Davvero lo spazio urbano è qualcosa di così connaturato all’essere umano, da renderci del tutto normale e spontaneo elaborare progetti di trasformazione dotati di qualche senso? Non che avere idee sui luoghi che poi andremo in qualche modo a vivere debba per forza essere monopolio assoluto di qualche ispirato profeta del rendering, di quei tizi ormai praticamente caricaturali che recitano da front-person dei veri interessi in campo, e ci raccontano con piglio sicuro le loro visioni. Anche chi non ha quelle capacità e quelle conoscenze, chi non ha studiato né studia architettura, urbanistica, grandi sistemi o ergonomia generale, può benissimo esprimere i propri bisogni, magari immaginare vagamente delle forme fisiche in grado di rispondere, a quei bisogni, ma in fondo dovrebbe capirlo da solo, che il do-it-yourself applicato al progetto urbano può essere assai più assurdo che in altri casi. Qualcuno si sognerebbe mai, di praticarsi un pur elementare intervento chirurgico, con qualche attrezzo in grado di tagliare, forare, grattare, disinfettare, sistemare l’inevitabile ferita in attesa che si rimargini? Ovviamente no, e la medesima cosa vale per la riparazione o costruzione di impianti tecnici, che pur usiamo ogni giorno e crediamo di conoscere benissimo in quanto utenti, o per i mezzi di trasporto, la rete idrica o elettrica … Quando però passiamo alla città in quanto tale, le cose anziché diventare più difficili paiono distendersi in un giochino facile facile aperto a tutti.
La stampa
Un ruolo chiave, nel provocare o addirittura promuovere confusione, ce l’ha la stampa non specialistica: quella di informazione, politica, cronaca, cultura. Che presenta idee e progetti puntualmente avulsi da qualsiasi contestualizzazione, prendendo a prestito brandelli qui e là, in termini addirittura più semplificati dei già fuorvianti comunicati del mondo immobiliare, da cui di solito arrivano le informazioni. Il normale cittadino, anche magari persone di ottima cultura e informazione, ma sostanzialmente estranee all’ambito che le trasformazioni le produce e gestisce, si fa un’idea sballata di cosa significhi effettivamente «progettare», e non riesce a fare un collegamento organico con altri spunti che magari sulle pagine del medesimo giornale o sito web dovrebbero stargli davanti al naso: le polemiche sul piano regolatore, o le innovazioni nel campo dei trasporti, o qualche curioso effetto sociale e di costume di un nuovo trabiccolo tecnologico, che fa uscire tutti di casa o al contrario svuota le piazze. Perché quei progettini dettagliati che vediamo, e poi proviamo a scimmiottare superficialmente esprimendo in quella forma certi nostri bisogni (e offendendoci se poi vengono ignorati o sottovalutati) del contesto tengono conto, eccome! Altrimenti resterebbero pasticci su un foglio, magari graziosi da guardare, evocativi, sognanti, ma pur sempre scarabocchi astrusi, non diversi dalle automobili senza portiere o dischi volanti senza motore per farli volare che disegnano i bambini.
L’esperto e il committente
Insomma, nessuno vieta di immaginarsi quel che si vuole, ed esprimerlo nei modi preferiti, ma si dovrebbe quantomeno chiedersi sempre «a che titolo» si delinea, quel futuro auspicabile per la città e i cittadini che le stanno dentro. Il disegno di un architetto, anche mediato e semplificato al massimo dall’ufficio stampa dell’immobiliare, è il risultato di una serie di condizionamenti e contestualizzazioni (la domanda sociale, le regole stabilite dai vari organismi pubblici di controllo e coordinamento, l’intreccio con altri bisogni …). Anche quando le forme sono per qualche verso davvero fantasiose, quando cioè prescindono in parte da quei condizionamenti, si sa comunque che prima o poi li dovranno subire, passando dallo scarabocchio alla realtà, magari cambiando completamente. Qui sta, in sostanza, la differenza tra un piano o progetto o proposta di esperti ed operatori, e la pensata estemporanea di qualcuno che si risponde da solo a qualche bisogno o aspirazione, esprimendosi nella forma del progetto, o almeno in quella che gli pare tale. E così andrebbero anche interpretate quelle espressioni, non certo messe sul medesimo piano a recitare il ruolo di «proposta alternativa». Insomma, in effetti nessuno ci vieta di metterci a cucinare in casa anche se non capiamo quasi nulla di gastronomia, e magari neppure di spesa al mercato, ma poi non pretendiamo che i nostri ospiti siano entusiasti della cena. Per quello, ci sono pur sempre i servizi di catering. Il resto è immaginazione.
Riferimenti:
AA.VV. How would you design a city from scratch? The Guardian, 5 gennaio 2017