industria e le officine, dove la possibilità di raccordi ferroviari ed i più facili allacciamenti alle sorgenti di energia lo consigliano, di quartieri delle abitazioni operaie, in prossimità ed in collegamento coi centri di lavoro; di quartieri per le case da pigione, di quelli dei mercati coi loro scali e coi loro servizi accessori, di quelli degli sports ecc., in modo che ogni forma di attività e di edilizia trovi la località più acconcia ed abbia in questa condizioni e norme edilizie più favorevoli al suo sviluppo. Saranno così evitate le caotiche promiscuità, ragione di danno particolare e collettivo, e potranno essere consentite norme edilizie più appropriate in ciascuna zona al particolare tipo di costruzioni peculiari alla zona stessa con evidente vantaggio dei costruttori. La questione è di speciali interesse per le zone destinate ai grandi edifici industriali, che hanno esigenze loro proprie, spesso in contrasto inconciliabile colle norme regolamentari generali.
Attualmente la distribuzione delle zone industriali entro i limiti del Comune od ai suoi margini è assai irregolare. Sparse un po’ dappertutto alla periferia della città le officine accennano solo ad un maggiore e più organico raggruppamento in alcuni punti caratteristici. Abbiamo così verso Nord una Zona industriale fra la Bicocca e Sesto lungo le arterie stradali e ferroviarie per Monza, e un’altra fra via Farini, Dergano, la Bovisa e Musocco intorno allo scalo ferroviario di via Farini ed allo sbocco delle comunicazioni con Lecco, Como, Saronno e Gallarate. Ma oltre questi aggruppamenti che sono sorti spontaneamente intorno a naturali vie di traffico (stazioni o grandi arterie foranee) e che perciò meritano di essere sviluppati in avvenire colla medesima specifica destinazione, altri ve ne sono, meno importanti, in altri punti della città – ad esempio nei nuovi quartieri occidentali – che nel quadro di sviluppo di quesi quartieri costituiranno presto una stonatura.
Non è da escludere che – per un fenomeno che ha stretta affinità con la biologi animale – l’organismo urbano non sappia espellere naturalmente questi ospiti importuni là dove la loro presenza diventa nociva, ma occorre pure che il Comune abbia facoltà di disciplinare, ope legis, non solo quantitativamente (come lo fa coi piani di ampliamento) ma anche qualitativamente il proprio sviluppo. L’intervento discriminatore del Comune nell’assegnare un determinato indirizzo edilizio a determinati quartieri è ormai riconosciuto come indispensabile nella tecnica urbanistica ed è in atto in quasi tutte le grandi città moderne, specialmente in America. Ciò del resto fu felicemente intuito prima che codificato, da noi stessi, allorché, raggruppando intorno alla stazione di Porta Vittoria il Mercato della Frutta e Verdura. Il Mercato del Bestiame, il Macello, il Mercato del Pollame, si trasferiva in un unico settore della città la «Zona degli approvvigionamenti», allorché si riunivano in un unico centro tutti gli edifici universitari, come avviamento al sorgere di una «Città degli Studi», e lo si sta attuando ora nella zona di nord-ovest, coll’aggruppamento dell’Ippodromo di San Siro, della nuova pista del Trotter, delle costruzioni stabili della Fiera Campionaria, del Palazzo dell’automobilismo a formare un vero e proprio «Quartiere dello Sport», e nella Zona dell’ovest, colla creazione del nuovo centro del Palazzo di Giustizia. Un intervento legislativo che desse maggiori possibilità di azione al Comune, non sarebbe che il logico riconoscimento di una necessità ormai universalmente ammessa.
I nuovi metodi di rilevamento del terreno
Se le indagini delle quali abbiamo fin qui dato notizia permettono di stabilire nelle loro grandi linee e sotto diversi aspetti le caratteristiche salienti del territorio che si studia, un altro potentissimo aiuto alla esatta conoscenza della «geografia urbana» è dato dal modo stesso di rilevamento del terreno. Dal punto di vista cartografico il materiale del quale la città dispone è costituito dalla diligentissima mappa del Villani nella scala di 1:500, limitata però al territorio urbano entro la cerchia delle mura spagnole, dalle mappe catastali della Zona rurale suburbana nella scala 1:2000 non sempre sufficientemente esatte ed in ogni modo, per lo scopo stesso esclusivamente catastale al quale servono, non rappresentative delle accidentalità del terreno, ed infine dalle belle carte militari al 25000 evidentemente troppo ridotte per uno studio particolareggiato. La necessità della compilazione di una nuova mappa cittadina collegata, verso il centro, a quella del Villani ed estesa all’esterno fino ai limiti del nuovo Comune venne subito sentita dall’Amministrazione che provvide ai mezzi finanziari e tecnici occorrenti.
Si tratta di inquadrare il nuovo territorio comunale nelle maglie di una buona triangolazione, che assicuri alcuni capisaldi planimetrici ed altimetrici e di svolgere, coll’appoggio di questa, i rilievi particolari. Se la prima parte del lavoro ha importanza per la esattezza topografica dei riferimenti, la seconda ne ha soprattutto dal punto di vista descrittivo che interessa nelle soluzioni particolari del piano di ampliamento. I nuovi metodi di rilevamento topografico da aeroplano sono venuti in un buon punto per svolgere questa seconda parte del lavoro con rapidità di procedimento e con vivezza di rappresentazione. Nulla meglio della fotografia può dare l’impressione plastica del terreno, la «sensazione» delle sue accidentalità, col ritrarre insieme alle linee strutturali fondamentali degli abitati, delle vie, dei corsi d’acqua, anche tutte quelle loro particolarità o quelle note ambientali come giardini, filari e macchie d’alberi, ecc., che invece messe sott’occhio al futuro disegnatore del piano di ampliamento potranno suggerirgli indovinate e geniali soluzioni. I rilievi vennero per ora eseguiti nella zona di Greco e di Gorla su una estensione di mille ettari. Essi riproducono fotograficamente nella scala da 1 a 2000 il territorio. Dallo stesso rilievo topografico vengono ricavate le cartine topografiche per gli altri usi ordinari. Il risultato di questo primo esperimento è veramente incoraggiante. Dalla riproduzione fotografica il territorio «rivive» esattamente sotto gli occhi dell’osservatore in tutte le sue caratteristiche, che il più diligente rilevatore non saprebbe riprodurre né in modo così completo, né con aspetto così attraente.
I limiti del piano di ampliamento
Il punto di indagine forse più delicato è quello dei limiti che conviene assegnare al piano che si sta studiando. I termini della questione possono porsi con le domande: quale è il territorio del quale conviene studiare la sistemazione in relazione ad un dato limite massimo della popolazione pur tenendo conto dello sfollamento dei quartieri oggi a popolazione troppo densa? Quale la proporzione fra la città attuale e la futura? Quale il rapporto fra il «centro» e la periferia? Più che da indagini astratte e teoriche, una guida nel dare risposta a queste domande può aversi dal confronto con alcune città note, che hanno raggiunto o superato le condizioni limite che possono porsi alla nostra città, o che per altri riguardi siano ad essa paragonabili. E questo non già allo scopo di ricalcare soluzioni forse criticabili ed in ogni modo difficilmente trasferibili da un caso all’altro, ma semplicemente per avere termini paragone sia dal punto di vista demografico sia da quello dello sviluppo edilizio.
Nel 1923, prima della aggregazione dei comuni limitrofi, Milano con una popolazione di 750.000 abitanti copriva un’area fabbricata di circa 3.800 ettari, rispetto alla estensione di 5.700 ha del territorio compreso entro i limiti teorici del piano regolatore, ed ai 76.000 ettari della superficie del Comune. La densità media della popolazione era quindi: rispetto all’area effettivamente fabbricata 197 ab/ha; rispetto all’area compresa entro i limiti del Piano regolatore 1912, di 131 ab/ha; rispetto all’area del Comune, di 99 ab/ha. Colla aggregazione degli undici comuni limitrofi che ha portato a 185.000 ettari il territorio comunale, e ad 850.000 gli abitanti la popolazione, l’ultimo dei tre dati unitari sopra esposti – che è l’unico sul quale si possono fare riferimenti comparativi – viene abbassato a 46 ab/ha per la superficie del nuovo Comune.
In una nazione come l’Italia a popolazione densa, particolarmente nel Nord, e con una tipica costituzione a città storicamente e demograficamente importanti (si contano in Italia diciotto città con popolazione superiore ai 100.000 abitanti) non è presumibile per alcuno dei suoi centri, sia pure più importanti o favoriti per naturale posizione, uno sviluppo paragonabile a quello delle maggiori metropoli estere. L’incremento di popolazione ha segnato per Milano dopo la unificazione le seguenti tappe:
1861 | 242.869 ab |
1871 | 261.985 ab |
1881 | 321.839 ab |
1891 | 412.529 ab |
1901 | 496.935 ab |
1911 | 599.200 ab |
1924 | 718.000 ab |
Si ritiene dai più che la cifra di due milioni di abitanti possa ammettersi come un massimo difficilmente raggiungibile almeno entro i limiti di previsione di un cinquantennio, particolarmente se l’incremento dei mezzi di trasporto extra urbani influirà favorevolmente, come è da augurarsi, verso un naturale decentramento della popolazione, inducendo grandi categorie di cittadini a cercare fuori dal perimetro urbano la loro dimora abituale, ed a considerare la città solo come il luogo di lavoro verso il quale, come già oggi in parte avviene, convergono e si dipartono con giornaliero flusso e riflusso le correnti dei lavoratori. Per una città così fatta, della quale non è impossibile intravedere a grandi tratti per proporzionalità i limiti e stabilirne i rapporti colla città attuale, si pone un problema di particolare importanza: quello della vita del suo nucleo centrale in relazione allo sviluppo delle zone periferiche.
Milano, come fu più volte ripetuto, è la città tipicamente monocentrica. La Piazza del Duomo è il punto caratteristico di tutta la vita cittadina. Intorno ad essa si radunano i più importanti edifici. Di qui divergono le arterie radiali. Di qui si snoda tutto il servizio delle comunicazioni tramviarie. Oggi come cento anni fa, come mille anni fa, essa è topograficamente il vero umbilicus urbis. Ma se si pensa che ancora nel 1881 Ferdinando Fontana poteva lamentare che la piazza non avesse requisiti sufficienti per presentare un quadro riassuntivo della vita e del movimento milanese per l’abitudine dei cittadini di schivare quasi di passarvi, «colla conseguenza che spesso la piazza del Duomo è la più spopolata di Milano mentre dovrebbe essere, per il rango che ha, la più popolata», e si confrontano le condizioni di traffico di oggi giorno, è facile il pensare ad un prossimo domani nel quale questo unico cuore cittadino sarà assolutamente impari alla sua funzione. E poiché il centro di Milano non si presta a soluzioni troppo radicali di sventramenti, alle quali fra l’altro ripugna una certa mentalità conservatrice ambrosiana, solo in un ordinato indirizzo «decentratore» può intravedersi una via di soluzione dei problemi del traffico cittadino.
Questa concezione decentratrice interessa anche il problema dei limiti del piano di ampliamento cittadino in quanto se sopra abbiamo accennato a quelli che potrebbero definirsi i «limiti esterni» del piano stesso, qui veniamo a sfiorare i «limiti interni», le zone di saldatura e di contatto, i punti cioè, sotto un certo riguardo, più vitali perché se verso l’esterno molteplici, e, entro larghi margini, arbitrarie sono le possibilità di soluzione, verso l’interno invece le limitazioni si accumulano e le soluzioni si vincolano. Si impone perciò anche nei riguardi dello studio del piano di ampliamento un tentativo di definizione del cosiddetto «centro» cittadino non esclusivamente considerato nella condizione odierna della città, ma in relazione del suo sviluppo futuro. Questo studio di misura e proporzione del piano di ampliamento e dei suoi ragionevoli limiti «esterni» ed interni, più che da una indagine teorica può essere indirizzato da una matura conoscenza delle condizioni di sviluppo delle altre città, da uno studio, per così dire, di anatomia comparata dell’organismo cittadino nelle sue differenti manifestazioni. L’Amministrazione Comunale ha affidato ai suoi Uffici tecnici ed alla particolare Commissione di studio l’incarico di raccogliere il materiale documentario necessario. Quando le indagini saranno compiute una monografia illustrativa di queste ricerche potrà avere un interesse trascendente le particolari ragioni del Comune di Milano […].
Da: Città di Milano, luglio-agosto 1925 (il titolo per esteso dell’articolo, filologicamente parlando, sarebbe «Come viene impostato dalla città di Milano lo studio del suo nuovo Piano di Ampliamento»: è stato abbreviato per motivi di leggibilità online sulla prima pagina); l’immagine di copertina, riportata anche qui sotto, è il progetto presentato l’anno successivo dallo stesso autore dell’articolo al Concorso per il Piano Regolatore di Milano, che ovviamente ripete alcuni del concetti espressi qui ; seguono le sette illustrazioni dell’articolo in formato grande per una migliore lettura